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Il cibo dei giganti. Come le multinazionali dettano legge dall’agroindustria ai supermercati

di Carolina Modena - 17/12/2017

Il cibo dei giganti. Come le multinazionali dettano legge dall’agroindustria ai supermercati

Fonte: Slow Food

Il sistema agroalimentare del nostro pianeta è oggi concentrato nelle mani di un numero molto ristretto di gigantesche corporazioni. Le società multinazionali hanno occupato tutti gli snodi della catena alimentare, finendo per controllare ingenti quote di mercato a ogni livello del processo di produzione, distribuzione e commercializzazione del cibo: dai semi agli ausili chimici, passando per la genetica animale e vegetale.

Il nuovo Agrifood Atlas (“Atlante dell’Agroalimentare”) pubblicato dalla fondazione Friends of the Earth Europe, dalla fondazione Henrich Böll e dalla fondazione Rosa Luxemburg tenta ora di fare chiarezza sulla posizione tutt’altro che trasparente occupata dalle grandi multinazionali nel sistema agroalimentare del nostro pianeta.

Ben presto, sulla scia di fusioni a porte chiuse tra i principali protagonisti, potremmo ritrovarci con un monopolio pressoché totale del mercato del cibo. Le cinque maggiori fusioni nella storia dell’industria agroalimentare hanno avuto luogo tra il 2015 e il 2016, per un valore economico complessivo di quasi 500 miliardi di dollari. L’ulteriore accentramento del settore è guidato dall’iniziativa di gruppi di investimento come American-Brazilian 3G Capital, una società fondata nel 2004 e quasi del tutto invisibile nello spazio pubblico, ma responsabile di fusioni come quella tra AB-InBev (il maggiore produttore di birra al mondo), Kraft-Heinz (la quinta società mondiale specializzata nell’elaborazione di materie prime per il consumo umano) e Burger King, la terza catena di fast food del pianeta.

La più colossale di queste fusioni, però, sarebbe quella tra Monsanto e Bayer, attualmente al vaglio della Commissione Europea. Se ottenesse il via libera delle autorità, l’operazione darebbe luogo al maggiore produttore di prodotti agrochimici, semi e presidi farmaceutici del mondo. I principali concorrenti si sono già fusi tra loro (DuPont e Dow, Syngenta e ChemChina), e la stessa Monsanto, negli ultimi anni, ha inglobato buona parte della concorrenza, dando luogo all’attuale situazione di oligopolio. Monsanto è tristemente nota per essere l’azienda che produce e commercializza il glifosato e la sua immagine pubblica ne ha risentito, ma il volume d’affari e i dividendi non hanno accusato flessioni. Il logo Monsanto, peraltro, non appare quasi mai sui prodotti finiti, una strategia molto comune tra le società malviste dall’opinione pubblica.

Le tre megacorporazioni citate, Monsanto-Bayer, DuPont-Dow e Syngenta-ChemChina sarebbero in grado di controllare il materiale genetico del nostro cibo per mezzo dei brevetti, influenzando l’intero sistema alimentare e rendendo i coltivatori ancora più strettamente vincolati alle loro decisioni.

Un’altra conseguenza inevitabile di queste fusioni, dal punto di vista delle megacorporazioni, sarebbe la confluenza e la sinergia delle strutture logistiche e amministrative già esistenti: una ristrutturazione che costerebbe migliaia di posti. La fusione Heinz-Kraft, per esempio, è stata accompagnata da 5000 licenziamenti e dalla chiusura di un quinto degli stabilimenti. Con buona pace dei lavoratori.

Le situazioni di oligopolio tendono a risolversi anche nella cartellizzazione degli acquisti, che consente a chi distribuisce ed elabora il cibo di dettare legge a tutti i livelli della catena alimentare, esercitando pressioni sui fornitori e imponendo ai produttori prezzi più bassi.

Anche le società che si occupano di vendita al dettaglio stanno crescendo a dismisura. In Europa il gruppo Schwarz, proprietario di Lidl e Kaufland, ha superato Carrefour, balzando dall’ottavo al primo posto nella graduatoria europea, e questo nonostante la contrazione dei punti vendita, perché la metratura delle superfici continua a crescere e i supermercati propongono un assortimento sempre più variegato di prodotti, risparmiando cifre enormi in termini di economia di scala e minimizzando i costi di esercizio.

Che cosa rende così irresistibili questi grandi discount? La risposta è nel nome stesso. L’attrazione per l’articolo sottocosto dimostra che spesso il consumatore non si rende conto del nesso che lega il prezzo stracciato praticato alla cassa e il prezzo troppo basso spuntato al precedente anello della catena.

In altri termini, il fatto che le materie prime vengano raccolte, elaborate e distribuite a basso costo a spese della manodopera umana, penalizzata in termini di salari e condizioni di lavoro. Il consumatore medio, bombardato da una pubblicità aggressiva, è indotto a concentrarsi sugli aspetti puramente quantitativi, cioè sul volume di cibo acquistato a parità di denaro speso, perdendo di vista le dinamiche politiche, sociali, economiche e ambientali che rendono possibile lo smercio di un pollo a tre dollari il pezzo. I consumatori, da soli, non possono fare molto per modificare il sistema nel suo complesso, ma agire tutti insieme con la necessaria determinazione può consentire di vincere alcune battaglie, se non la guerra.

Le istituzioni nazionali e sopranazionali devono trovare il modo di immunizzarsi contro le strategie delle lobby multinazionali e intervenire per regolamentare la competizione sui mercati. Non possiamo permettere che un potere così grande continui a venire accentrato in poche mani. Le autorità antitrust che vegliano sulle grandi fusioni non stanno facendo abbastanza, né hanno il potere per farlo: occorrono leggi nuove a tutela dei diritti dei coltivatori e dei lavoratori salariati, oltre che per dotare i consumatori degli strumenti di cui hanno bisogno per prendere decisioni più consapevoli a difesa delle risorse naturali e del bene comune. Come cittadini, prima ancora che consumatori, abbiamo il dovere di rivendicare il nostro diritto a un cibo buono, pulito e giusto.

Slow Food si muove in questa direzione. Grazie alle nostre campagne e ai nostri eventi stiamo aiutando sempre più persone a capire che un altro mondo è possibile, e che il primo passo da compiere è sostenere i produttori virtuosi. Lavoriamo di concerto con le organizzazioni della società civile e con i movimenti che in tutto il mondo si occupano di cibo per porre fine a un sistema alimentare avido, inumano ed ecologicamente indifendibile.