Il controllo delle anime: formazione ed informazione
di Andrea Zhok - 24/08/2022
Fonte: Andrea Zhok
In una democrazia formale, dove ricorrentemente i cittadini sono chiamati a votare i propri rappresentanti, il “controllo delle anime” rappresenta la forma di controllo cruciale e privilegiata. Tale controllo avviene attraverso l’informazione (media) e la formazione (scuola, università).
Gli ultimi dieci anni, e il periodo pandemico in modo parossistico, ci hanno messo di fronte ad un processo di intensificazione di tutti questi processi di controllo. Agli albori la forma presa era quella apparentemente marginale e folcloristica del “politicamente corretto”, dove certe espressioni, certe parole, certe formulazioni dovevano essere espunte dal linguaggio in modo da non creare risentimenti in questo o quel gruppo sociale. Questa, che inizialmente sembrava una preoccupazione affine alla semplice buona educazione, ha preso rapidamente forme censorie e si è animata in feroci campagne di discredito pubblico su chi non vi si adeguava, fino a rappresentare causale per sanzioni e persino licenziamenti. Dapprima questo controllo sanzionatorio si è rivolto verso gruppetti marginali, estremi e controversi, come i gruppetti neofascisti, per poi estendersi in tutte le direzioni che in qualche modo andavano contropelo alla narrazione liberalprogressista.
Il meccanismo per cui attraverso una rigida regolamentazione dell’espressione si mira a controllare il pensiero è un grande classico dei totalitarismi, e la sua assimilazione da parte del liberalprogressismo ne ha esplicitato il carattere intimamente autoritario: “C’è spazio per una sola verità, una sola forma di vita, un solo modello politico e valoriale, il nostro.”
Nel periodo pandemico si è avuta piena percezione di come questa disposizione autoritaria dei sedicenti rappresentanti del bene e del progresso fosse oramai pienamente consolidata. La quasi totalità dell’apparato mediatico non ha fatto una piega nel censurare ogni posizione scomoda e nel bastonare moralmente quelle che non gli riusciva di censurare. Qui il “bene superiore” era rappresentato dalla strategia sanitaria adottata, che veniva presentata come l’unione del vero, del bene e del giusto, rispetto a cui ogni scostamento era blasfemia. Il processo di controllo sull’espressione pubblica è stato coronato da straordinario successo e, in mancanza di un sufficiente contraltare, ancor’oggi la maggior parte dei cittadini italiani è persuaso della paccata di menzogne che sono state gabellate dai media mainstream.
Il problema della libertà d’informazione è uno dei problemi maggiori della nostra epoca: i media per funzionare hanno bisogno di capitali e i detentori di capitali tendono a creare un cartello di interessi in difesa di ciò che li accomuna, il capitale appunto. La retorica liberalprogressista è il vestito migliore che riescono ad indossare queste forze sociali come autogiustificazione: possono dissimulare la propria natura predatoria sotto un manto di buonismo, dirittoumanismo e moralismo autoritario.
Questa tendenza non è però rimasta relegata nell’ambito della pubblica informazione, ma è travalicato in forme molteplici nell’intero sistema formativo, scuola e università. Qui il problema è, se possibile, ancora più grave e sedimentato. La pubblica istruzione è stata cronicamente definanziata in Italia, alimentando il precariato della docenza, creando classi pollaio e mantenendo spesso le infrastrutture ai limiti dell’agibilità. Simultaneamente, sul piano “pedagogico”, abbiamo assistito ad un riformismo decerebrato che, nel nome della “modernizzazione”, ha introdotto una pletora di escogitamenti didattici (“scuola delle competenze”) e di processi farlocchi di “misurazione della qualità”. Con l’illusione di dare una veste “scientifica” alla valutazione, la scuola e l’università pubblica sono state riempite di parametri esterni, di “target”, di processi premiali barocchi, di attestazioni burocratiche che sono divenute l’oggetto primario di attenzione, a scapito di studio, dialettica ed insegnamento. Un’infinità di energie e risorse sono oggi impiegate in questa sceneggiata fasulla, nevrotizzante e sterile in cui bisogna dar a vedere di darsi da fare a colpi di “progetti innovativi”, “internazionalizzazione”, “didattica smart”, “nuove tecnologie” e modernizzazioni di facciata, che lasciano i docenti di ogni ordine e grado con forze sempre più limitate da dedicare al cuore dell’attività formativa. Oggi scuola e università sono principalmente concentrate sul soddisfare astratti criteri e parametri estranei alla missione fondamentale, da cui però dipendono finanziamenti e riconoscimenti.
Intanto, nel nome dell’ennesima “modernizzazione”, scuola e università vengono concepiti sempre più come meccanismi di trasmissione di idee alla moda, di atteggiamenti benpensanti, di imperativi moraleggianti e anche di teorie politiche travestite da ovvietà morali (europeismo acritico, ambientalismo classista, “ideologia gender”, ecc.). Mentre il primo compito di una formazione pubblica dovrebbe essere fornire strumenti e stimoli culturali per rendere ciascuna mente autonoma, oggi essa diviene sempre di più un luogo in cui ci si deve assicurare che se ne esca “con le idee giuste” – che sono le idee correntemente gettonate dalle classi dirigenti.
Nel nome di un’esigenza distorta di “rispondere alle esigenze del mondo della produzione” la scuola è stata spinta alla semplificazione dei programmi nelle loro componenti tradizionali e ad una falsa concretezza (didattica per competenze, alternanza scuola-lavoro, ecc.), che conduce soltanto ad una minore consapevolezza e all’accettazione rassegnata della propria collocazione come ingranaggi variabili in un sistema fisso.
In ambito accademico si è spinto a sacrificare i saperi di matrice umanistica nel nome di una priorità delle scienze naturali, solo per sacrificare subito dopo anche la ricerca scientifica di base a favore della ricerca applicata, per scordarsi infine comunque di finanziare anche la ricerca applicata, le cui infrastrutture rimangono drammaticamente inadeguate. Il risultato complessivo di questo profluvio di retorica riformista “modernizzatrice” è stata un degrado complessivo e costante dell’istruzione terziaria. L’obiettivo da raggiungere non è più innanzitutto la creazione di una cittadinanza consapevole e autonoma, ma la creazione di ingranaggi umani funzionali ad un sistema dato e indiscutibile.
La retorica che è stata costruita spaccia per “concretezza” l’addestramento spicciolo a occupare un posto predeterminato, e spaccia per “qualifica scientifica” la spendibilità settoriale in processi produttivi predefiniti. Questa retorica è stata promossa nel nome delle necessità del mondo del lavoro, dove però fallisce sistematicamente questo obiettivo, perché le particolari competenze lavorative mutano con rapidità più grande di quanto qualunque programma scolastico possa registrare e qualunque corpo docente possa apprendere e riprodurre. L’idea che dalla scuola o dall’università possano uscire “prodotti finiti” da inserire subito in un sistema produttivo – a sua volta in mutamento costante – è un’illusione nociva che danneggia la formazione di base (e la coscienza critica) senza produrre alcun vantaggio al mondo del lavoro. Il risultato di questo sguardo apparentemente rivolto alla concretezza utilitaristica è in effetti solo quello di creare una gioventù dotata di ridotto senso critico, disorientata, con una consapevolezza impoverita di sé e del mondo circostante, e precocemente rassegnata ad occupare quello slot provvisorio che, se meritevoli e fortunati, verrà loro precariamente assegnato.
Scuola e università devono ridivenire luoghi di formazione critica, di coltivazione della consapevolezza – teorica e tecnica – di nutrimento per personalità autonome. L’indottrinamento non è un compito formativo. Il disciplinamento dei comportamenti deve limitarsi a ciò che consente la buona convivenza e non deve travalicare in pedagogia di vita. La libertà d’insegnamento garantita dalla Costituzione deve essere ribadita, così come l’indipendenza della ricerca scientifica dal lobbismo, e dai condizionamenti economici. Il corpo docente dev’essere sollevato dagli insensati e oppressivi carichi burocratici. L’accesso all’insegnamento dev’essere selettivo, qualificato, ma anche incentivato adeguatamente sul piano salariale.
Scuola, università ed informazione pubblica sono le principali chiavi d’accesso ad un futuro democratico e prospero, e perciò sono anche le chiavi che possono essere usate per forgiare un futuro autoritario, tecnocratico e miserabile.