Il deserto occidentale a colpi di Oscar e Nobel
di Marcello Veneziani - 10/10/2022
Fonte: Marcello Veneziani
Che noia, che nausea dover ancora parlare del politically correct e dei suoi effetti che si abbattono inesorabili nella vita civile e culturale d’occidente. “Siamo stanchi di parlar male di questa cosa, ma questa cosa non si stanca di esistere” diceva Michel Houellebecq: infatti a conferma di quel che diceva, ha perso il Nobel assegnato invece all’autrice politically correct, Annie Ernaux, con una motivazione espressamente ideologica, come del resto la sua dichiarazione seguente.
Puntuale come la morte, il politically correct non risparmia l’arte, il cinema e la letteratura, è il giurato supremo e decisivo dei festival, degli oscar e dei nobel, che è la più grande fabbrica di Falsi Autori che ci sia al mondo, ma da decenni. Una volta ci divertimmo a censire il Novecento letterario: gran parte dei grandi del secolo non sono stati premiati dal Nobel e gran parte dei premiati sono spariti nell’oblio perché erano meteore minori, inconsistenti rappresentanti di “cause” etniche, gender e ideologiche, senza un loro peso specifico. Ma non vorrei ripetere cose già scritte e rivendicare rivincite e rivalse per i discriminati. C’è da notare una cosa più grave e più sconfortante: che deserto lascerà agli occhi dei posteri il busto correttivo, la maschera ipocrita del Politically correct? Col passare degli anni quanti autori grandi ma rimasti poco conosciuti, marginali, evitati, non tradotti, verranno cancellati perché di loro non sarà rimasto traccia in nessun premio Nobel, in nessun riconoscimento pubblico, in nessun paradiso degli autori? Chi riscoprirà con pietà, giustizia e senso critico la loro grandezza? Nel novecento, accanto alle storie ufficiali scritte a colpi di premi nobel e di altri riconoscimenti istituzionali, sussisteva ancora la possibilità di sopravvivere alla negazione: benché pubblicamente deprecati Céline e Pound, Junger e Mishima, D’Annunzio e tanti altri autori, restano nonostante l’ostracismo. Perché s’intrecciavano alla storia controversa, perché furono riconosciuti grandi dai loro contemporanei, anche da quelli a loro ostili, perché in epoca di furenti ideologie si attaccavano le sue idee, ma non si negava la loro esistenza.
Oggi invece, tutto è appiattito e velocemente dimenticato, si può passare inosservati, perfino Proust o Kraus sarebbero obliati l’uno per razzismo e l’altro per misoginia. Cosa resterà della letteratura, dell’arte, della filosofia, se gli annali ricorderanno solo i palloni gonfiati e i premiati, detentori di cariche pubbliche o di omaggi istituzionali, purché conformi e devoti al politically correct? Resterà una landa desolata in una società imbarbarita, con l’intelligenza atrofizzata. Certo, qualcuno tra i premiati magari sarà meritevole di lode e di lettura, anche se la motivazione del premio è la sua conformità ideologica; e qualcuno tra i dimenticati si rifarà con il mercato o con qualche vicenda eccezionale che lo porterà alla ribalta, nonostante la sua cancellazione.
Ma quel codice di conformismo schiaccia col rullo compressore ogni altezza non conforme, peggio di un regime autoritario e addirittura di un sistema totalitario. I dissidenti russi, in fondo, sopravvissero alla dannazione.
Gli ingenui pensavano che stavolta sarebbe stato premiato Michel Houellebecq. Ma chi ha solo annusato le sue opere, da Particelle elementari a Sottomissione e Piattaforma, sapeva che sarebbe stato impossibile. Per capire come la pensa l’ispido autore francese, vi invito a leggere Interventi, uscito ora da La Nave di Teseo. Dove ci sono scorci di grande letteratura – penso a Opera Bianca, per esempio – ma soprattutto scritti e interviste taglienti sul nostro tempo. Chi avrebbe scelto il Nobel tra una femminista militante del MeToo e uno scrittore che definisce le femministe “amabili stronze” dai risultati desolanti, che, come Valerie Solanas, hanno un disprezzo “infinito, assoluto illimitato per la natura”? Si può premiare un autore che definisce l’Islam la religione più stupida, fondata sulla sottomissione e ritiene l’integralismo islamico perfettamente coerente al Corano? Si può accettare un’analisi sociale che reputa il malessere odierno frutto del mix tra consumismo, sfrenatezza dei desideri e influenza della cultura di sinistra, anzi i misfatti della “feccia goscista”? L’egemonia della sinistra nella cultura dura dal ’45, fa notare, e il suo impegno politico ha prodotto una grave “imbarbarimento”. Houellebecq critica il nichilismo occidentale, denuncia la decrepitezza degli States sotto l’apparenza di una energia febbrile, disprezza gli occidentali che hanno paura di riconoscere la superiorità della loro civiltà. Critica infine l’individualismo notando che “L’io occupa il campo da cinque secoli; è venuto il momento di cambiare direzione”. Si autodefinisce conservatore e reputa che l’uomo non “sia fatto per vivere in un mondo in costante mutazione”. E non risparmia nemmeno il Nobel per il premio preventivo per la pace dato a Obama, mentre elogia Trump, “uno dei migliori presidenti che l’America abbia avuto”, mentre ritiene che “l’Europa non esiste, e non rappresenterà mai un unico popolo”. Anche sulla Chiesa Houellebecq ritiene, come Ratzinger, che debba rompere col relativismo, non diventare una ONG, vagamente caritatevole, non competere col cinema o i concerti ma svolgere la sua missione, “annunciare Dio e condurre gli uomini alla vita eterna”. In tema di migranti clandestini, arriva perfino a difendere Salvini come ministro dell’interno…
A chi gli faceva notare la scomparsa del suo nome dalla liste del premio Gouncourt dell’Académie francaise, per ragioni ideologiche, Houllebecq rispondeva: “La cosa terribile è che si sia arrivati al punto di non poter più dire niente. Il politicamente corretto “rende inaccettabile la quasi totalità della filosofia occidentale. Sempre più cose diventano impossibili da pensare. E’ spaventoso”. Si, spaventoso, stiamo atrofizzando la libertà, la dignità e l’intelligenza.