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Il diavolo e l’acqua santa

di Livio Cadè - 05/10/2020

Il diavolo e l’acqua santa

Fonte: Ereticamente

“La verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini”.

(Vangelo di Filippo)

Il simbolo è la natura dell’uomo; noi viviamo di simboli, vi siamo immersi come nell’aria che respiriamo. Un albero non è un albero, un sorriso non è una contrazione muscolare e l’acqua non è acqua. Se entrate in un’antica chiesa, lontano dal caos della modernità, sentirete risuonare nell’ombra silenziosa l’armonia dei simboli, vedrete i riflessi luminosi della trascendenza sulla superficie opaca della materia. Ogni oggetto, ogni geometria, ha lì funzione simbolica. “Conviene che attraverso segni sensibili arriviamo alle realtà spirituali”, dice San Tommaso. La coppa delle acquasantiere, ad esempio, è simbolo di una cavità battesimale in cui l’uomo è rigenerato e protetto. Per San Tommaso l’aspersione con acqua benedetta favorisce la remissione dei peccati e difende dalle tentazioni; secondo Santa Teresa d’Avila ha il potere di allontanare i demoni. È dunque fonte di salute per il cristiano.
Lo scettico dirà che si tratta di anacronistiche superstizioni o che si tratta dell’opinione di due dottori della Chiesa, non di dottori in medicina. Purtroppo, il parere della scienza è quello che oggi prevale. Forse per questo le acquasantiere sono oggi tristemente asciutte; sembra rappresentino ora pericolosi veicoli di contagio. Si capovolge così il tradizionale riferimento simbolico, in cui l’acqua santa era strumento sacramentale di protezione dal male e di purificazione. Desacralizzata, l’acqua santa diventa simbolicamente H2O, tramite non più di benedizioni ma di microscopici veleni. È quindi vietato quel simbolico lavacro. Del resto, nessuno crede più che due atomi di idrogeno e uno di ossigeno proteggano da un demonio che forse non esiste. Privata dei suoi antichi poteri, oggi l’acqua santa pare trasmettere un virus micidiale. Quindi quel vecchio sacramentale viene sostituito con un gel igienizzante o con erogatori a raggi infrarossi. Oggi infatti il buon cristiano, che differisce per molti aspetti dal vero cristiano, è un modello di pragmatismo e razionalità, più che di fede nel sovrannaturale. Dubita dei Santi, ma ha una tetragona fiducia nella scienza ufficiale.
Questo dipende dal nuovo simbolismo collettivo entro il quale si muove. Di fatto, non solo il singolo individuo si nutre di simboli, ma ogni società si basa su codici simbolici, e quando perde la fede e il rispetto verso di loro è destinata ad atrofizzarsi e a morire. Perciò è inquietante la facilità con cui la Chiesa ha permesso alla politica e a sedicenti comitati scientifici di offendere la sacralità dei simboli religiosi. Con una sorta di finta umiltà e pavida ubbidienza, gerarchie ecclesiastiche e masse di fedeli hanno piegato il capo e detto “così sia”, rinunciando a secolari forme simboliche, con atteggiamento remissivo e pecoreccio.
La Chiesa ormai lascia alla scienza il compito di decidere sull’eterna questione che Pilato pose a Cristo: “cos’è la verità?”. Si accontenta di aggiungere alle dottrine scientifiche qualche blanda esortazione pastorale e qualche nota a margine, di carattere teologico. Del resto, il mondo moderno non può più accettare il silenzio di Dio, il Suo mistero; preferisce la didattica petulanza delle dimostrazioni scientifiche, la “ricerca critica, persistente e inquieta” – per usare le parole di Popper – di instabili certezze. Oggi i linguaggi della scienza traducono i simboli religiosi in formule razionali. Anche il corpo eucaristico di Cristo, tradotto scientificamente, diventa potenziale veicolo di germi; quindi pare giusto proteggersi dai rischi di un’ostia contagiosa con scrupolose cautele igieniche, trattare Cristo come un untore. Pare lecito non offrire i tradizionali sacramenti agli infermi per non portare, insieme a Cristo, il virus; idea che ogni cristiano dovrebbe trovare oscena. La salutaris hostia diviene scientificamente un disco di amidi e carboidrati; quindi non v’è nulla di blasfemo nel temerne la potenziale infettività e nel maneggiarla con guanti preservativi. Senza capire che così si perverte la liturgia in una sorta di Messa nera, in una profanazione.
Anteporre presunte ragioni scientifiche a esigenze di carattere spirituale è segno che una civiltà è nella sua fase di dissoluzione. Lo slancio romantico della fede si abbassa a usare il bilancino del farmacista. La Chiesa conserva una traballante impalcatura di credenze e dogmi teologici, ma nella sostanza si arrende al potere e al sapere della scienza. Qualche fiacca omelia, forme di assistenza sociale quali potrebbe svolgere qualunque associazione laica e atea e poco più. È la scienza la nuova pedagogia divina, la buona novella dei nostri tempi. I suoi profeti non ricevono più la parola di Dio in oscure visioni, presentimenti e illuminazioni, ma attraverso i protocolli di una metodologia sperimentale. Anche Dio deve adattarsi al progresso, colmare le lacune scientifiche del suo Logos.
Persino l’amore del prossimo, di chi è vicino, va oggi scientificamente limitato, in quanto teoricamente contagioso. Poiché non si ammettono criteri diversi da quelli meramente biologici, si predica non la prossimità ma la lontananza, la distanza di sicurezza. Prima di ogni precetto di carità, v’è il dovere di evitare pericolosi contatti con altri esseri umani. Per lo stesso motivo diventa lecito negare l’unzione sacramentale a malati e moribondi, e proibire ai familiari di assistere i loro cari morenti e di dar loro cristiana sepoltura. Si possono compiere così, con la coscienza tranquilla, crimini efferati contro l’umanità.
Pare incredibile che, in altri tempi, alcuni religiosi respirassero l’alito degli appestati, li abbracciassero, accostassero l’orecchio alle loro labbra per raccoglierne un’ultima confessione. Oggi, molto più responsabilmente, il buon cristiano non concede al suo prossimo nemmeno un tangibile, seppur fuggevole, segno di pace. Un abbraccio o una stretta di mano violano le leggi dell’igienismo burocratico cui devotamente ubbidisce. Perciò ci si limita a un sorriso, scambiato a qualche metro di distanza. Un occhieggiare tra esseri separati da un muro invisibile, sguardo che si finge amorevole mentre nasconde la reciproca diffidenza. Non potendo più amare il prossimo, si ripiega sull’amore del lontano, di qualcuno che non ci può infettare.
Entrando in chiesa le donne non mettono il velo, ma una maschera, e gli uomini fanno altrettanto. I bambini non vengono battezzati ma disinfettati. La misurazione della temperatura e il tampone sono la nuova confessione delle colpe. Un gocciolare del naso, uno starnuto, un colpo di tosse, diventano atti impuri; respirare, una vergognosa fornicazione. Gli oggetti, invasati dai germi, vanno sottoposti a scrupolosi e periodici esorcismi. Nella nuova dottrina la santificazione delle anime è infatti surrogata dalla sanificazione della materia. E i peccatori non si accorgono neppure di vivere nel peccato, sono asintomatici.  Perciò devono espiare con penitenziali quarantene, isolati dal mondo; moderni anacoreti e stiliti, tentati non più dai demoni ma dai virus.
Tutto deve adeguarsi alla nuova religione della purezza sanitaria. La scienza ha ridotto all’ubbidienza anche luoghi un tempo miracolosi, come Lourdes, dove la gente si immergeva fiduciosamente e piena di speranza in acque popolate da ogni sorta di batteri, virus o carnali lordure. Ma oggi i pellegrini svolgono le loro devozioni chiuse in piccoli cerchi disegnati sul terreno a opportuna distanza uno dall’altro, come isolati in figure magiche e sacrileghe, per non essere raggiunti dai miasmi virulenti di chi sta accanto, da quell’alito di preghiera che li potrebbe contaminare. Vien da dire “quos vult perdere Deus, dementat prius“, quelli che Dio vuol portare a rovina prima li rende folli.
Sento porre una facile obiezione: “è solo una forma di prudenza, responsabilità, rispetto degli altri”. Non sarebbe quindi per paura ma per nobiltà d’animo che si prendono tali misure. Questa sensibilità morale per gli altri è tuttavia un argomento specioso. Infatti dà per scontato che vi sia un effettivo e mortale pericolo, per quanto su questo non vi sia alcuna certezza; tale convinzione viene anzi contraddetta da molte e potenti ragioni. Ma il buon cristiano si attiene ai principi della democrazia, altro potente dogma del quale non riesce a dubitare; quindi deve aver fede nei dogmi scientifici avallati da un sistema democratico. Le Dee Madri, la Democrazia e la Scienza, non possono venir contraddette. Così, non vede che, nel suo presunto ‘rispetto degli altri’, in realtà offende l’essere umano, visto solo come focolaio di infezioni, ricettacolo di virus invece che di dignità e libertà. Per ubbidire a inaffidabili e contingenti ragioni scientifiche deturpa simboli millenari della civiltà, scende a degradanti compromessi con la coscienza. La Chiesa non ha opposto alcuna decisa obiezione, anzi ha collaborato a questo scempio; dimostrando che considera gli ordini della scienza molto più fondati e cogenti di quelli dello spirito, e stima la biologia e la farmacologia più che la fede e la Grazia.
Le parole di Gesù offrono una prospettiva totalmente diversa: “questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: … se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. Quindi, un cristiano dovrebbe ricordare che la salute, l’immunità o la guarigione del corpo sono doni dello spirito e non dell’industria farmaceutica. Scrive San Giacomo: “Chi è malato, chiami a sé gli anziani della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato”. Perciò, chi rifiutasse esami e cure mediche, profilassi e vaccini, non si troverebbe affatto nella posizione di chi tenta il Signore, esponendosi inutilmente al pericolo, ma di chi si affida alla Sua Parola. Questo non significa respingere a priori ogni cura medica. Ma credere che il mondo grondi virus letali, sottoporre a trattamenti sanitari persone sane come se fossero malate, questa ossessione salutistica è solo una meschina ipocondria; e rivela la vera malattia della nostra società, i segni di una pandemia spirituale.
Il buon cristiano partecipa inconsapevolmente a un’immensa congiura contro lo spirito, i cui simboli contribuisce a rovesciare e calpestare; e viceversa si presta a diffondere una nuova simbologia magica e anti-cristiana. Icona del nuovo ordine simbolico è questa pudica foglia di fico messa sul volto dell’uomo, quasi a ricordargli la perdita della sua innocenza. Una falsa scienza gli ha infatti impresso nella carne un nuovo peccato originale. Il moderno Adamo è intrinsecamente virulento, macchiato da una tara ontologica che nessun battesimo può lavare. Solo il nuovo sacramento vaccinale potrà mondarlo. Per il buon cristiano, questa nuova teologia sanitaria rappresenta un etico e razionale catechismo da seguire. Non ne vede l’intrinseca natura satanica, gli intenti sacrileghi; non coglie l’origine diabolica di questo mascheramento rituale. La stessa parola – maschera – viene da masca, voce arcaica che significa fantasma nero o strega. È simbolo di falsa apparenza, dissimulazione; è qualcosa che occulta il vero, o che evoca una presenza demoniaca. Oggi è diventata il paramento di un’oscura iniziazione, marchio della Bestia posto sugli abitanti della nuova Babilonia. Ma per il buon cristiano non è che una salutare garza. Così, quando nasconde il viso, crede di compiere opera pia, e non sa di adempiere un ordine metafisico, compiacendo quel Satana che, come dice Milton, “gusta il sapore di morte che viene da tutte le cose viventi”.
Mettersi in maschera per non esalare o inalare virus non ha di fatto alcuna sensata giustificazione medico-scientifica. Resterebbe un’incomprensibile sevizia a danno dei polmoni se non ne scoprissimo gli scopi reconditi e, ancor più profondamente, la dimensione simbolica. Sappiamo che Satana è simbolo di ciò che corrompe lo spirito; sappiamo anche che in ogni tradizione esiste un nesso fondamentale tra lo spirito e l’atto di respirare. Il respiro esprime la forza vivificante di Dio; nella Bibbia si dice che “Dio soffiò nelle narici dell’uomo un alito di vita”. “Metterò in voi il mio Spirito (cioè il mio respiro) e voi vivrete” è scritto in Ezechiele; il termine biblico ruah è infatti sia il soffio che lo spirito. Anche Gesù alita sui discepoli dicendo: “ricevete lo Spirito Santo”. Nel mondo geco o latino troviamo i medesimi riferimenti simbolici; pneuma e spiritus indicano tanto l’aria che si respira quanto l’effusione spirituale. Anche l’atman sanscrito, riflesso del divino, si appoggia al respiro; e anima viene da radici sumere che rimandano al soffio di Dio. Solo grazie al respiro la parola si propaga e il Logos si manifesta. Gli antichi cristiani cospiravano, ossia respiravano insieme lo Spirito; Sant’Antonio abate diceva: “Respirate Cristo!”. Il respiro è perciò simbolo delle nostre radici metafisiche; degradare il respiro significa corrompere la nostra natura spirituale. Dunque, questa sorta di profilattico facciale è in realtà il sigillo di forze maligne; è un’aggressione al pneuma. Ostacolando la respirazione, trasformandola in un atto insano, soffoca l’anima stessa dell’uomo. Ne cancella il volto, lo rende un’effigie del disumano.
Questi occhi senza volto che camminano come stregati da un incantesimo, sono il sintomo di un’infezione psichica che rende l’uomo un inerte, docile schiavo; una peste metafisica che va rapidamente ammorbando la terra e la sua sacra bellezza. “Perché,” citando ancora Milton, “da dove poteva scaturire se non dall’autore di ogni male una malizia talmente profonda da rendere confusa fino alle radici la razza degli uomini, e mescolare e coinvolgere la terra con l’inferno?”. È una malizia ricoperta di buoni propositi e di ottime ragioni, e i più non la vedono. C’è una frase di Aurobindo che trovo profondamente vera: “il diavolo non dice menzogne, prende la verità e le imprime un’impercettibile torsione“. È così, seguendo questa curvatura all’inizio apparentemente trascurabile che, passo dopo passo, ci si ritrova all’inferno.