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Il diavolo, probabilmente

di Livio Cadè - 15/08/2021

Il diavolo, probabilmente

Fonte: EreticaMente

Avvertenza: quanto segue è opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti reali è puramente casuale.

Il tenente Novaks trasse dalla tasca un fazzoletto sgualcito e lo passò sul collo madido di sudore. Doveva trovare una soluzione. Rilesse la lettera del Dipartimento. Ragionò. Ma è difficile pensare quando il caldo ti cuoce il cervello. Pitville era famosa per le sue estati torride. Una piccola città infossata in una buca. Si diceva che quando uno di Pitville andava all’inferno si portava la coperta.
Dalla finestra del suo ufficio osservò le strade semideserte. Era una cittadina tranquilla e laboriosa, senza attrattive. La vita vi scorreva monotona, tra strade diritte, file ordinate di casette tutte uguali. Per un tenente della squadra omicidi c’era poco da fare. Gli abitanti avevano un’aria pulita e rispettabile.  Ma Novaks sentiva odore di marcio.
Gli sembrava che la città nascondesse qualcosa di oscuro e repellente. Frimann aveva una strana teoria. Diceva che l’anima di un uomo deve stare dentro. Se sta fuori troppo a lungo muore. E se muore puzza. “Le persone vivono all’esterno” diceva. “Camminano lontano da sé stesse e non trovano più la strada per tornare”. Frimann le chiamava anime morte.
Secondo lui era opera del diavolo. Novaks non era tipo da credere al diavolo. E a volte Frimann, più che uno scienziato gli sembrava uno sciamano. Ma gli piaceva. Aveva imparato da lui a dividere le persone in anime vive e anime morte. Era la sola forma di razzismo che praticasse. Sentiva a naso l’olezzo della morte. Per lui, solo Frimann, Kate e pochi altri avevano un buon odore. Guardò oltre le basse colline a ovest della città.
“Le ho portato qualcosa, tenente”. Il sergente Robbins entrò con un ventilatore. Lo collegò alla corrente. Le pale non si mossero. “Mi sa che è rotto”. Sollevò i suoi occhi ottusi, da anima morta. Novaks si sedette alla scrivania ed esaminò alcune scartoffie. “Ha visto le novità?” chiese Robbins. “Fra cinque giorni dovranno tutti essere in regola”. Ne sembrava contento. “Healthtown sarà la prima città sicura”.
Il Partito aveva deciso che Pitville si sarebbe chiamata Healthtown, città della salute. Quella piccola comunità, grigia e sonnolenta, avrebbe tenuto a battesimo i piccoli mostri dell’ID. Da lì a cinque giorni i cittadini sarebbero stati divisi in due gruppi: chi si era fatto il Diavax e chi no. Novaks lesse le ultime disposizioni emanate dal Dipartimento della Salvezza. Ogni locale di Pitville – scuole, uffici, chiese, ospedali, negozi, bar, ristoranti, alberghi, palestre, cinema, teatri, stazioni ecc. – doveva munirsi a sue spese di uno o più ID. Li avrebbero montati anche su treni e autobus.
La Polizia sarebbe stata dotata di ID portatili. Per chi risultava positivo all’Immunity Detector era previsto l’internamento in un Containment Center, o zona anti-contagio, finché fosse finita l’epidemia. Li chiamavano CC. Poi c’erano i gruppi di sorveglianza. Cittadini che collaboravano con la Polizia. In pratica, delatori, spie. Le chiamavano Salvation Sentinels. Molti avevano già fatto richiesta per entrare nelle SS. “Un esercito di Dorothy Flanders” pensò Novaks.
Sapeva che la gente si sarebbe abituata presto a quelle sigle. Le avrebbe trovate rassicuranti. E avrebbe accettato la dittatura che stava dietro. Secondo Frimann la storia dei contagi era una messinscena. Diceva che l’epidemia era stata creata ad arte. Che poteva durare anni. Finché volevano ‘loro’. Ma chi? E a quale scopo? Novaks non capiva. Sapeva solo che l’alternativa era tra farsi il Diavax e l’essere chiuso in un CC, senza stipendio. Gli mancavano sei mesi alla pensione. Avrebbe perso anche quella. E doveva pensare a Kate.
Sua moglie era morta tre anni prima e lui era rimasto solo con Kate. Una bella ragazza di trent’anni. Quando ne aveva quattro era stata colpita da una grave infezione. Il suo sviluppo mentale si era bloccato. Però era ancora un’anima viva. Novaks si diceva che la malattia impediva alla sua anima di morire. Novaks doveva pagare una governante. Non poteva permettersi di perdere il lavoro e la pensione. Detestava i ricatti, e quel vaccino era un ricatto odioso. Dapprima, cedere gli era sembrata l’unica soluzione possibile. Ma Frimann gli aveva ficcato quel maledetto tarlo nel cervello.
Si conoscevano da trent’anni. Forse Novaks era il suo unico amico. Frimann era molto affezionato a Kate. Per lei era ‘zio Lonny’. Un tipo solitario, una specie di genio asociale. Dirigeva un gruppo di ricerca alla Diapharm, la multinazionale farmaceutica che produceva il Diavax. Dall’inizio dell’epidemia il Comune di Pitville gli aveva chiesto di fare delle autopsie e lui aveva accettato. Diceva che preferiva avere a che fare con corpi morti che con anime morte.  Era strano, ma Novaks si fidava ciecamente di lui.
Secondo Frimann il Diavax era puro veleno. A sentir lui, Kate aveva un 90% di probabilità di non superare viva la prima dose e il 99% di morire alla seconda. Il Dipartimento della Salvezza, diceva, non rivelava quante persone fossero morte a causa del farmaco. Scienziati e giornalisti corrotti nascondevano la verità. “Ma perché lo fanno?” aveva chiesto Novaks. “Cosa c’è sotto?”. “Soldi, potere, follia. Il diavolo, probabilmente. Questa moria di anime è certo opera sua”. Novaks aveva sorriso. Era abituato allo strano umorismo di Frimann. “Non posso mettere dentro il diavolo, Lon”.
“Basta che tu stia lontano dal Diavax. E tieni lontana Kate”. Frimann parlava seriamente. “Questa schifezza ha effetti irreversibili. Non è detto che ti uccida subito. Lo può fare lentamente. Può indurre gravi malattie. Ma può far di peggio.  Trasformarti in una specie di zombi. Forse è questo che vogliono”. “Zombi?” “Automi. Uomini senz’anima”. Possibile che Frimann si sbagliasse? Forse esagerava.
“Fanno sul serio, eh?” disse Robbins indicando le carte del Dipartimento. “Eh, già”, borbottò Novaks. Cercò di pensare ad altro. Trovò un paio di denunce fatte da miss Flanders. Era una sfiorita zitella, pettegola e ipocondriaca. S’era fatta una missione di segnalare alla polizia tutti quelli che sorprendeva senza mascherina d’ordinanza, che non rispettavano la distanza di sicurezza o infrangevano in qualche modo le norme anti-contagio. Novaks prese le denunce e le infilò in un cassetto. “Com’è che passano a noi queste idiozie?”. “A proposito”, fece Robbins “c’è di là miss Flanders. Vorrebbe parlarle”. “Dille che non ci sono”. “Ma tenente, le ho già detto che…” Novaks si rassegnò. “Va bene. Falla entrare”.
Dorothy Flanders sudava da ogni poro. Il volto era coperto da una mascherina rossa e da un paio di grandi occhiali neri. Tipica anima morta. “Si sieda” disse Novaks. Lei si aggiustò il cappellino. Novaks esaminava altre carte senza guardarla. “Conosce Sam Tracy?” chiese la Flanders. “Sì, da vent’anni”. “Bene. Ho ordinato un caffè nel suo bar”. “E allora?” “Non indossava i guanti sterili!” La Flanders attese invano un commento. “La polizia dovrebbe intervenire. Pago le tasse e ho il diritto d’esser tutelata”. Novaks prese degli appunti.
“E poi ho visto il vecchio John Keaton col suo cagnolino. Lo conosce?” “Il cagnolino? No. Ma conosco il professor Keaton”. “L’ho visto che portava a spasso il cane. Fuori dalla sua zona. La pipì del cane non è un buon motivo per mettere a rischio la vita della gente. Non crede?” Novaks alzò lo sguardo. “Ha fatto bene a informarmi”.
“E il reverendo Parker…”. “Miss Flanders, se ha altre informazioni vitali per la salvezza del Paese, passi dal sergente Robbins e gli lasci una deposizione firmata”. “Ma domenica, in chiesa…” “Addio, miss Flanders”. Lei si alzò con aria contrariata, sistemò il cappellino e se ne andò. Giunta alla porta, prese un’aria indignata e piagnucolosa. “Le sembra giusto che tanta gente muoia per colpa di qualche irresponsabile?”.
Robbins rientrò strisciando contro la massa molle e ingombrante di miss Flanders che ostruiva l’ingresso. “Tenente, ha telefonato il dottor Frimann. Vuole parlarle. Da solo. Dice che l’aspetta giù al macello”. “Non ti ha detto perché?” “No, tenente”. Novaks uscì urtando miss Flanders che se ne stava ancora sulla porta.
Doc lo accolse con un cenno del capo. Stava esaminando un tizio morto da poco. Novaks riconobbe il giovane Harrison, il figlio del dentista. “Anche lui come gli altri?” chiese. Frimann coprì il corpo con un telo. “Sì, l’hanno ammazzato”. “Il misterioso assassino di Pitville”, commentò Novaks. I due fissarono per un po’ il telo bianco senza parlare. “Hai qualche idea, Lon? Per fermare l’assassino, intendo”. Frimann scosse il capo. “Quando si fa questo lavoro si arriva sempre troppo tardi”. “Come un tenente della squadra omicidi”. “Questo assassino non si può fermare. Ma possiamo ingannarlo”.
Frimann aprì l’anta di un frigorifero e ne estrasse una fiala. Conteneva un liquido grigio. “Ecco il tuo misterioso assassino”. “Come fai a esserne sicuro?”. “È lui che ha ucciso il giovane Harrison e gli altri”. “È una tua teoria”. “Ne sono certo. Hanno inventato la storia del virus per costringere la gente a vaccinarsi. Ma non è il virus il nemico. È il Diavax”. “E perché non l’hai detto ai giornali, a qualche pezzo grosso?”. “Mi avrebbero eliminato. Io invece volevo capire”. “E cos’hai capito?”. “È una storia complicata”. “E tu falla semplice”. Frimann fissò per un po’ il vuoto.
“Immagina che ti iniettino una specie di parassita. Una volta in circolo libera milioni di particelle, come microscopiche zecche. Mi segui?” Novaks annuì. “Questi micro-parassiti si attaccano al sistema nervoso, ai capillari”. “E succhiano” disse Novaks. “No. Sono dispositivi creati per ricevere e trasmettere dati. Lo fanno attraverso le radio frequenze degli ID. Possono controllare a distanza ogni organo del tuo corpo, il tuo DNA, le tue cellule. Capisci?”. Novaks guardò il corpo del giovane Harrison. “Ma perché la gente muore?”. “È un difetto nel programma del parassita. A volte uccide l’ospite rapidamente. Ma non è questo il suo scopo. Loro vogliono il controllo”. “Non ti chiedo chi sono loro” disse Novaks.  “Diresti che è opera del diavolo”. “È anche opera mia. Ho collaborato anch’io a creare questo mostro”.
Forse Frimann voleva solo sfogare il suo senso di colpa. “Non pensarci, Lon. Non possiamo farci nulla”. Frimann lo fissò. “Ti sbagli. Non lascerò che Kate finisca in uno schifoso campo di concentramento”. Frimann ripose la fiala nel refrigeratore e ne prese un’altra apparentemente simile. “Nel Diavax c’è una sequenza che manda il segnale di identificazione all’ID. Sono riuscito a isolarla e a replicarla”. Vide lo sguardo perplesso di Novaks. “Sto dicendo che possiamo ingannare l’ID”.
Novaks ancora non capiva. “Ci sto lavorando da mesi. Prima di parlartene volevo esserne sicuro. Devi fidarti di me. Non perderai la tua pensione”. Forse Frimann era impazzito. Da tempo lavorava troppo e non dormiva quasi mai. Novaks lottò contro quel pensiero. Lo sguardo di Frimann era calmo e penetrante. Era l’anima più viva che Novaks conoscesse.
Restarono in silenzio. Novaks rifletteva. “Ingannare l’ID. Credi possa funzionare?” “Teoricamente ne sono certo”. “E in pratica?” “Dovrei avere un ID per provarlo”. Novaks era un poliziotto. Diffidava della teoria. Ma ora non aveva che quella. “Non sarà pericoloso?” “L’ho provato su di me. Ho depurato il Diavax dai componenti attivi. Ho lasciato solo le informazioni che servono all’ID per il riconoscimento”. Novaks non si decideva ancora. “Non metterei mai a rischio la vita di Kate” disse Frimann. Novaks guardò i corpi morti, ricoperti da un telo. Doveva tentare. “Cosa devo fare?” “Una semplice iniezione. Poi penserò io a inserire codici e dati nel sistema”.
Cinque giorni dopo Novaks si recò al lavoro. C’erano poche persone in giro. Ne vide un paio sedute nel bar di Sam. Incrociò alcune anime morte. Alcune di loro portavano già il distintivo delle SS. La città era presa in una morsa viscida di calore. Come soffocata da un enorme serpente. A Kovacs parve di sentire uno strano fetore. Come di materia in decomposizione. Frimann avrebbe detto che era l’odore del diavolo.
All’ingresso della centrale vide il famigerato ID. Il suo occhio elettronico esaminava chiunque entrava o usciva. Novaks si fermò sul primo gradino della scala. Gli capitava raramente di aver paura. Se il siero di Frimann non avesse funzionato? L’ID avrebbe emesso un suono lungo e sibilante, simile all’antifurto di un’auto.
“Salve tenente!”. Era la voce di Robbins. “Non entra?” Novaks sentì un leggero tremito alle gambe. Robbins salì la scala e passò con noncuranza sotto lo sguardo dell’ID. Ne uscì una carezzevole voce femminile: “Salute a te, Jeremy Robbins”. “Salute a te, baby” rispose Robbins. Novaks fece gli altri gradini lentamente. Indugiò davanti al portone, fissando l’occhio rosso della macchina. Gli sembrava di essere sull’orlo di un precipizio. Fece un altro passo.  Per un attimo gli parve che il mondo si fermasse. Poi una voce gli trapassò il cervello da parte a parte. “Salute a te, Frank Novaks”.
Salì in ufficio. Si sforzò di tornar lucido.  Andò alla finestra e guardò in strada. Pitville sembrava quella di sempre. Ma Novaks sapeva che la città era stata occupata da forze oscure, maligne. Forse aveva ragione Frimann. Il diavolo, probabilmente. In ogni caso, bisognava resistere. Restare anime vive. Guardò lontano, oltre le colline. C’era qualche nube all’orizzonte. Era prevista pioggia. “Prima o poi finirà anche questo maledetto caldo”, pensò. Prese il fazzoletto e si asciugò il sudore.