Il diktat di Renzi & C.: abolire quota 100!
di Luigi Tedeschi - 16/10/2019
Fonte: Italicum
Qualora, si procedesse alla abolizione immediata di quota 100, si creerebbe una nuova massa di esodati simile a quella prodottasi con la riforma Fornero.
Il governo giallofucsia (come definito da Fusaro), è a caccia di coperture dell’ultim’ora per il varo del DEF. Renzi da settimane insiste pervicacemente per l’abolizione di quota 100, che ha definito “un furto alle nuove generazioni”. Tra gli esponenti di Italia Viva che si sono distinti per il particolare accanimento riguardo alla cancellazione di quota 100, si è segnalato Luigi Marattin, che l’ha definita come la “Politica più ingiusta degli ultimi 25 anni” e quindi ha anche affermato che “Italia Viva chiede abolizione totale e immediata di Quota100. Non perché servano soldi, o perché l’ha fatta un altro governo. Ma perché è la politica più ingiusta fatta in Italia negli ultimi 25 anni: fa pagare ai giovani alcuni privilegi per pochi”.
Certo è che per Renzi & C., così come per i governi della seconda Repubblica, la previdenza costituisce un bancomat inesauribile da cui prelevare periodicamente risorse per far fronte ai deficit dei bilanci pubblici.
Quota 100 fu varata dal governo gialloverde al fine di consentire il pensionamento volontario per coloro che avessero raggiunto l’età di 62 anni e 40 anni di anzianità contributiva. In anticipo cioè rispetto alla soglia di età di 67 anni prevista dalla legge Fornero. Nel bilancio 2019 fu creato un apposito “Fondo per la revisione del sistema pensionistico”, con la dotazione di 20,8 miliardi per il triennio 2019/2021.
Tale misura non ha riscosso il successo previsto dato che, secondo i dati dell’INPS, sono state presentate per l’adesione a quota 100 circa 170.000 domande rispetto alle 290.000 previste per il 2019. Il risparmio per lo stato nel 2019 è stimato in 1,5 miliardi, pari a circa un terzo della spesa prevista. Qualora la tendenza attuale venisse confermata per il 2020 e 2021, verrebbero risparmiati circa 10,4 miliardi.
Nel caso in cui venisse abolita quota 100, i risparmi per lo stato ammonterebbero nei primi due anni a circa 17 miliardi. Si vuole dunque effettuare un taglio di spesa pensionistica la cui copertura è del tutto garantita.
Data la riaffermata contrarietà del M5S alla cancellazione di quota 100, sia Gualtieri che altri esponenti del governo, hanno più volte ribadito di voler mantenere in vigore tale misura fino alla scadenza dl termine triennale, salvo poi non prorogarne la durata.
Quota 100 non ha abrogato la riforma Fornero, ha solo offerto la possibilità temporanea di pensionamento a determinate condizioni. Ma la stessa riforma Fornero, innalzando i limiti dell’età pensionabile, non ha certo garantito la sostenibilità del sistema previdenziale italiano: ha solo posticipato gli effetti di una spesa pensionistica che, a causa dell’allungamento delle aspettative di vita della popolazione, della crisi demografica e della prolungata crescita zero dell’economia, è e resta una delle voci che maggiormente incidono sulla spesa pubblica.
Qualora, secondo le intenzioni di Renzi, si procedesse alla abolizione immediata di quota 100, si creerebbe una nuova massa di esodati simile a quella prodottasi con la riforma Fornero; un devastante problema sociale a cui ancor oggi non è stata fornita completa ed adeguata soluzione.
L’ortodossia liberista della classe dominante sia in Europa che in Italia ha avversato apertamente sia il varo di quota 100 che quello del reddito di cittadinanza, quali misure assistenziali che avrebbero compromesso gli equilibri di bilancio stabiliti dai parametri europei.
In realtà la finalità politica di quota 100 era stata quella di favorire il ricambio generazionale e creare occupazione per le giovani generazioni. L’innalzamento dell’età pensionabile, unitamente all’ormai decennale blocco delle assunzioni e delle retribuzioni nella pubblica amministrazione, ha aggravato la conclamata inefficienza e la bassa produttività già esistente nelle istituzioni pubbliche. Basti pensare che tra i dipendenti della pubblica amministrazione, solo il 7% è al di sotto dei 35 anni. Si può pretendere un produttività e motivazione da parte di lavoratori la cui età media è tra i 50/60 anni?
Inoltre si vogliono palesemente ignorare gli effetti devastanti che la crisi ha prodotto nel campo occupazionale. Quota 100 ha offerto una possibilità di pensionamento (e quindi di sostentamento), a migliaia di lavoratori sessantenni già cassintegrati o disoccupati ormai privi di prospettive occupazionali.
La assenza di ricambio generazionale, cui fanno riscontro le elevate percentuali della disoccupazione giovanile, ha generato una società stratificata ed immobile, ingessata nelle sue strutture economiche e sociali ormai obsolete, senza prospettive di futuro, condannata al suo decadente fatalismo, ad un destino di subalternità dell’Italia al governo delle oligarchie finanziarie europee.
Renzi & C. propongono con veemenza l’abolizione di quota 100, in quanto tale misura costituirebbe un “furto alle nuove generazioni”. Il sistema pensionistico infatti, per finanziare i prepensionamenti delle vecchie generazioni, sottrarrebbe rilevanti risorse previdenziali ai giovani. Emerge chiaramente da tali dichiarazioni, la volontà di provocare un conflitto generazionale nel popolo italiano. Intento sempre reiterato, ma rivelatosi fallimentare.
Ma il “furto” ai danni delle nuove generazioni è già stato perpetrato con le riforme in senso liberista della legislazione del lavoro messe in atto dai governi che si sono succeduti da 20 anni ad oggi. Specie con il Job Act del governo Renzi. Si è istituzionalizzata la precarietà del lavoro, sono state drasticamente ridotte le tutele sindacali, i contratti aziendali si sono di fatto largamente sostituiti ai contratti collettivi di lavoro. La precarietà del lavoro, la discontinuità generalizzata delle carriere lavorative, l’accentuato ritardo dell’accesso dei giovani nel mondo del lavoro, sono fattori rilevanti che hanno determinato la progressiva riduzione del montante contributivo e che alla lunga, determineranno l’insostenibilità del sistema previdenziale italiano. La precarietà ha sottratto ai giovani le speranze nel futuro.
Renzi & C. denunciano inoltre la pretesa iniquità di quota 100, in quanto questi prepensionamenti darebbero luogo ad una ingiusta perequazione tra disoccupati, lavoratori disagiati e dirigenti dello stato. Si rileva che la classe dirigenziale, sia pubblica che privata, ha una carriera lavorativa prolungata ben oltre l’età pensionabile e, date le elevate retribuzioni di cui usufruisce, dispone di redditi sufficienti per accedere a fondi pensionistici integrativi privati. Pertanto, la classe dirigenziale è scarsamente interessata ai prepensionamenti di quota 100.
Occorre infine rilevare che la stessa quota 100, qualora divenisse una misura strutturale, avrebbe effetti penalizzanti per i lavoratori del prossimo decennio. Infatti, data la precarietà del lavoro, la estrema discontinuità delle carriere, l’età elevata di accesso al lavoro delle generazioni successive a quelle oggi alle soglie della pensione, saranno assai esegui in futuro i lavoratori che a 62 anni possano disporre di una anzianità contributiva di 40 anni.
La pretesa cancellazione di quota 100, è rivelatrice della linea politica che verrà perseguita da Renzi che, con la secessione dal PD ha dato vita ad Italia Viva. E’ sorto un nuovo partito in aperto sostegno del liberismo eurocratico – finanziario, diretto esecutore dei diktat europei, garante della subalternità italiana alla UE.