Il dissoluto
di Livio Cadè - 25/07/2021
Fonte: Ereticamente
In un tempo come il nostro, in cui le leggi più turpi vengon spacciate per nobili principi e i costumi più aberranti son visti con simpatia, diventa una rara virtù l’esser dissoluti. Il dissoluto è disciolto, libero dai lacci di una moralità mortificante, dai nuovi tabù, dagli affettati pietismi, dalla retorica strisciante e dalle teorie e le prassi di una società di cui sarebbe indegno farsi complice.
È un atteggiamento di orgogliosa libertà senza scopo. Infatti, il dissoluto non cerca soluzioni. Rifiuta a priori la logica imperante che vorrebbe trovare per tutti i problemi della vita il modo di risolverli. Sa che solo i problemi senza importanza si possono risolvere. I grandi problemi della vita non si spiegano né si risolvono. Possiamo solo viverli, finché qualcosa li dissolve. Al contrario, l’uomo moderno per ogni problema cerca una spiegazione e una soluzione. Per questo è un essere fondamentalmente insoluto, in costante conflitto con la vita.
Lamentandomi della modernità, non ignoro che l’oraziano laudator temporis acti è una figura presente in ogni epoca. Pare che tale rimpianto di epoche passate, di ‘età dell’oro’, rifletta la nostalgia che i vecchi hanno della propria giovinezza, o lo spaesamento di fronte a un nuovo che avanza e minaccia. Ma questo luogo comune è banale e riduttivo. Vi sono realmente secoli di decadenza e ciò giustifica il fatto che qualcuno se ne lamenti. Nel mio caso, ciò che mi sconcerta non è oggi il predominio del male e della stupidità, che è problema antico, ma l’estinzione quasi totale del loro contrario. Sembra non vi siano più forze opposte che ne possano contenere l’espansione.
La società attuale rappresenta il punto più basso cui può giungere una cultura. Tra miasmi razionalisti e materialisti, pornografia mediatica e politica, violenza e ipocrisia del potere, siamo caduti in un oscuro scarico fognario del pensiero. Come il medioevo è stato l’apice dell’intelletto occidentale, noi oggi ne siamo il pedice. Cercando la causa prima di tale decadenza, ci imbattiamo in un pensiero che ha evacuato da sé ogni forma di trascendenza. C’è da credere che fra non molto la “tensione verso la trascendenza” sarà ritenuta una patologia psichiatrica. Solo chi si rilassa nell’immanenza verrà considerato mentalmente sano, membro utile della società.
Sull’uomo moderno sembra gravare una maledizione edipica. Dopo aver ucciso Dio Padre ha stuprato la Madre e dal suo incesto con la Natura sono nati i mostruosi titani della scienza e delle macchine. Infine avrà orrore di quanto ha fatto, si caverà gli occhi e andrà vagando ramingo e senza meta. Per chi invece conserverà la vista, vedere l’orrore trionfante senza provare odio o disprezzo, sarà una forma sublime ed eroica di distacco dal mondo.
D’altro canto, se viviamo in questa civiltà, dobbiamo sentircene responsabili perché, come dice Bosquet, “tutto quanto ci colpisce era in noi come la pioggia nella nube”. Alcuni dicono che tale situazione è inemendabile, perché naturale conclusione di un processo degenerativo, tragica appendice del Kali Yuga. Gli Dei han fatto impazzire gli uomini per condurli alla rovina.
Mi chiedo se vi sia alternativa a questa follia o se non sia necessario attenderne lo spontaneo esaurimento. Questa domanda può apparire arrogante. Infatti, chi stabilisce chi è folle e chi è sano? L’uomo della tradizione appare folle all’uomo della modernità. E un giudice super partes potrebbe apparire folle a entrambi.
Di fatto, chi non condivida la visione del mondo avallata da una grande maggioranza di persone, appare folle ai più. Ma noi abbiamo l’arroganza di sentirci sani nella mente e nello spirito e di dire che folle è la maggioranza della gente. Essere arrogante è il destino di ogni dissoluto, e non lo possiamo rifiutare. Infatti, chiunque cercherà di sottrarsi al dominio della cultura moderna dovrà sembrare arrogante.
Allo stesso modo, riterremo un onore l’esser deliranti, perché usciamo dai solchi di un generale delirio e abbiamo l’audacia di opporre alla ‘sobria saggezza’ del mondo intorno a noi, ai suoi precetti morali e intellettuali, la nostra follia. Ai sentimentalismi della neo-religione umanitaria, ai suoi untuosi discorsi sul ‘rispetto degli altri’, sulla ‘responsabilità’, sul ‘dovere etico’, dovremo rispondere con fierezza disumana che “il saggio non ha umanità” (Laozi).
Non il saggio ma il diavolo è lo zelante missionario dell’umanità, il gran maestro dei filantropi. Pieno d’amore per l’umanità, come questo neo-nazismo sanitario che punta alla distruzione dell’Uomo tradizionale – così imperfetto! – per creare un homunculus neuromotorio, sorta di golem bio-artificiale il cui funzionamento sarà finalmente controllabile chimicamente e attraverso radio-frequenze.
L’‘umanità’ sarà così formata da individui fisio-cibernetici, simili più a ubbidienti macchine che ad animali liberi, imprevedibili e spesso irrazionali. E ai nuovi golem, i pochi umani rimasti sembreranno disumani. La neo-medicina si chiamerà Teragnostica, crasi chimerica di “terapia e diagnostica”. Si baserà sull’inoculazione nel corpo umano di nano-particelle che faranno di noi delle stazioni riceventi-trasmittenti sempre tracciabili e suscettibili di manipolazioni sanitarie.
Questo vien fatto senza dubbio per il nostro bene. “Per il bene comune”, è infatti la parola d’ordine di ogni regime dispotico. E i media del regime si incaricano ogni giorno di illuminare anche i dubbiosi circa la natura del ‘bene’. Così la gente oggi trova giusto che, a fin di bene, lo Stato limiti violentemente non solo la libertà d’agire ma anche la libertà di pensare di esseri tanto imperfetti.
Non a caso teragnostica significa “la sapienza dei mostri” o “sapienza mostruosa” (τέρας, «mostro»). Opera di menti mostruose che tende a creare mostri. Resistere a questa nuova Genesi, di stampo satanico, disubbidire all’anti-Dio, comporterà nuove maledizioni e nuove cacciate dal Paradiso terrestre. I ribelli verranno marchiati forse con lettere scarlatte ed esclusi dai benefici di una società ormai ridotta a una holding finanziaria.
Sembra lontano il tempo in cui compito della medicina era guarire; poi si accontentò di curare; poi si rifugiò, sempre più impotente, nel cronicizzare. In altre parole, nel permettere a ogni malattia di durare il più a lungo possibile. Più che curare l’uomo trova conveniente fare di lui un essere perennemente bisognoso di farmaci. È come se una colpa originale e inestinguibile lo condannasse, per vivere, a dipendere dalla misericordia delle industrie farmaceutiche. Ma oggi la medicina si è spinta ancora oltre. È lei che ci fa ammalare, per poterci poi benevolmente vendere i suoi magici elisir. Ci stringe nella morsa di una oppressiva tutela sanitaria, della sua soffocante e materna bontà.
Chi voglia sciogliersi dall’abbraccio mortale di una simile mostruosa modernità dovrà diventare dissoluto, infrangere ogni regola della neo-moralità. La nostra condotta dovrà dissolvere ogni rispetto delle leggi del mondo. “Obedire oportet Deo, magis quam hominibus” (Atti 5,9), bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini. E quando sentiremo parlare di ‘rispetto’ e ‘responsabilità’ solleveremo davanti a noi i simboli della nostra fede, come per difenderci da demoni e vampiri.
Questo implica la contrapposizione di una coscienza cosmica a una coscienza mondana. Per ‘cosmo’ intendo la manifestazione di un ordine spirituale. ‘Mondo’ è invece l’idea di un cosmo senza spirito. Questo ‘mondo’ è una catena da cui sciogliersi. La dissoluzione dovrà diventare teoria e prassi dello spirito. Ma essere spirituali oggi è la quintessenza della ribellione. Infatti, ciò che è spirituale appare satanico all’uomo moderno e viceversa.
È facile vedere dietro questa epidemia che ha infettato le coscienze, portando una società al collasso intellettuale, il virus del denaro e del potere. O individuare il vettore del contagio nelle puttane mediatiche che hanno diffuso in tutto il mondo la sifilide della menzogna. Tuttavia, sarebbe ingenuo alludere a una crisi di tale portata ignorandone le radici metafisiche e religiose. La Chiesa stessa, nella sua ansia di aprirsi alla modernità, di abbattere muri e costruire ponti, ha offerto a Satana nuovi spaziosi accessi. Come dice Davila, ha cominciato con l’aprire le braccia e ha finito con lo spalancare le gambe.
Il pensiero moderno ha sterilizzato la religione riducendola a sociologia o psicologia. Studia le tradizioni spirituali come un anatomo-patologo disseziona cadaveri. In loro salva solo ciò che trova ‘moderno’, ‘ancora attuale’, o che riesce a conciliare coi valori della laicità. Il cristianesimo gli piace solo quando fa autocritica. È nella sua essenza negare la trascendenza e il sacro. Tutto ciò che rimanda a Dio va implicitamente interdetto.
È chiaro che la nostra società è radicalmente anti-cristiana. Nel senso non solo che rappresenta una ribellione culturale contro la sue radici cristiane ma perché composta in massima parte da persone che vivono più o meno consapevolmente secondo principi demoniaci. Il mondo contemporaneo coincide così con un capovolgimento di sensi spirituali e con la loro perversione.
Per questo la restaurazione di valori etici e metafisici deve passare dal capovolgimento del senso comune. Il primo dovere del dissoluto è rifiutare tutto quanto sembri sensato e giusto alla maggioranza della gente. Chi vuol farsi un’idea della Verità o del Bene dovrà prendere il catechismo di questa società e leggerlo al contrario. Dovrà rovesciarne i falsi idoli: la democrazia, la libertà, la pace, il progresso, l’uguaglianza, la conoscenza scientifica e tutto ciò che oggi sembra dare dignità e valore alla vita umana.
Di conseguenza, il dissoluto apparirà blasfemo all’uomo moderno. Per esempio, non sarà democratico. Non può infatti accettare la vuota tautologia secondo cui “la democrazia è la miglior forma di governo perché le altre non sono democratiche”. Né il mito che, fuori della democrazia, vi sia solo il Male, come oltre le colonne d’Ercole si precipitava nel rovinoso nulla. Questo vorrebbe impedire all’uomo di pensare alternative non democratiche. Ma a questo totalitarismo mascherato il dissoluto preferisce l’aristocrazia dello spirito. Una tirannia sarebbe per lui meno lontana di una democrazia dai valori dello spirito. Perché a una tirannia basta l’esercito per comandare. La democrazia deve invece ottenere il consenso della gente, quindi ingannare, mentire, corrompere.
Inoltre, la democrazia moderna attira le coscienze verso il basso. Non essendo infatti possibile realizzare l’uguaglianza elevando i valori plebei della società, la ottiene appiattendo quelli nobili. Il democratismo diventa così una sorta di chimera la cui testa è un detrito di principi socialisti, il tronco un aborto di virtù cristiane e il culo un ricettacolo di vizi borghesi.
Il dissoluto è libero ma non liberale. Alla libertà senza regole preferisce l’obbedienza alla natura, il rispetto delle leggi attraverso cui l’uomo soddisfa le sue autentiche necessità. Non crede, come l’uomo moderno, che sia un suo diritto fondamentale avere desideri illimitati, che la sua libertà non sia tanto nel soddisfare dei desideri quanto nell’avere sempre nuovi desideri da soddisfare. Sa bene che questa libertà è solo un fantasma affamato, concetto vuoto e addomesticato che, per citare Jünger, rende possibile la tirannide.
Il dissoluto è pacifico ma non pacifista. Può essere umile e mite nell’intimo, ma fuori traboccante di divino orgoglio e di ira sublime. È un reazionario, perché all’utopia progressista preferisce il sogno di un ritorno all’antico. È quindi un regressista. Sa che siamo andati troppo avanti e dobbiamo ora tornare indietro. Le società possono mutare solo lentamente. Il progressista illuso – alla Marinetti, per cui il progresso ha sempre ragione, anche quando ha torto – inebriato dalla rapidità delle innovazioni, non vede quanto sia pericolosa la velocità del cambiamento. Il dissoluto invece non ha alcuna compulsione a progredire e sa fermarsi prima dell’irreparabile.
Contro l’égalité, noi dissoluti preferiamo conservare il valore della disuguaglianza. Del resto, è semplice buon senso. Per capire fino a che punto l’idea moderna di uguaglianza sia stupida basta vedere come, dopo aver condannato le disuguaglianze sociali tra uomo e donna o quelle naturali tra razze diverse, i moderni democratici siano arrivati a ritenere prive di fondamento persino le differenze biologiche. Mettono sullo stesso piano la morte di un vecchio malato e di un giovane sano. Credono sia normale che l’uomo cambi in donna o viceversa, che due uomini o due donne si uniscano in matrimonio. Non si accorgono di recidere così i legami organici tra l’uomo e il creato.
La scienza, dal canto suo, si è ridotta a mitologia degradata, racconto di fiabe sulla Materia o l’Evoluzione. Sorta di Chiesa con i suoi dogmi, la sua Santa Inquisizione, i suoi domini canes, tutori della verità. Complice anch’essa di un pensiero satanico volto alla distruzione dello spirito. Il pensiero dell’uomo viene ridotto a epifenomeno di meccanismi fisiologici. Il cervello secerne idee come i reni l’urina. L’anima dipende forse da una buona o cattiva digestione.
Un tempo le civiltà tradizionali ponevano a fondamento della vita lo spirito e la sua relazione con Dio. Le strutture portanti erano cosmogoniche. I principi etici erano subalterni. La nostra civiltà si è basata per circa duemila anni sui valori proposti ed elaborati all’interno della cultura classica, greco-romana e cristiana. Lo spazio che tale tradizione riserva alla formulazione di tesi economiche, scientifiche, o al progresso tecnologico, è irrilevante. Le sue energie intellettuali erano concentrate su questioni di arte, diritto, etica, religione e metafisica. La società attuale presenta un rovesciamento di tali prospettive e gerarchie tradizionali.
La ricerca del benessere materiale e psicologico è l’essenza mistica della modernità. Ogni buon borghese finge di amare tanto la cultura quanto la natura. In realtà, la prima lo annoia, la seconda lo spaventa. Una futile, comoda e sicura vita borghese è il più comune e venerato idolo della società moderna. Ma nessuna civiltà sopravvive se antepone ai valori dello spirito quelli della comodità e della sicurezza.
Purtroppo, i valori dell’esistenzialismo borghese son oggi definiti da quella che si dice ‘cultura di sinistra’. A dettar le regole sono degli intellettuali umanisti, beghini e ammuffiti, che non hanno coscienza della propria vacuità. Custodi del nulla, di un pensiero che ripete sempre le stesse logore formule, con la noiosa monotonia del tic tac di un vecchio orologio. Convertiti dal materialismo dialettico e dalla lotta di classe all’amore e alla tolleranza universali, e ad altri vaneggiamenti di cui la borghesia moderna si nutre.
La sinistra oggi esibisce come reliquie i resti di un evangelismo degenerato e putrefatto. Non si può intendere questa religione laica e caricaturale, il suo atteggiarsi a sistema di virtù e a socialismo misericordioso, se non vi si coglie un inconscio tentativo di auto-assoluzione. Il borghese democratico è in realtà anti-cristiano, non ama Dio, non ama il prossimo. Però trova molto toccanti la metafisica della solidarietà, le attività filantropiche, le iniziative umanitarie. Si imbottisce la testa di impegno altruista, di accoglienza e di non-discriminazione. Ne fa un palliativo contro i sensi di colpa.
Nel buio fondo dell’anima, sente infatti di essere un cristiano rinnegato, sradicato dalle sue radici. È un uomo in conflitto con sé stesso, col suo passato. Per quanto si senta emancipato dalle vecchie ‘superstizioni’, l’accompagna un senso di colpa, di ‘peccato’, che non può né concepire né tanto meno ammettere. È privo quindi di ogni possibilità di confessione e pentimento. Anzi, non v’è nulla che trovi più inconcepibile che il dover fare penitenza dei propri peccati.
Esclusa da ogni redenzione, la nostra società è quindi destinata a disseccarsi e a morire. Anzi, è già morta. È un insieme di tessuti necrotici che qualche strano incantesimo fa muovere ancora, simulando un’apparenza di vita. La politica, la scienza, la medicina, la religione, l’arte, la cultura, sono zombi animati e manovrati da misteriosi stregoni voodoo.
A questo mondo caotico di morti viventi, ai suoi comportamenti coatti, il dissoluto preferisce il mondo della vita, della libertà e dell’ordine. Ama andare contro corrente, come i salmoni. È più faticoso, ma è l’unico modo per sfuggire alla rovina. Perché, non ricordo chi lo disse, andare contro corrente non è stupido, se la corrente porta verso una cascata. Naturalmente, il pensiero moderno dirà che è una corrente evolutiva, che ci spinge verso la realizzazione di un mondo sempre migliore.
Migliorare il mondo, l’ossessione dell’uomo moderno. E non vede che chi vuol migliorare la natura la rovina. L’uomo si illude di evolvere. Ma cos’è l’evoluzione? Forse un tempo gli uomini usavano una buca nella nuda terra per evacuare i loro escrementi. Poi forse una latrina, la turca, il vaso da notte, il water closet, l’elegante toilette. In sostanza, non è cambiato nulla. Credo non vi sia ipotesi scientifica, tra quelle correnti, altrettanto ricca di fantasia e di umorismo quanto quella che ci vede evolvere nel tempo.
In realtà non esistono società antiche, o di selvaggi, o di primitivi, di fronte alle quali noi uomini moderni potremmo considerarci più evoluti. Sono invece già esistite società barbariche, composte da individui degradati, dediti al saccheggio, che ci assomigliavano. Ma rispetto a loro la nostra è una mera evoluzione tecnica. Quella moderna è infatti la più involuta barbarie di ogni tempo. Se infatti è difficile dimostrare un’evoluzione dell’uomo, è facilissimo constatarne la progressiva degenerazione.
Quindi, anche l’idolo dell’evoluzione va guardato al contrario, come emblema di quel capovolgimento diabolico che dell’alto fa il basso, della destra la sinistra e viceversa. Ma non cercate di discutere di questo con un uomo moderno. Il pensiero moderno è un’infezione e non si può discutere con un’infezione, si può solo cercare di debellarla. Di fatto, dal contagio della follia moderna si salva solo chi ha in sé gli anticorpi del sacro, del numinoso.
Ogni grande civiltà ha le sue fondamenta nel sacro. La società moderna ha invece come fine di oltraggiare e insudiciare ciò che è sacro, come in un’immensa messa nera. Nello stesso tempo, rende sacro ciò che è immondo. L’uomo che non rispetti questa inversione di sacralità sembrerà quindi un satanista, nemico di una religione fondata sul culto dell’uomo e dei suoi desideri. “Non v’è peggior errore che indulgere ai desideri. Non v’è peggior disgrazia che non accontentarsi” diceva Laozi. Pensiero su cui la cultura dei consumi, del desiderio senza limiti, fa cadere i suoi anatemi.
La ripulsa democratica verso le gerarchie dello spirito e le forme aristocratiche di governo conduce al prevalere di aristocrazie senza nobiltà, semplici corporazioni legate a ragioni di interesse, rozze e materialistiche. L’umanità viene governata da numeri, percentuali e statistiche, da calcoli di profitto svincolati da ogni valore metafisico. La nostra società si è assuefatta all’idea che tutto si spieghi coi numeri, ma ha spogliato i numeri di ogni sacralità. Siamo, per così dire, dei pitagorici depravati.
Il mondo può essere guarito solo da angeli ribelli, da una insurrezione di forze luminose contro i poteri occulti che dominano il mondo. Prendere gli idoli della modernità e sconsacrarli, spregiarli, dovrebbe essere il compito del dissoluto. Nel nostro opporci alla religione e all’etica del regime, le nostre parole devono suonare come una bestemmia. Se l’uomo moderno non resta scandalizzato o disgustato dai nostri pensieri, vuol dire che i nostri pensieri non valgono nulla.
Saremo impopolari, ma che importa? Non ci serve un vasto consenso. La nostra dissoluzione è affare privato, da condividere con pochi amici. Inutile discutere con chi non condivide la nostra semantica. “Il pubblico! Il pubblico! Quanti stupidi ci vogliono per fare un pubblico?”, diceva Chamfort. Il dissoluto non ama il popolo, non crede neppure che esista, lo reputa un concetto astratto. Il dissoluto è individualista perché teme il potere degradante della folla. Comprende, come dice Renard, la “superiorità del fiore sul mazzo”. È anarchico, perché non riconosce alcuna dignità nel potere che emana le leggi. In una società sana l’anarchismo non ha ragione d’esistere. Ma in una società malata – come la nostra – è una necessità spirituale.
Gli stupidi pensano che la morte di migliaia o milioni di persone sia una tragedia. Il loro postulato inconscio è che nessuno dovrebbe morire. Non capiscono che tragica può essere solo la ragione per cui si muore. Non è importante morire, ma come si muore. Il dissoluto ama la morte. Morire è infatti la dissoluzione par exellence. Come Montaigne, ne fa una premeditazione della libertà. Ne rimpiange l’antica nobiltà, come un reazionario rimpiange l’aristocrazia d’un tempo. Infatti solo la morte nobilita quelle cose che la vita ha reso volgari. La società moderna è invece terrorizzata dall’idea della fine. Teme che cataclismi, pestilenze o altre sciagure possano sterminare grandi masse di persone. Come se inconsciamente ritenesse possibile l’immortalità. E infatti lo crede, ma non può accettare un’idea tanto ascientifica.
Perciò la rimuove, e questo rimosso ritorna sotto forma di un folle attaccamento all’esistenza effimera della carne. Per questo l’uomo moderno è ossessionato dal corpo: salute, vaccini, diete, esami clinici, assistenza sanitaria. Prende gocce, compresse, supposte, con la stessa puntualità, fede e devozione con cui un tempo si recitavano le preghiere canoniche. Si è talmente alienato dalla consapevolezza di sé che deve fare controlli medici per sapere come sta. È questa idolatria del corpo e della salute fisica che ha aperto la strada all’attuale dittatura sanitaria. La gente, nella sua allucinazione ipocondriaca, si è buttata nelle sue braccia come sul seno della madre.
L’uomo moderno è assillato da un fantasma che cerca di esorcizzare con grotteschi riti sanitari, preoccupato unicamente di non perdere ciò che necessariamente e in ogni caso deve perdere. Il dissoluto invece sa che non si può amare la carne se non spiritualmente; sa di essere transeunte ma immortale, e non lo preoccupa l’idea di sciogliersi anche da questa vita.
Infine, il dissoluto sa perfettamente di essere uno sconfitto. Egli non può ambire che a una vittoria postuma. Potrebbe dire, con Davila, “non appartengo a un mondo che perisce. Prolungo e trasmetto una verità che non muore.”