Il dizionario gender dell'OMS
di Antonio Catalano - 18/10/2024
Fonte: Antonio Catalano
[Premessa necessaria] L’organizzazione mondiale della sanità e un’agenzia dell’Onu, gli stati membri contribuiscono al suo finanziamento per il 20%, il resto è frutto di “contributi volontari” destinati a programmi specifici decisi dal donatore, i quali decidono anche come e in quali paesi devono essere attuati. Stando così le cose questo organismo è, nei fatti, una struttura privata. Basti sapere che la fondazione “filantropica” di Bill Gates è il maggior contribuente. L’Oms non è quindi, come molti invece sono portati a credere, un organismo al di sopra delle parti, esso agisce secondo logiche privatistiche, le stesse che sono riuscite a imporre la salvifica soluzione di siero sperimentale dopo aver impedito sia ricerca che terapie di cura.
Nel 2011 l’Oms pubblicava il primo manuale di “Integrazione di genere per i manager sanitari”, una guida “user friendly” (facile da usare) per «aumentare la consapevolezza e a sviluppare competenze di genere sull’analisi di genere e sulla pianificazione gender responsive nelle attività del settore sanitario». Si noti l’uso del solito disturbante linguaggio, tipico degli ambienti globalisti (che ahimè! imperversa nella scuola).
Bisogna sapere che il gruppo incaricato dall’Oms per scrivere le linee guida per i transgender è composto da 21 membri, buona parte dei quali attivisti transgender. Difficile quindi pensare che vi sia una certa “obiettività” sul tema. Molti di questi sono membri e dirigenti della “WPATH (l’organizzazione che promuove approcci medici affermativi – si è quel che si crede di essere – di genere), tra i quali è ampiamente diffusa l’idea che l’identità transgender abbia addirittura una base biologica immutabile e che gli interventi di “affermazione di genere” (bloccanti ormonali, amputazione del seno, taglio dei genitali…) siano sempre sicuri ed efficaci.
Provate a domandarlo ai cosiddetti detransizionisti (quelli che disperatamente provano a tornare indietro), molti dei quali hanno assunto l’impegno morale e civile di raccontare il calvario che hanno subìto quando troppo giovani si sono lasciati condizionare dalla macchina propagandistica della “transizione di genere”.
Provate a domandarlo alla ventiduenne americana Luka Hein, che a soli 13 anni subì il fascino della narrazione transgender e grazie alla forte pressione di medici e psicologi compiacenti a soli 16 anni fu sottoposta al taglio dei seni (mastectomia) e poi a un’intensa terapia ormonale a base di testosterone tanto che oggi, a 22 anni, teme di non poter più avere figli. Oggi Luka va in giro per il mondo (in questo periodo è in Italia, fino al 27 ottobre) non solo per parlare del suo profondo dolore e della sua esperienza ma principalmente per dire che «nessuno nasce nel corpo sbagliato».
Nel manuale di “Integrazione di genere per i manager sanitari” c’è scritto che si ritengono dannosissime e discriminatorie le “terapie di conversione”, quelle cioè mirate a recuperare un equilibrio interiore che allontani dai percorsi di transizione di genere. Dannosissime e discriminatorie sicuramente per quel mondo che lucra da questo schifoso commercio giocato sui minori.
Poteva mancare in questo manuale l’attacco alla “eteronormatività”, ossia alla «presunzione che ognuno sia o debba essere eterosessuale, che l’eterosessualità sia la norma e che la società debba essere organizzata attorno ai bisogni delle persone eterosessuali»?
L’Oms vuole ottenere finanziamenti pubblici tesi a sostenere percorsi di “affermazione di genere” al fine di assecondare il “desiderio dei pazienti” che dichiarano di appartenere al sesso opposto, affermazione di genere che comporta il ricorso a bloccanti della crescita sessuale e spesso a interventi chirurgici di modificazione del corpo (mastectomia, taglio dei genitali, costruzione di organi sessuali).
Gli Usa hanno il pacchetto finanziario di maggioranza dell’Oms, per il tramite sia dello Stato che dei grandi interessi privati, non deve quindi meravigliare che il centro propulsore di simili pratiche criminali sia concentrato lì, ed è da lì che si irradia ovunque trovi terreno fertile ad accettare l’idea che l’essere umano possa (e debba) essere costruito in laboratorio. Non è un caso, si sappia che l’eugenetica è nata negli Usa nell’‘800.
Gli ambienti “progressisti” sono i migliori diffusori di queste logiche (e pratiche) anti-umane, si riconoscono subito per il linguaggio usato, infarcito di richiami alla non discriminazione e all’inclusione. Ambienti nei quali sembra del tutto naturale parlare di “affermazione di genere” e di “assegnazione di genere”, come se fossimo noi a stabilire se si nasce femmine o maschi