Il fallimento israeliano nella striscia di Gaza
di Daniele Perra - 26/01/2025
Fonte: Daniele Perra
Ad oggi, dopo quindici mesi di massacri e distruzione indiscriminata, si può affermare, senza timore di smentita, che l'azione israeliana nella striscia di Gaza si sia risolta in un sostanziale fallimento. Non solo Hamas è ancora al potere a Gaza ed è riuscito, paradossalmente, ad infliggere perdite rilevanti all'IDF nei mesi precedenti il cessate il fuoco. Il movimento di resistenza ha pure mantenuto in vita la propria organizzazione (estremamente strutturata e ramificata in tutti i settori della striscia); ottenuto ciò che voleva con l'operazione "Tempesta di al-Aqsa" (uno scambio di prigionieri ed nuova quanto rinnovata attenzione del mondo nei confronti della Palestina); e dimostrato di saper trattare in modo "umano" i propri prigionieri in virtù di precisi dettati religiosi (a differenza di quanto avviene nelle carceri israeliane).
Certo, la striscia è ridotta ad un cumulo di macerie e la nuova amministrazione trumpista sembra intenzionata a portare avanti il sogno immobiliare di Jared Kushner (genero dello stesso Trump) che vorrebbe fare di Gaza la "Los Angeles del Mediterraneo" libera da "fastidiosi palestinesi" (da spedire nel Sinai o in Giordania). Cosa che comunque porterebbe ad una nuova ed inevitabile fase conflittuale.
Tuttavia, ciò che mi pare necessario sottolineare è proprio l'incapacità militare dell'IDF e dei vertici politici sionisti di comprendere ed interpretare la natura del conflitto e del nemico.
In un articolo pubblicato su "Eurasia", oltre un anno fa ormai dal titolo "Geopolitica del conflitto Hamas-Israele", facevo le seguenti considerazioni: "A questo proposito, occorre anche aprire una breve parentesi, visto che alcuni storici militari israeliani da tempo criticano apertamente quella che è una delle istituzioni sioniste per eccellenza: l'esercito. Il riferimento è ad Uri Milstein e Martin Van Creveld. Il primo, balzato agli onori delle cronache per aver affermato a suo tempo che Ytzhak Rabin fosse in qualche modo responsabile del suo stesso assassinio, ha affermato che l'esercito israeliano è un'istituzione anti-intellettuale che uccide ogni forma di pensiero critico. Van Creveld, invece, dal canto suo, ha descritto l'IDF come una sorta di milizia armata non professionale la cui (presunta) superiorità rispetto agli altri eserciti regionali è data solo dall'utilizzo e possesso di sofisticati sistemi d'arma. Inoltre, sempre Van Creveld ha lamentato la quasi totale ignoranza in termini di dottrina e teoria bellica degli ufficiali israeliani che preferiscono tenersi aggiornati solo attraverso i canali di informazione del rabbinato militare (prodotto inevitabile del trionfo politico del sionismo religioso radicale nella società israeliana)".
In altri termini, l'esercito israeliano si è trasformato nel corso del tempo in una istituzione puramente ideologica in cui si fa carriera non tanto in base a reali abilità strategiche ma in conformità al totale allineamento (una cieca obbedienza) all'ideologia di riferimento. Dunque, i (presunti) successi militari israeliani sarebbero solo il prodotto dell'uso sproporzionato e spesso scriteriato della forza. Una forza bruta che, come già affermato, si rivela incapace di comprendere natura del conflitto e di un nemico che opera soprattutto sul piano asimmetrico. I "difetti" di un esercito puramente ideologico, nella regione, si sono già visti nel corso del conflitto Iran-Iraq, quando l'esercito di Saddam, dopo alcune (comunque difficoltose) vittorie iniziali si dimostrò strategicamente incapace di mantenere le posizioni acquisite a causa del fatto che tutti gli ufficiali erano scelti esclusivamente in virtù della loro appartenenza al clan tribale dello stesso Saddam e della loro fedeltà alla sua particolare interpretazione del ba'athismo. Al contrario, e paradossalmente, l'Iran poteva contare sia sul piano ideologico delle milizie volontarie sia su quello "professionale" di un esercito addestrato "all'occidentale" e solo parzialmente epurato degli elementi che lo governavano sotto lo Shah (altri furono richiamati in servizio - più o meno quanto avvenne in URSS nel 1941, quando Stalin si vide costretto a ridare spazio a molti ufficiali "purgati" e finiti nel circuito del GULAG).
La riduzione della strategia bellica sul piano meramente ideologico, inoltre, produce effetti particolarmente nocivi sul lato "mediatico". Anche in questo caso, Hamas ha mostrato maggiore studio e abilità di Israele nell'utilizzo dei mezzi di informazione (si veda il rilascio delle quattro soldatesse). Di fatto, se mostri compiaciuto sulle piattaforme sociali la profanazione di chiese e moschee e l'umiliazione della popolazione civile, sicuramente otterrai approvazione da parte della stragrande maggioranza del pubblico israeliano (totalmente assuefatto all'idea del palestinese inumano che merita l'annichilimento), ma i riflessi sul piano internazionale saranno deleteri.