Il falso, il brutto e il cattivo
di Livio Cadè - 12/06/2022
Fonte: EreticaMente
Caccia alle streghe
In genere non presto molta attenzione ai casi spiccioli, agli scampoli di attualità. Chiudono lo sguardo in orizzonti angusti e, se non sai trascenderli, ti impediscono di cogliere verità più universali. Eppure, è proprio il frammento di cronaca, l’evento minimo, che talvolta esprime con più efficacia un senso o un valore generale. Ma in questi tempi (che alcuni dicono essere gli ultimi) son tanti i fatti pazzi, grotteschi e marci che ci piovon sulla testa, che a volte sospetto sia solo un brutto sogno.
Ad esempio, pochi giorni fa mi trovavo all’ingresso d’una sala da concerto. Faccio per entrare ma vengo fermato. È d’obbligo la maschera, dunque rinuncio. Noto che anche lì nel vestibolo, benché non sia prescritto da alcun regolamento son quasi tutti mascherati. Vorrei capirne la ragione e tento una sommaria indagine, butto lì qualche domanda con noncuranza. Le risposte son prevedibili: “per prudenza … ci sono abituato … per rispetto degli altri”. Solo un tizio mi sorprende: “è una forma di galateo” (sic!). Ecco quel che si dice “passare dall’etica all’etichetta”. In futuro non indossare la mascherina sarà inelegante come il far rutti o flatulenze.
Mentre distrattamente do un’occhiata al programma un tale mi s’accosta. “Ha visto che roba?” mi chiede. “Ciaikovsky, Rachmaninoff, Prokofiev!”. Lo guardo perplesso. “Tre musicisti russi!” sbotta, dando particolare enfasi alla nazionalità. Par che intenda: “qui s’attenta alla pace, ai diritti umani, si collabora col nemico!”. È scosso, turbato, come se l’avesse fissato lo sguardo torvo di Rasputin. O forse il tizio è posseduto da demoni maccartisti. Nella sua fronte, negli occhi – il resto del viso è nascosto – cerco di cogliere, lombrosianamente, i segni dell’imbecillità congenita. Ma, obiettivamente, non vedo anomalie. Forse perché è normale oggi essere imbecilli. In effetti, tra giornali, tivù e discorsi della gente, le testicolerie ridondano, sono ordinaria amministrazione. E se ne potrebbe pure ridere, se non avessero tante infauste conseguenze.
C’è quello che “se non ti vaccini muori”; c’è l’uomo chiuso nella sua automobile con la mascherina sul volto; il giornale ‘liberale’ che pubblica una lista demenziale di persone non grate al regime; ci sono i ‘liberi pensatori servili’; i registi fru fru acclamati dalla critica per aver sodomizzato la Tosca o gomorrizzato Rigoletto etc. Inutile moltiplicare gli esempi. Basterebbe quella Madonna snudata e lasciva, portata in processione con lubrico orgoglio. Son tutti prodotti metabolici di una società le cui evacuazioni culturali hanno minor dignità di quelle naturali.
Dogma trinitario
Purtroppo dobbiamo barcamenarci in un mondo che galleggia sugli escrementi del falso, del brutto e del cattivo. Bisognerebbe dire ‘falsobruttocattivo’, una parola sola. È infatti una sostanza unica, benché trina. Qualcuno ha detto che il bello è lo splendore del vero. Allo stesso modo il brutto è l’ombra del falso, come il Padre genera il Figlio, e da loro procede lo Spirito Maledetto, il cattivo. Trinità satanica in cui, per vie metafisiche, il falso comunica la sua natura alle altre ipostasi. Non è possibile capirlo razionalmente perché, come tutte le trinità, è un mistero.
Tuttavia, se aprite il Vangelo secondo Belzebù, primo versetto, troverete questa solenne affermazione: “in principio erat Falsum”. È infatti la menzogna che ab initio corrompe la coscienza dell’uomo, allontanandolo dalla vita vera e dalla vera felicità. Accade così che la gente, anche quando compie le peggio nefandezze, si illude di servire una buona causa. Tutta la nostra società mente a sé stessa. Per vedere le cose dal lato giusto, occorre quindi ribaltarle: chi voglia informazioni, deve chiederle alla cosiddetta ‘disinformazione’, chi desidera curarsi deve evitare la medicina ufficiale etc.
“Il falso è la radice d’ogni male” è un dogma non oppugnabile, un assioma evidente di per sé. L’attuale epidemia di stupidità è un suo corollario, perché tutte le varie buaggini su russi, vaccini, liberi amori etc. nascono dalla negazione del vero. Tale deficit intellettuale non è da imputare alla natura ma all’educazione, a un sistema in malafede, che attraverso la scuola e i media col tempo compromette la pristina intelligenza umana. Troviamo infatti gli esempi di massima imbecillità proprio tra persone istruite e ben informate.
Un tempo la stupidità aveva carattere più semplice, popolare. Oggi è accademica, barocca e ridondante, tendente alla leziosità e al manierismo. Ciò dipende da una falsità più ricca ed evoluta, nutrita di concezioni scientifiche, storiche, psicologiche, sociologiche etc. in cui reale e fittizio, verità e bubbola, si fan quasi indiscernibili. È grazie a questa confusione che il brutto, spacciandosi come espressione di libertà, ha potuto imporsi in quanto nuovo valore – nella volgarità del linguaggio, nell’aberrante policromia sessuale, nell’arte putrefatta – e che il cattivo, col pretesto del progresso e della sicurezza, può oggi far pendere sul nostro capo, appesi a un filo, orrori mai visti prima.
Esame d’armonia
È un mondo positum in maligno, direbbe sant’Agostino. E poiché questo elemento maligno è triplice è analizzabile in tre modi. Col metodo filosofico si può riconoscere il falso, con quello etico il cattivo. Tuttavia, il criterio più sicuro è, a mio parere, l’estetico, mentre gli altri due possono trarre in inganno. Il mentire e la cattiveria si possono dissimulare, più difficile è nascondere la bruttezza. Un sorriso artefatto può coprire la violenza, un ragionamento sottile la bugia ma al senso estetico non sfuggirà una disarmonia, un che di sgraziato, che ne rivela la malignità.
Una tigre è certo pericolosa, ma non può essere falsa o cattiva, perché è meravigliosamente bella. Osservate invece le zecche. V’è nel succhiare il sangue degli altri qualcosa di sicuramente maligno. È come se l’élan vital avesse imboccato in questi parassiti un vicolo cieco, optando per uno stile di vita che contraddice ogni sano impulso evolutivo. Ma per capirlo non serve conoscere le loro abitudini alimentari, basta guardarli. Sono brutti, mostruosi, repellenti.
Ora esaminate i cosiddetti politici, altra specie dalle abitudini ematofaghe. Prima ancora che dalle loro azioni, potete capire che sono falsi e cattivi dal fatto che, come le zecche, sono brutti. Non ve n’è uno che abbia sembianze armoniche. Non parlo della bellezza di un Saint-Just o della bruttezza di un Mirabeau, che son forme superficiali, da cui non si può giudicare un animale profondo e complesso qual è l’uomo. Alludo a quel che di interiormente deforme e laido si riflette nei loro volti, nelle fisionomie. Guardo le immagini delle campagne elettorali appese sui muri delle strade e penso agli sforzi eroici dei fotografi. Non c’è artificio che possa nascondere tale bruttezza!
“Ai miei tempi…”
Quindi, non so dire se viviamo nel migliore dei mondi possibili. In compenso credo che, tra quelle a me note, questa sia la peggiore delle società possibili. Luogo di una negatività radicale che non può mutare per effetto di rivoluzioni politiche (troppe ne abbiamo fatte e con pessimi risultati) ma di una conversione e redenzione delle coscienze. E questo è effetto più della grazia che delle scelte umane.
Non vorrei ripetere un vecchio, geremiaco stereotipo: “viviamo in un secolo degenerato, dai costumi dissoluti, dove van persi gli antichi valori” etc. So che la vecchiaia tende a trasfigurare il passato, ne smussa gli angoli, per nostalgia della giovinezza. E in un’età più verde si fa del mondo il capro espiatorio del proprio scontento. È facile rimpiangere ciò che non si è vissuto, e «il passato riceve sempre una gloria dall’essere lontano». Così, in ogni tempo troviamo chi, con umore malinconico o sprezzante, vagheggia il mondo classico, il medioevo, il rinascimento, il secolo romantico, qualche epoca trascorsa e scolorita, chi parla di decadenza e di “ultimi giorni”.
In tal senso, ciò che distingue noi moderni è il mito del progresso. Ci salva dal rimpianto, perché teorizza a priori che il domani sarà meglio di ieri. Col risultato che il modello si rovescia e si idealizza il futuro, e noi si resta frustrati da un presente che non è mai come dovrebbe essere. Ogni critica al qui e ora trova così una banale spiegazione psicologica. Ma esiste un’altra ipotesi, sensata e legittima, secondo cui le civiltà subiscono un fatale regresso e, dopo la perfezione dell’origine, scivolano sempre più in basso, verso la barbarie, consumandosi in un’inesorabile entropia.
Quindi, indipendentemente dall’epoca in cui vive, avrebbe ragione chi se ne lamenta. La storia comincia con un incendio creativo, un fiammeggiare di grandi idee che gradualmente si estingue, lasciando l’uomo al freddo e al buio, in mezzo a un crescente disordine. Il laudator temporis acti non è solo il cantore elegiaco del passato ma l’osservatore scientifico dei tempi e della loro fisiologica involuzione. Sa che il progresso è una chimera e, nella sua retorica dei ‘bei tempi andati’, esprime un’eterna verità.
Si direbbe che l’opera del tempo procede in senso opposto a quella di un buon alchimista. Eone dopo eone, civiltà di metallo sempre meno nobile si susseguono e noi, esaurite le età dell’oro, dell’argento, del bronzo, siamo le creature dure, opache, di un’era ferrosa. Finiti i tempi degli Dei, dei semidei e degli eroi, ci tocca vivere il tempo meschino degli uomini. Questa dolorosa china è nota da tempi remoti a sapienti equamente divisi tra Oriente e Occidente. Già Esiodo, da noi, ne parla con classica limpidezza.
Età della ruggine
Non so con precisione quando la “stirpe di ferro” sia apparsa su questa terra. Gli uomini che “mai cessano di penare e piangere, o di angustiarsi la notte”, che abbandonano i vecchi genitori, che ripongono il diritto nella forza e non rispettano i giuramenti, artefici di violenze e saccheggi, ambigui e ingannevoli, empi e corrotti, oltraggiatori della giustizia etc., mi sembrano esistere da sempre. Ma dev’esserci stato un tempo in cui l’uomo era felice, in armonia con Dio e col creato. Poi il mito gradualmente ha ceduto alla storia, la poesia alla tecnica, e a misura che i cieli dell’astronomia si son dilatati, si son ristretti quelli del misticismo e dello spirito.
E ormai su di noi pesa l’ombra di una fine imminente: la meccanizzazione della vita, l’inquinamento del pianeta, gli ordigni atomici e chimici, gli allevamenti intensivi, i trapianti di organi, il degrado urbano, i bambini in provetta, l’ellegibitismo, il giornalismo di regime e altri funesti presagi. Con i nostri macchinari abbiamo ricoperto di grigio ferro la verdeggiante terra. La nostra mente è chiusa in scatole metalliche. Abbiamo il ferro nel cervello, nel sangue, nelle cellule. Inserendo microchip e particelle ferrose nel corpo verremo tutti magnetizzati e automatizzati. Se dunque Zeus, dopo le altre stirpi, distruggerà anche questa, non sarà una gran perdita.
Ma qualcuno già teme che il tempo degli uomini possa cedere il posto a quello di mostri umanoidi, di uomini-macchine, e che all’età del ferro segua quella della ruggine, o di materia ancora più ignobile. Tuttavia, i veggenti dicono che la nostra civiltà poggia le sue natiche ormai spelate e sudice sul fondo più basso della storia. Ovvero, che c’è un limite al peggio. E che Nemesi già incombe, vendicatrice, perché «per coloro che dura empietà ed azioni crudeli hanno a cuore, Zeus Cronide dall’ampio sguardo il castigo riserva». La speranza, rimasta in quel vaso da cui usciron tutti i mali, ci dice così che torneranno nuove età dorate.
Preghiera contro i demoni
Gli scettici scuotono il capo. Nessun testo di fisica, di chimica o di biologia fa menzione di queste cose. Quindi, son solo materia di fede o di fantasia. Nel dubbio, potremo fare una scommessa, come quella di Pascal. I progressisti punteranno sul ferro e le sue magnifiche sorti, io sulla fine catastrofica del Kali-yuga e sul successivo ritorno all’oro. Non quello delle banche, ma quello che si estrae da giacimenti spirituali. Anzi prevedo che ci libereremo del denaro. Forse l’età del ferro comincia proprio da lì, dalla prima moneta, dal capitale, e perché l’oro torni a splendere dovremo prima ripulirlo dallo “sterco del diavolo”.
«Amico, destati e vigila. Il diavolo ti gira costantemente intorno» dice Silesius. Infatti i fumi maleodoranti del denaro penetrano ovunque, in ogni fessura della società e della nostra coscienza. Ad ogni passo dovremmo recitare un esorcismo. Io ne conosco uno potente, tratto dalla tradizione ortodossa: «che Dio risorga e i suoi nemici svaniscano. Come la cera si scioglie davanti al fuoco, come il fumo si disperde al vento, tutti coloro che odiano il Signore fuggono al Suo cospetto e i giusti si allietano». Chi sono “coloro che odiano il Signore”? Son quelli che oggi calpestano ogni legge umana e divina, che irridono a tutto ciò che è sacro, i plutofili, i servi del falsobruttocattivo.
Chi non crede in Dio e preferisce accomodare tale formula a gusti laici, si rivolga alla Verità, alla Bellezza, al Bene, ne invochi il ritorno. Trattenga il senso della preghiera e non dia importanza ai nomi. In questo crepuscolo dell’età del ferro, le parole, i sistemi, le teorie, non fanno che allontanarci dal vero, come forze centrifughe. Guardiamo troppo ai significanti e troppo poco al significato. Abbiamo messo il baricentro dell’essere nel cervello, alla periferia. Perciò siamo così squilibrati. Per camminare sul filo della vita occorre riportarlo al centro.
Solo quando rimettiamo in moto il cuore e il suo esprit de finesse la coscienza si converte e si illumina. L’amore senza limiti, esibito in orgogliosi cortei, che non fa discriminazioni, che non accetta alcun ordine naturale o metafisico, ci appare allora per quello che è: narcisismo, rancore, desiderio di vendetta. Le pretesche, gelatinose omelie sulla ‘pace’ rivelano i fini sinistri della guerra, i progetti di conquista, gli interessi meschini e le paure poco virili. Dietro le promesse di felicità e di benessere che quotidianamente ci seducono vediamo le trappole, i bocconi avvelenati. Capiamo che la preoccupazione per la ‘salute pubblica’ è di fatto una ‘malattia pubblica’, che la nostra ‘democrazia’ è totalitarismo, la nostra ‘libertà’ è servitù etc.
Questione d’onore
La verità è la pietra filosofale, lo strumento della futura trasmutazione in oro. Ecco il nuovo assioma da ricordare, speculare al primo: “la verità è radice d’ogni bene”. Non bisogna però scambiare per verità la conoscenza provvisoria di cose e fatti. Comprendere sé stessi, ripulire dal falso la propria anima, questa è l’alchimia che cambia il mondo. Solo che il mondo non vuol cambiare, odia la verità e le resiste. Per questo si uccidono i profeti e i missionari troppo zelanti, che cercano di convertire o illuminare gli altri.
Non dobbiamo pretendere, da soli, di sconfiggere il falso secolare, strutturale, che regge il mondo. Esorbita dalle nostre capacità, e dai nostri doveri. Non possiamo neppure chiedere aiuto alle leggi, alle costituzioni e alle regole che dovrebbero difenderci e garantirci dei diritti, perché sono emanazioni del male che ci governa. Possiamo coltivare una verità privata, interiore, ma come società siamo condannati, impotenti a contrastare l’entropia della storia, il dilagare dell’oscura trinità. Se la combattiamo, lo facciamo per onore, sapendo di esporci a un’inevitabile sconfitta.
Siamo come l’usignolo di cui parla Esiodo, che geme ghermito e trafitto dagli artigli dello sparviero. «Sventurato, perché vai gridando? Ora ti stringe uno molto più forte. Tu verrai dove io ti trascino e pasto farò di te, qualora lo voglia, o ti lascerò libero. Stolto chi ambisce a lottar coi più forti: della vittoria è privato, e in aggiunta alla beffa tormenti subisce». Non possiamo da soli liberarci dalle unghie del Potere e dei suoi vampiri.
Se abbiamo ragioni di sperare è perché nella storia agiscono forze spirituali che ci trascendono. «Sulla terra, di molti nutrice, vi son trentamila immortali, da Zeus mandati, custodi degli uomini mortali; i quali scrutano i responsi e le azioni malvagie … e c’è la vergine Giustizia, da Zeus generata, e quando qualcuno l’offende, presto presso il padre sedendo, le trame gli dice degli uomini ingiusti». E Zeus provvede, manda i suoi legati a ristabilire l’ordine, a raddrizzare la Legge.
Dobbiamo dunque contare sull’aiuto di esseri superiori, fidarci di un Principio che regola le orbite dei popoli e degli astri, aspettando che la Ruota cosmica completi i suoi giri? Se male interpretata questa idea nuocerebbe al senso della nostra responsabilità personale. D’altro canto, un senso d’autosufficienza può illuderci che il futuro stia tutto nelle nostre mani. Occorre conciliare i due estremi. Non siamo noi a muovere le albe e i tramonti della storia, i suoi inverni e le sue primavere. Non saremo dunque noi a far sorgere il sole dell’avvenire, che dissolve tenebre e vampiri.
Un’influenza risanante
Possiamo però scegliere d’essere uomini veri od omuncoli. L’omuncolo si conforma, crede il falso, ammira il brutto, giustifica il cattivo. Questa è la via più facile e più consona ai tempi, anche se, in termini tradizionali, conduce all’inferno. L’uomo vero prende invece la via stretta, difficile. Immaginiamo di calare nel presente una di quelle favolette di Esopo, dove si associano animali a caratteri umani. Non è tempo questo d’essere impetuoso leone, astuta volpe, previdente formica etc. Il nostro modello di virtù oggi è il salmone. Spinto da un impulso misterioso, il salmone va controcorrente, supera con arditi balzi gli ostacoli, si espone alla fame e a pericoli mortali per tornare al suo luogo d’origine e generare una nuova stirpe.
Dobbiamo uscire dalle correnti del pensiero convenzionale, che oggi idealizzano il progresso tecnologico-scientifico o che, all’opposto, sognano di riesumare obsoleti sistemi di vita. Entrambe si illudono di condurci a un futuro migliore, mentre non fanno che perpetuare i limiti e gli errori del passato, aggravandoli. Pensano di poter edificare il nuovo sulla base del vecchio, e non s’accorgono che questo non è più possibile, che il conosciuto è diventato per l’uomo una terra insidiosa, piena di paludi e sabbie mobili.
Il salmone segue una spontanea intuizione, si lascia alle spalle ciò che conosce e non sa cosa l’attende. Le opinioni comuni gli appaiono assurde perché, procedendo in senso contrario, la destra è per lui la sinistra, il davanti il dietro, e viceversa. I pesci che seguono la corrente lo credono folle, mentre è solo al di là della loro comprensione. Nella nostra favola morale il salmone va per la sua strada e non ascolta chi vuol spingerlo nella ‘normale’ direzione. Difende il suo onore di Folle, incurante delle critiche, ubbidendo al mistero che lo guida, anche se gli impone fatiche e sacrifici. Infatti, «dinanzi all’onore han posto il sudore, gli Dei immortali: lungo e scosceso è il sentiero che ad esso conduce».
Pochi prendono dunque questa strada. Ma il richiamo della verità si farà via via più potente. E quando il numero di salmoni raggiungerà la massa critica si creerà un contagio. Alcuni si troveranno, senza neppure pensarci, a cambiar senso di marcia e altri li imiteranno, sempre di più, come infettati da un benefico virus, da una febbre purificante. L’epidemia del salmone sarà il segno che stiamo uscendo dal Kali-Yuga.