Il fantasma della verità
di Livio Cadè - 30/01/2022
Fonte: Ereticamente
Mi piace camminare nei campi, guardare le anatre che scivolano placidamente nel fiume, ascoltare i richiami degli uccelli tra gli alberi. Mi fa dimenticare le convulsioni della società, il suo intossicante fumo di parole, e quel nauseante olezzo di menzogna che impregna ormai ogni cosa. Raggiunto il benefico oblio, l’anima può godere di una bellezza innocente, di una semplice e naturale verità.
Ma è un sollievo effimero perché anche nei recessi più solitari della campagna capita di incrociare uomini larva. Esseri strani, che mi sbirciano di sghembo, corrugando la fronte, scandalizzati dal mio volto nudo. I loro occhi, unica parte visibile, sono a volte astiosi, a volte spauriti, o vitrei, come prigionieri di un sogno. Allora mi ricordo che l’inferno alita sul mondo desolazione e follia.
L’uomo larva è il prodotto di una mutazione antropologica. Esteriormente, non si notano rilevanti modifiche. Semplicemente, il soggetto mostra una maschera incorporata nella sua struttura facciale. È presumibile che nel giro di qualche generazione i bambini nasceranno già dotati di una membrana epiteliale che ricopre il volto dal mento fino alla radice del naso, e gli evoluzionisti avranno il loro bel daffare a spiegarlo. La mutazione psicologica presenta invece aspetti più vari e complessi che il termine ‘larva’ vorrebbe riassumere.
Nell’antica Roma questa parola indicava infatti sia una maschera usata per metter paura ai ragazzini sia il fantasma di un’anima senza pace, condannata a vagare nel mondo. Da Linneo in poi ‘larva’ definisce anche uno stato di transizione che l’insetto attraversa prima di assumere la sua forma adulta (non oso immaginare l’homo insectum nel suo stadio finale). Infine, si trovano masse brulicanti di larve su organismi in putrefazione.
Nell’uomo larva v’è un po’ tutto questo: non mostra un volto umano; la sua mente vive in una dimensione spettrale, di ombre; è convinto d’essere lo stadio provvisorio di un essere che l’evoluzione – o il progresso – si incaricherà di guidare verso una più perfetta morfologia; si ciba coi resti di una civiltà in decomposizione.
L’uomo larva, preso collettivamente, rappresenta indubbiamente un pericolo per la società. D’altro canto, come individuo, ha nella sua costituzione psichica qualcosa di grigio, triste e febbrile, un’aria cagionevole e malaticcia che induce alla pena. In questo senso diciamo “si è ridotto come una larva” di qualcuno che ci appare estenuato, fiaccato, ridotto a una diafana apparenza di vita.
Difficile dire come avvenga il passaggio da homo sapiens a homo larva. Non credo dipenda da cause biologiche. Piuttosto da una colpa morale, da un deficit spirituale (quelli per cui ‘spirito’ e ‘fantasma’ son sinonimi vedranno qui una contraddizione. Devo precisare perciò che con ‘spirituale’ intendo ciò che ha il più alto grado di concretezza e di evidenza reale). La regressione a uomo larva è probabilmente il risultato di un peccato involutivo, ma ‘peccato’ è termine scomodo, evacuato da tempo dalla nostra cultura e ingrato per orecchie moderne.
Per altro, l’uomo larva può sembrare una persona ammodo, timorata di Dio. Alcuni di loro sono ostili e aggressivi, altri sono timidi e gentili. Tuttavia, anche negli uomini larva più pacifici v’è un desiderio, più o meno intenso, di eliminare fisicamente le persone non vaccinate. Vorrebbero venissero trattate come l’Inquisizione trattava eretici e streghe, come i rivoluzionari trattarono i lealisti vandeani, i nazisti gli ebrei ecc.
Poiché però si reputa persona buona e civile, si accontenta per ora che siano ridotte alla fame, sottoposte all’apertheid, a sanzioni, discriminazioni e feroci privazioni di libertà. Ma non dispera che in futuro il governo adotti contro di loro misure più severe. Tuttavia, non potrebbe concepire d’essere una persona malvagia, anzi, resta convinto di agire e pensare a fin di bene. Si dichiara contrario a ogni malvagità, passata, presente o futura. Così, in un ‘orgia di ipocrisia e di retorica, celebra ‘giorni della memoria’ non per ricordare il male che altri hanno fatto ma per dimenticare quello che lui stesso fa o che passivamente tollera.
Questo mi ha ricordato una vecchia disputa morale. Quasi mille anni fa alcuni monaci di Chartres posero a san Bernardo un problema che si potrebbe formulare così: si dice che se un uomo, con l’intenzione di far del male, fa involontariamente del bene, la sua azione resta cattiva. Dunque, dobbiamo supporre che chi fa del male con l’intenzione di fare del bene, compie comunque un’opera buona.
Non so se la gente si pone più simili domande. Comunque, Bernardo rifiutò quella conclusione. Rispose che chi fa del male senza intenzione, o anche con buone intenzioni, pecca comunque. Non basta la ‘buona fede’ a giustificarlo. Se uno non vede il male che fa, la sua coscienza manca di verità, e una falsa coscienza non può esser gradita a Dio. V’è quindi in lui una colpa obiettiva, seppure inavvertita, indipendentemente da ogni disposizione morale soggettiva.
Probabilmente questa concezione rigorosa risulta oggi incomprensibile. Secondo il locus communis che disciplina la materia, la colpevolezza va proporzionata all’avvertenza del male compiuto. Questa opinione è ormai pacificamente accettata sia in campo religioso che morale o giuridico. Già Abelardo oppose argomenti razionali alla visione intransigente di Bernardo, sostenendo l’importanza dell’intenzione soggettiva nel giudicare il peccato.
Abelardo addusse casi biblici. Come poteva l’inconsapevole Eva riconoscere la malizia del serpente e non cadere nel suo inganno? E quelli che causarono la morte di Cristo, furono realmente colpevoli? Il Sinedrio pensò fosse suo dovere punire un bestemmiatore; Pilato svolse il suo ruolo di tutore dell’ordine; i soldati eseguirono gli ordini. Anche quelli che lapidarono Stefano, il protomartire, pensavano di compiere un atto moralmente e religiosamente ineccepibile. Nessuno di costoro pensava di far male.
Lo stesso Cristo avverte i discepoli che verranno perseguitati da persone che riterranno di far con ciò opera gradita a Dio. E, sulla croce, prega il Padre di perdonare i suoi carnefici “perché non sanno quello che fanno”. Con questa citazione Abelardo sembra chiudere la disputa. Chi può mettere in dubbio le parole del Salvatore? Bisogna perdonare il male compiuto senza una conscia volontà (senza un informato consenso, diremmo oggi).
A me pare però che l’invocazione espressa da Gesù in articulo mortis si possa interpretare diversamente. Perché dovrebbe chiedere il perdono per i suoi carnefici se non li ritenesse colpevoli? Potremmo dedurne quindi che l’ignoranza non basta a scusarli e che Cristo assuma la difesa dei suoi ottusi torturatori per compassione, non perché li ritenga innocenti. E di fatto, anche l’ingenua, inconsapevole Eva fu punita.
Comunque, l’idea di Abelardo prevalse. San Tommaso la sviluppò e la scolastica fece della ‘buona fede’ un’attenuante universalmente ammessa. Tuttavia, rispetto alla scrupolosa casuistica morale, che pesa le colpe in rapporto alle intenzioni coscienti, a me pare che Bernardo, col suo istinto mistico, vada più in profondità e tocchi il cuore del problema.
Il peccato non è allora un semplice atto ma uno stato dell’essere, una perdita di discernimento. Confondere il male col bene presuppone una coscienza alienata dalla verità, quindi da Dio e dal bene. Eva, Caifa, Pilato, i soldati romani e i lapidatori giudei, son dunque colpevoli del male che fanno, anche se non lo sanno e a loro sembra di far bene. La radice del peccato è il dimorare in una falsa coscienza.
Si presuppone così un’etica della verità, un’idea obiettiva del bene per cui è malvagio ogni atto o pensiero che nasca da una falsa percezione della realtà, indipendentemente dalle intenzioni apparenti. La virtù non dipende dalle motivazioni psicologiche ma da una illuminazione intellettuale, e la colpa non starebbe nel fare o non fare ecc., ma nella propria condizione di ignoranza. Come dice Abhinavagupta, il massimo filosofo shivaita: «qui la conoscenza è la causa della liberazione; perché sopprime l’ignoranza, che è la fonte della cattività».
L’esser ‘cattivi’ coincide quindi con questa ‘cattività’ che è illusione e ignoranza della verità. In questo senso considero la mutazione larvale dell’umanità un effetto del ‘peccato’, perché gli uomini larva non riconoscono la verità. Sedotti anch’essi dal Maligno, come Eva, credono che il frutto della scienza – un ‘vaccino’ che tanto ricorda la mela offerta all’ignara Biancaneve – li renderà immortali. Davanti alla verità si stracciano le vesti come il Sommo Sacerdote, o se ne lavano le mani come Pilato. La crocifiggono con noncuranza, come militari che fanno il loro dovere. Son pronti a lapidare chi ‘bestemmia’ la Legge, convinti così di purificare la società.
Chi sostiene un moralismo delle intenzioni direbbe che queste persone son state ingannate, ma che in fondo sono in ‘buona fede’, convinte d’esser nel giusto. Quindi non hanno colpa. Io stesso, in altre occasioni, le ho paragonate a soggetti sotto ipnosi o a zombi creati dal vudù mediatico. Possiamo considerare un uomo ipnotizzato responsabile di quello che fa, dice o pensa?
Io ribalterei la domanda: è possibile cadere in uno stato di ipnosi senza un’intima una complicità con il ‘Mago’? Io credo che l’uomo larva non potrebbe ubbidire a ordini malvagi se non vi fosse già in lui l’inconscia adesione al male. L’ipnosi ha fatto emergere la rabbia e l’angoscia che erano latenti in lui, le ha disinibite, le ha anzi giustificate e incoraggiate. Per questo, come il doctor Mellifluus, non penso che l’incoscienza lo renda innocente.
L’intenzione non giustifica. Ogni sorta di ladro, assassino, pervertito e ipocrita trova delle buone ragioni per il male che fa. I banchieri, gli affaristi, i politici, i giornalisti e tutti quelli che oggi mentono deliberatamente, consapevoli di causare distruzione e morte, son convinti d’avere buoni motivi per farlo. Dovremmo condannarli solo perché noi abbiamo una diversa idea del ‘bene’? Una morale che giudichi l’aspetto soggettivo della responsabilità morale non ce lo permetterebbe.
Se avalliamo un’etica delle intenzioni dobbiamo coerentemente giustificare tutto, secondo il “tout comprendre est tout pardonner” di Pascal. Non potremmo indicare un bene che si fondi su criteri veri e obiettivi perché non vi sarebbe alcuna verità, solo convenzioni, calcoli probabilistici, punti di vista. E se questa fosse la verità, dovremmo negarla a sua volta. La verità diverrebbe così un fantasma sempre sfuggente e inafferrabile.
In realtà, ogni uomo, nel corso della sua vita, fa esperienza della verità e della falsità. Il suo stesso dubitare prova che tende istintivamente al vero, verso un’evidenza che la sua coscienza può cogliere. La verità che cerchiamo non è un fantasma, ma il frutto concreto dell’esser pienamente presenti alla realtà, maturato dall’applicazione delle nostre facoltà spirituali e intellettuali.
La psicologia dell’uomo larva inclina invece a un rapporto convenzionale con la verità. È per lui impossibile indagare con mente libera e serena. Perciò crede supinamente ai mass media, all’autorità, come assorbendo da loro una scienza infusa. Vive nella mistica dell’informazione di massa. Accetta i vari idola mentis del sistema senza dubitarne. Per questo è colpevole, nella sua volontà più profonda, quando trema all’ombra di un virus, quando per timore di un’influenza collabora con un regime totalitario e ne asseconda i disegni perversi.
Non ha per me alcun valore la ‘buona fede’ di chi, di sottecchi, mi fissa con sospetto o rancore. Se costui, per effetto di una propaganda subdola, per fragilità d’animo, ha creduto in un primo momento alla favola della pandemia, facendosi accecare da un odio e da una paura creati ad arte, ha poi avuto tutto il tempo per osservare, ragionare e ricredersi. Chi è attratto da un miraggio, avvicinandosi può ben vedere d’essersi ingannato. Chi crede che i frutti di un albero siano dolci, può ben assaggiarli e rendersi conto del contrario.
Se davanti alle contraddizioni, alla illogicità, alle assurdità, alle incoerenze ufficiali, davanti agli effetti avversi delle ‘buone intenzioni’, alla barbarie della politica, alle quotidiane falsificazioni giornalistiche, qualcuno ancora non ha aperto gli occhi, non può essere innocente. Né lo sono coloro che girano lo sguardo altrove o per opportunismo fingono di non vedere gli esiti devastanti delle ‘verità’ in cui credono. La loro ignoranza, la loro paura animalesca, il loro odio, il loro torpore spirituale, esprimono una malvagità che non è meno colpevole per il fatto d’esser nascosta e inconsapevole.
Se oggi mostruosi Ragni umani possono imbozzolare il mondo dentro una bava di menzogne e divorarselo è perché gli uomini larva, con la loro condiscendenza, lo permettono. Non è solo il potere del denaro, della stampa, delle armi ecc. a far da scudo ai tiranni, ma l’assenso silenzioso delle masse. Chiamati a giudizio dalla storia, anche gli uomini larva diranno che non sapevano, che ubbidivano, che agivano in buona fede.
Presumo che Bernardo spregerebbe le loro ‘buone intenzioni’ e forse loderebbe quelle che a loro sembran ‘cattive’. Per lui, focoso ispiratore di crociate e dello Iustum Bellum, come per il Krishna della Bhagavad Gita, combattere i distruttori della civiltà è infatti un sacro dovere, una santa violenza; uccidere malvagi e tiranni non è omicidio ma malicidio; dispensare loro la morte è quasi amministrare un sacramento.
L'uomo o larva vede in ciò un fanatismo sanguinario, congeniale forse a un Templare o a un samurai, ma che fa tremare i polsi alla sua pallida etica borghese. Eppure, nel suo emaciato moralismo, l’uomo larva trova civile far morire di fame milioni di ‘infedeli’ che non adorano il Dio Vaccino. Gli pare un ‘beneficio obiettivo’ eliminarli con sistemi democratici. Di fatto, prende l’idea di Bernardo e la adatta alle nuove dogmatiche sociali. È facile prevedere che questo avrà conseguenze terribili in una società come la nostra, dove a definire la ‘verità’ sono mass media e scienziati corrotti.
Il teutonico “Gott mit uns” diventa “la Scienza è con noi” e, forti di questa certezza, si può procedere brutalmente ma in perfetta ‘buona fede’ e con le migliori intenzioni. Già ora vediamo come, in nome di una ‘verità scientifica’, si insinui il principio che uccidere i non vaccinati non sia un crimine ma una necessaria sanificazione sociale, una razionale eugenetica; come, invocando dati e percentuali, si vada autorizzando una sorta di ‘eutirannia’, totalitarismo illuminato e dal volto buono.
Forse, proprio considerando le violenze compiute in suo nome, si potrebbe ritenere più prudente sbarazzarsi della ‘Verità’, farne un fantasma. Di fatto, la torsione nichilista e relativista della nostra cultura corrisponde a un desiderio di veriticidio. Ma l’uomo non può vivere senza verità. Così, il vuoto lasciato dalle grandi Verità metafisiche e religiose è stato riempito con una Verità scientifica fredda ed evanescente, mutevole e minacciosa come uno spettro. E senza una verità viva, anche noi siam diventati fantasmi, uomini larva.
Non si tratta dunque di evolvere ma di rivolvere, tornare al nostro “essere-uomo”. La società larvale si illude di trovare la verità attraverso un continuo processo di razionalizzazione, di informazione, di omologazione dei processi mentali. La società umana coltiva invece una verità che è intuizione e conoscenza di sé, che coincide con la realtà stessa. La puoi ascoltare che canta in silenzio tra gli alberi, o vederla che ti sorride da un volto ancora umano. Le due società vanno per vie opposte, determinano destini inconciliabili. Tra loro è tracciata la linea sottile e profonda che divide l’uomo dalla larva, la verità dal suo fantasma.