Il gioco dei tre bussolotti
di Andrea Zhok - 20/02/2025
Fonte: Andrea Zhok
Per quanto meno frequentemente di un tempo, si possono ancora trovare ogni tanto, nelle stazioni o in altri luoghi affollati, alcuni prestidigitatori di strada che invitano il pubblico al gioco dei tre bussolotti. Si inserisce una biglia sotto uno dei tre recipienti opachi (bicchieri, coppette, ecc.) presenti sul tavolo e poi si invitano gli astanti a indovinare alla fine di una serie di manipolazioni rapide, dove si trova la biglia.
Ecco, questa è la condizione in cui si trovano oggi, e da tempo, i cittadini italiani (europei, ma soprattutto italiani) quando si tratta di valutare la politica nazionale. Noi ci possiamo affaticare a discutere di crisi finanziarie, di pandemie letali, di invasioni militari, di diritti umani, degli eterni valori della libertà e della giustizia, di 73 generi, di un sacco di cose appassionanti, e questo è il moto vorticoso dei bicchieri sulla tavola. Ma la difficoltà sta tutta nel mantenere l’occhio sulla posizione della pallina, perché quando la perdi di vista, il banco vince inesorabilmente. E qual è la pallina? Qual è il minimo comune denominatore di tutti gli scoppiettanti caleidoscopici eventi che ci vengono fatti balenare sotto gli occhi?
Se c’è una crisi finanziaria come la crisi subprime, scopriamo che ci sono sistemi bancari troppo grandi per fallire e che, sciaguratamente, dobbiamo ripianare i loro debiti con i vostri soldi – dopo tutto a commettere investimenti azzardati sono state alcune mele marce.
Se però ci sono aiuti di stato ad una compagnia aerea, allora per vietarli si attiva l’autorità che garantisce la concorrenza e l’antitrust, perché non vorrete mica che ci siano oligopoli o, Dio non voglia, monopoli di stato, che il mercato non può punire?
Poi capita che la popolazione di un paese come la Grecia sia alla canna del gas per i misfatti della loro classe politica, allora d’un tratto scopriamo che non è proprio moralmente possibile aiutare quella popolazione con soldi pubblici, con debito pubblico comune, o simili. Abbiamo una responsabilità sui debiti nazionali, vivaddio, sul denaro delle famiglie; e poi erogare aiuti a perdere incentiverebbe il “moral hazard”: il mercato deve poter punire gli errori, perché altrimenti dove andremo a finire signora mia. (E alla fine a gestire la bancarotta restano gli stessi partiti che l’hanno causata.)
Intanto, comunque, le crisi finanziarie, causate dai vertici della catena alimentare, producono i loro effetti alla base della catena alimentare. Scopriamo così tutti di aver vissuto maledettamente al di sopra delle nostre possibilità, e che è giunto il momento di stringere la cinghia. Lo facciamo per le generazioni future, ça va sans dire. E così, siamo costretti obtorto collo, a smantellare servizi pubblici, ad abbattere le prestazioni sanitarie, ecc. L’austerità è buona, è santa, è morale, lo facciamo per i nostri figli.
Poi capita che un terribilissimo morbo prodotto da copule cinesi contronatura di pangolini e pipistrelli invada il mondo, e di colpo scopriamo che il sistema sanitario non è minimamente in grado di reggere il colpo. Non resta che bloccare tutto, restare in casa e poi obbligare tutti ad assumere prodotti farmaceutici sperimentali (ma sotto brevetto). Lo facciamo per salvare i nonni, per salvare il Natale, per salvare l’economia, per salvare il paese. Non c’è un minuto da perdere, non possiamo stare a cincischiare: chi obietta è un provocatore e i contratti di fornitura di qualunque cosa, dai respiratori ai vaccini, si fanno con procedura d’urgenza o contratti centralizzati via sms (che poi, com’è come non è, vanno perduti). E chi lo poteva prevedere? Ora non resta che rimboccarci tutti le maniche e saldare i debiti, i soldi erogati per affrontare l’emergenza e quelli perduti per aver bloccato l’economia. Curiosamente, in questa catastrofe mondiale gli oligopoli finanziari, farmaceutici e telematici (e-commerce, ecc.) ne escono assai più ricchi di prima.
Poi un autocrate orientale invade l’Ucraina e ottiene il Nobel per la Medicina: dal giorno successivo il terribile virus che continuava a campeggiare come emergenza da tenere sotto strettissimo controllo, scompare. È giunto il momento di difendere a testa bassa la libertà, la democrazia, l’autodeterminazione dei popoli e soprattutto gli ucraini. A costo di ammazzarli tutti. E per fare questo bisogna tassativamente spendere di più in armi, rigettare ogni barlume di proposta di pace, e fargliela vedere a Putin in una lotta fino all’ultimo ucraino e fino all’ultimo residuo di magazzino militare.
Nel frattempo il patto di stabilità, allentato per le spese selettive con relativa partita di giro agli oligopoli, era ritornato in auge con tutta la sua aura di inflessibilità. Bisogna stringere la cinghia. La vecchia sanità pubblica non è più sostenibile. Le pensioni non sono più sostenibili. Dobbiamo fare tutti uno sforzo, ma lo facciamo per il futuro, per i giovani, per i nostri figli.
E a forza di stringere la garrota e a chiudere le prospettive, la demografia ha continuato ad andare a picco e il concetto de “i nostri figli” ha cominciato a presentarsi sempre di più con i tratti di una figura mitologica.
Nessun problema, al posto dei “i nostri figli” e de “le generazioni future” cominciamo ad appellarci a qualcosa di più nobile e universale, tipo “Dobbiamo salvare il pianeta”. Dai, a ben pensare, siamo troppi, siamo sporchi, siamo brutte persone, dobbiamo auspicare un futuro in cui il pianeta sia salvo, e se noi nel frattempo ci siamo tolti di mezzo, in parte o del tutto, sarà stato solo un atto di generosità cosmica. E così, mentre prodotti di sintesi entrano quotidianamente nell’ambiente senza controllo, mentre nanoplastiche galleggiano in placente gravide, mentre l’elettrosmog urbano esplode esponenzialmente, il tutto nel silenzio degli studi e degli allarmi pubblici, rimane in campo un unico tema, l’unico all’altezza di salvare il Pianeta: il riscaldamento climatico. E rimane un’unica soluzione a questo unico problema: l’agenda Green di elettrificazione universale. Anche qui chi obietta è un irresponsabile, che non comprende l’urgenza, la gravità, l’inderogabilità: “Non c’è un minuto da perdere!”
Poi capita che ti ritrovi senza gas, senza petrolio, con le bollette che devastano produzione e consumi. La “transizione ecologica” diviene meno impellente. Anche l’austerità diviene meno impellente. Anche gli aiuti di stato diventano accettabili. Anche il patto di stabilità diviene più trattabile. Ma questo perché è giunto il momento, finalmente, di armarci come si deve, di prepararci alla difesa strenua dei valori di libertà e democrazia che ci contraddistinguono e su cui non transigiamo (come ben sanno i palestinesi). Dunque i soldi che non c’erano per gli ospedali, non c’erano per le scuole, non c’erano per le pensioni, magicamente ricompaiono per acquistare una valanga di armi da USA e Israele.
Perché Putin è alle porte, e chi non lo capisce è un sabotatore: “Non c’è un minuto da perdere!”
Ecco il gioco dei bussolotti può procedere all’infinito; quel che conta è che alla fine di ogni passaggio chi deteneva più capitali ne detenga ancora di più e chi tirava a campare pieghi la schiena un po’ di più. Quel che ci mettete in mezzo sono chiacchiere e bussolotti.