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Il golpe ideologico di cui non ci siamo accorti

di Francesco Lamendola - 28/02/2017

Fonte: Il Corriere delle regioni

 

 

C’è un popolo silenzioso, oggi; un piccolo popolo, probabilmente, perché ridotto in netta minoranza, e, per giunta, inibito a parlare, a esprimersi, e sia pure per manifestare il suo disagio e la sua sofferenza: cosa che un tempo, nelle epoche meno democratiche e meno illuminate, non si negava nemmeno ai paria della società. Perfino al clochard, al barbone, al vagabondo alcolizzato, era consentito borbottare e lagnarsi della loro sorte, purché la loro ubriachezza non fosse molesta e non recasse fastidio alla gente perbene. Oggi, invece, a questo popolo silenzioso è stata tagliata la parola in bocca, è stata bloccata la lingua, non con il morso che veniva applicato, un tempo, ai condannati a morte, perché non bestemmiassero contro Dio e contro gli uomini, ma con la minaccia di subire una querela, di doversi cercare il patrocinio di un avvocato, e di finire condannato, come minimo, al pagamento di una grossa multa, se non alla prigione o alla frequenza obbligatoria di un corso di “rieducazione” sociale.

Il popolo di cui parliamo è ormai  nettamente in minoranza, ma non è il popolo di questa o quella minoranza socialmente riconosciuta; al contrario, esso è formato dai resti di quella che, sino a qualche anno fa, era sicuramente la maggioranza della popolazione, maggioranza che si è squagliata come neve al sole allorché alcune minoranze ideologizzate e particolarmente aggressive, col sostegno – occulto e palese – di grosse lobby politiche e finanziarie, hanno scatenato una serie di offensive concentriche contro la propria supposta “discriminazione”, in realtà col preciso obiettivo d’impadronirsi di tutti i gangli vitali delle istituzioni e, di riflesso, della società civile: e quando diciamo tutte, intendiamo proprio tutte, anche la Chiesa cattolica, dall’interno della quale, anzi, è partito l’attacco forse decisivo, quello che ha messo in crisi e provocato la frana di tutte le altre posizioni, chiamiamole così, ma solamente per capirci, “tradizionaliste”. Queste offensive simultanee e concentriche, all’inizio, avevano, forse, una portata solamente tattica, cioè limitata; probabilmente, il loro scopo era quello di saggiare il terreno e verificare la saldezza dello schieramento avverso – il quale, si noti bene, non era affatto preparato a sostenere l’urto, per il semplice fatto che non si riteneva in guerra contro nessuno: era, puramente e semplicemente, l’insieme dei modi di sentire, di pensare e di agire della stragrande maggioranza della popolazione, vale a dire quella cosa, oggi tanto deprecata ed esecrata, ma in realtà assolutamente necessaria alla vita associata, che si chiama “normalità”. Ma poi, quando sono partite le prime avanguardie, queste si sono rese conto di una cosa inaspettata: che le difese non c’erano, o erano fragilissime; che sarebbe bastato spingere l’azione a fondo, e sarebbero crollate miseramente; che l’intera campagna non presentava rischi né difficoltà di sorta, e che si sarebbe risolta in una irresistibile avanzata, come un coltello che viene affondato nel burro, con il solo inconveniente, forse, che suole presentarsi agli eserciti vittoriosi che avanzano troppo in fretta: la difficoltà di approvvigionare le truppe, data l’enorme e rapidissima estensione delle linee di rifornimento.

In altre parole: la società civile era matura per il crollo: aspettava solo che una o più minoranze, inquadrate e ben addestrate, si facessero avanti, per alzar bandiere bianca e arrendersi a discrezione. Così milioni di persone sono state fatte prigioniere da poche migliaia: e il bello è che, nella gran maggioranza dei casi, non se ne sono neppure accorte; si son ritrovate in ostaggio dei nuovi padrini senza aver avuto il tempo e il modo di realizzare quel che stava accadendo; e ora devono piegare il collo sotto il giogo, senza neppure aver compreso come tutto ciò sia stato possibile. Diciamo ancora meglio: moltissimi di questi milioni non hanno nemmeno capito che c’è stata una guerra, e che essi l’hanno perduta; e che ora devono subire la sorte dei vinti, ossia obbedire alla volontà del vincitore. A questa inconsapevolezza ha contribuito alquanto la circostanza, invero decisiva, che, nella cultura della nostra società, da molto tempo si era diffuso il virus di una grave malattia: la perdita di stima, di fiducia e di amore per se stessa: il che la rendeva automaticamente la preda potenziale del primo che avesse voluto allungar la mano per darle il colpo finale.

Fra le persone appartenenti a quella che, fino a poco tempo fa, si chiama la “normalità” - ma che ora non si ha più neanche il diritto di nominare, perché “normalità” è diventata una parolaccia e chi la usa si squalifica da sé, dimostrando di essere un razzista, un prepotente e un incivile – solamente poche hanno visto e capito quel che è successo, e ne hanno tratto le debite conclusioni; altre hanno creduto di aver visto e compreso, ma, in realtà, hanno visto solo quel che è stato fatto veder loro, e capito solo quel che era nell’interesse dell’aggressore, che capissero. Pertanto, quelli che hanno una chiara consapevolezza della realtà delle cose sono ulteriormente in minoranza; e, non di rado, ad attaccarli non sono i rappresentanti delle minoranze aggressive, con la minaccia di querele o provvedimenti amministrativi, ma proprio i loro concittadini della maggioranza “normale”, convinti e conquistati dalla campagna propagandistica dell’attaccante.

A questo punto, prima di andare avanti, dobbiamo affrontare una questione di fondamentale rilevanza: chi o che cosa permette di stabilire che una persona, o un gruppo di persone, hanno capito o non hanno capito il senso dei processi sociali e culturali in atto? Se tali trasformazioni, per la rapidità e la radicalità con le quali si sono verificate, assumono i caratteri di una vera e propria MUTAZIONE ANTROPOLOGICA; ossia, se il cambiamento non è stato solo nelle forme della vita sociale, ma proprio nelle strutture mentali, percettive, logiche e comportamentali, delle singole persone, chi o che cosa assicurano che il giudizio su di esso sia corretto, laddove assistiamo a delle interpretazioni diverse e perfino opposte? Infatti, per la cultura oggi dominante, cioè divenuta dominante in questi ultimissimi anni, con una serie di spregiudicati e bene assestati colpi di mano delle minoranze aggressive, il cambio di paradigma, se pure c’è stato, è stato senz’altro di segno positivo; e che vi sia stata una mutazione antropologica, essa lo nega, pur davanti all’evidenza di bambini divenuti dipendenti da computer, videogiochi e telefonini, e di adulti che si fanno condizionare in maniera palese dalla tecnologia e dai messaggi pubblicitari, non nelle scelte secondarie (abbigliamento, tempo libero, ecc.), ma anche in quelle primarie e vitali.

La questione ermeneutica, dunque, ancora una volta: ancora e sempre. Ebbene, diciamo subito che è proprio qui che si manifesta il punto di forza delle minoranze aggressive lanciate alla conquista della maggioranza inerme: nel relativismo eretto a sistema intoccabile e a summa del politicamente corretto. Sicché chiunque si permette di dire, di una certa cosa, che essa è vera, o che è giusta, o che è bella, o che è buona (o cattiva, naturalmente), subito viene sommerso e schiacciato da una valanga di critiche, perché ha osato assumere una posizione moralmente arrogante, oltre che filosoficamente insostenibile. Che provi a dimostrarlo, dunque, che quella cosa è vera, o giusta, o bella, o buona: che ci provi: e subito dieci, cento voci contrarie lo ridurranno al silenzio, “dimostrandogli” che non esistono la verità, la giustizia, la bellezza e la bontà, ma che qualsiasi giudizio è soggettivo e valido solo dal punto di vista di chi lo emette. Lasciamo stare che questo punto di forza è anche, in se stesso, un chiaro punto di debolezza, perché destinato a trasformarsi nel classico boomerang; e che, presto o tardi, i signori del relativismo saranno messi in crisi dai loro stessi postulati, perché verrà il momento in cui tutto ciò che essi stanno imponendo, con spirito totalitario, alla cultura della società, può essere contestato da chi assuma, come essi insegnano, un altro punto di vista: ed è fatale che ciò accada. Limitiamoci a osservare, invece, che il “diritto” di emettere giudizi intellettuali, estetici, morali, eccetera, è riconosciuto dalla vita stessa e dalle sue esigenze: basta domandare a quei tali relativisti se lascerebbero che il loro bambino di due anni giocasse con la presa della corrente elettrica, e che motivassero il fatto di spiegare al piccino che quella cosa non si deve fare; quali argomenti userebbero, visto che non si deve giudicare a proposito di nulla?

Il fatto è che la maggioranza dei “normali”, davanti alla sfida delle minorane aggressive, ha avuto paura: paura di passare per intollerante, per tirannica, e di essere accusata di fare un uso arbitrario del proprio “potere”. Così, per un vero e proprio ricatto psicologico, ha ceduto le armi senza combattere, e ha lasciato che ad impugnarle – e con quale violenza! – fossero proprio coloro che si presentavano in veste di minoranze lungamente perseguitate, discriminate, marginalizzate. Ma facciamo un esempio concreto, perché il nostro ragionamento sia ben chiaro.

In omaggio alla cosiddetta ideologia gender, da qualche tempo, in Gran Bretagna, è stata messa in commercio una “cura” per arrestare lo sviluppo sessuale dei bambini e degli adolescenti, neutralizzando la normale opera degli ormoni. Una mamma, per esempio, si è fatta intervistare e riprendere mentre iniettava la sostanza chimica “bloccante” nella gamba del proprio figlioletto, il quale, a operazione compiuta, l’abbraccia e le dice, con voce rotta dall’emozione: Grazie! La signora in questione ha ceduto al ricatto quasi inverosimile della ideologia LGBT, ma perfettamente logico, una volta introiettati i suoi presupposti “filosofici”, secondo la quale l’identità sessuale non è un qualcosa di fisso, di rigido, ma di liquido e fluttuante, per cui ciascuno ha il diritto di deciderla, ed eventualmente di cambiarla, in piena libertà di “coscienza”. Nel caso in questione, quel bambino pare fosse propenso a voler diventare bambina: per intanto, ha chiesto a sua mamma (o lei ha proposto a lui?) di arrestare lo sviluppo dei caratteri sessuali maschili, congelando la struttura sessuale del suo corpo; in un secondo momento, egli potrà procedere al cambio di sesso vero e proprio, mediante una serie di ulteriori interventi, sia ormonali che chirurgici e psicologici. (Aggiungiamo, fra parentesi, che ormai, in alcuni casi, non è più necessario nemmeno fare il cambio di sesso, ma basta dichiararlo, a discrezione di questo o quel giudice: sicché un cittadino maschio può dichiararsi femmina, o viceversa, a suo talento, perché così si sente di essere; e, naturalmente, vestirsi ora da uomo, ora da donna, e, per esempio, frequentare le toilettes o gli spogliatoi di una palestra, o di una piscina,  maschili o femminili, secondo il suo talento: il tutto in nome della lotta contro i cosiddetti “stereotipi di genere”.) Va precisato che, all’inizio, i richiedenti di accedere a questo “trattamento”, che è costosissimo (una sola iniezione costa 1.000 dollari), erano pochi, una novantina in tutto; ma avendo lo Stato assunto il patrocinio di questo nuovo, sacrosanto “diritto” dei cittadini, le richieste hanno avuto un’impennata, e l’anno successivo sono salite a oltre 900: per cui il governo si è affrettato a sbarazzarsi del pesante onore finanziario, lasciando ai privati - quelli che lo possono, evidentemente – di sottoporsi a tale “terapia”.

Ci siamo soffermati su questo caso per illustrare come ormai siano le stesse persone che un tempo formavano la maggioranza dei “normali” ad avere introiettato la filosofia dei diritti illimitati da parte delle minoranze aggressive; e quella madre, che somministra a suo figlio (o figlia?) la sciagurata iniezione ormonale, probabilmente sull’onda del senso di colpa per la tragica prospettiva di impedire al figlio di decidere, quando verrà l’età della piena e definitiva differenziazione sessuale, se vorrà essere maschio o femmina, è il perfetto esempio dell’auto-lavaggio del cervello cui molti si sono sottoposti, in omaggio alle nuove tendenze culturali. Abbiamo fin qui parlato di minoranze aggressive, e qualcuno potrebbe chiedere: ma perché aggressive? In fondo, non fanno che rivendicare i loro diritti. Niente affatto: esse vogliono molto, ma molto di più: vogliono imporre un nuovo totalitarismo ideologico (dopo quelli del nazismo e del comunismo…), basato sulla distruzione dell’identità di genere, agendo già sui bambini dell’asilo e della scuola elementare, attraverso forme subdole di “educazione sessuale” che, di fatto, scavalcherebbero la famiglia nel suo ruolo formativo su una questione di tale importanza. E lo fanno con maniere dolci e insinuanti. Che cosa c’è di più dolce di due simpatici giovanotti, un ragazzo e una signorina, che leggono delle fiabe ai bambini, nello spazio riservato di una libreria? Solo che quelle fiabe parlano di pinguini, o di esseri umani, che s’innamorano di un individuo del loro sesso, che si sposano e che si procurano un figlio mediante la pratica dell’utero in affitto: pratica che, mentendo, non presentano come tale, ma come una sorta di donazione o di atto affettuoso, e facendo credere, con un inganno linguistico, che quel bimbo sia nato dai suoi due papà. Segue la conversazione/discussione/indottrinamento, prima dei bambini, poi dei loro genitori, nella quale si chiude il cerchio e si portano i malcapitati ad ammettere che, in quella storia, non c’è proprio niente di strano, ma che bisogna abituarsi a rispettare l’amore, in ogni sua forma, sempre e dovunque lo s’incontri.

Questi sono solo alcuni esempi; se ne potrebbe fare una quantità, anche relativi alle altre minoranze aggressive che oggi imperversano e che stanno letteralmente costruendo una gabbia ideologica entro cui rinchiudere la maggioranza del popolo silenzioso, degli ex normali, i quali, a questo punto, dovranno andare dallo psicanalista per capire cosa c’è in loro che non va, e come mai fanno tanta resistenza ad accettare le magnifiche sorti e progressive d’una società che ha sconfitto i pregiudizi...