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Il grande gioco mediorientale

di Enrico Tomaselli - 07/08/2024

Il grande gioco mediorientale

Fonte: Enrico Tomaselli

Mentre tutti aspettano l’attacco iraniano in risposta all’assassinio di Haniyeh, gli israeliani stessi per primi, forse sarebbe il momento di avviare una riflessione senza tifoseria, su quanto si sta agitando in Medio Oriente. Continuiamo a pensare che il conflitto in Ucraina possa essere foriero di portare alla Terza Guerra Mondiale, e questo finisce col distrarci dalle implicazioni possibili a partire dal conflitto in Palestina.
Di tutti gli attori presenti nello scacchiere (e sono davvero tanti) tutti non vogliono la guerra, ad eccezione di uno: Israele. Le ragioni per cui lo stato ebraico persegue così insistentemente l’escalation sono varie, alcune contingenti, altre storiche, altre ancora ideologiche. Riassumendo, si può dire che Tel Aviv ha bisogno della guerra, perché l’espansionismo e l’antiarabismo sono nel DNA del sionismo, perché dal 1948 Israele ha basato i suoi rapporti coi vicini essenzialmente sul terrore, e infine perché sta perdendo la guerra a Gaza, e ammetterlo potrebbe avere conseguenze dirompenti sulla società e sullo stato. Il fanatismo dei ministri di ultra-destra, e l’interesse personale di Netanyahu sono fattori reali, ma decisamente sopravvalutati.
D’altro canto, anche gli altri attori regionali (Iran e Asse della Resistenza, Arabia Saudita EAU e Qatar, Stati Uniti, Russia e - sullo sfondo - Turchia ed Egitto) hanno i propri interessi, che in alcuni casi sono assolutamente inconciliabili. Gli USA, hanno ormai in Israele l’unico vero alleato strategico in MO, e per quanto possa essere un amico pericoloso ed in parte inaffidabile, non possono assolutamente perderlo, poiché significherebbe essere scacciati dalla regione. A sua volta, la Russia - pur essendo tradizionalmente vicina ad Israele - ha ormai intrapreso un percorso strategico euroasiatico, nell’ambito del quale il rapporto con l’Iran è fondamentale, e in prospettiva ha interesse nello sconfiggere Washington nello spazio dell’Asia Centrale (pur evitando il confronto diretto), fermando il progetto del Grande Medio Oriente. Non per caso, è Medvedev a dire con chiarezza come stanno le cose: "l'unico modo per raggiungere una pace nella regione medio orientale può essere una guerra su vasta scala".
La prima questione è, ovviamente, quando. L’Iran (e l’Asse della Resistenza) ha tutto l’interesse a rinviare quanto più possibile il conflitto aperto, così che Israele vi arrivi logorato e nelle peggiori condizioni possibili. Mentre Tel Aviv punta ad arrivarci prima possibile; il suo unico freno - per nulla irrilevante - è che non può vincerlo da sola, e quindi può scatenarlo solo se ha la certezze di trascinarvi gli Stati Uniti. È ciò che vediamo in questa fase, con il tiro alla fune diplomatico-militare tra Israele e Teheran.
La seconda questione è quale ne sarà l’intensità. Sostanzialmente, l’unico vero atout di Israele è dato dalle armi nucleari. Il cui uso (o la minaccia di) potrebbe rappresentare la soglia estrema di vittoria. Poiché l’Iran ne è consapevole, o si dovrà dotare a sua volta di armi nucleari (cosa che può fare in breve tempo, ma a cui è stato sinora contrario), o dovrà trovare un’altro modo per neutralizzare la minaccia. Il tutto, sapendo che si potrebbe innescare una corsa regionale all’armamento atomico, con Turchia, Arabia Saudita ed Egitto in pole position.
La terza questione è con quale esito. Fondamentalmente sono possibili tre scenari: vittoria USA-Israele, sconfitta dell’Iran e probabile apertura di un conflitto diretto con Mosca nella regione; vittoria iraniana, con collasso dello stato ebraico e creazione di uno stato laico, multiconfessionale, di Palestina; vittoria iraniana, e sconfitta di Israele, che rinuncia ai territori occupati, tornando ai confini del 1967.
Appare evidente che, esattamente com’è stato per il 24 febbraio 2022 e l’Operazione Speciale Militare russa in Ucraina,. il 7 ottobre 2023 e l’operazione Al Aqsa Flood ha agito da acceleratore, portando alla luce un altro punto di attrito tra l’occidente collettivo ed il mondo eurasiatico.