Il modello comunitarista contro il capitalismo globalizzato
di Fabrizio Fratus - 03/12/2024
Fonte: Il Talebano
Il mondo tradizionale, basato su economie comunitarie e artigianali, aveva un’organizzazione sociale profondamente diversa rispetto all’era moderna. Non esisteva un sistema previdenziale come la pensione, ma il modello economico e sociale era strutturato per garantire una forma di autosufficienza e continuità generazionale. Questo sistema era fondato sul lavoro familiare, l’apprendistato intergenerazionale e il legame con la terra o con un mestiere, che offriva un senso di stabilità e appartenenza. La trasmissione dei mezzi di produzione, come campi, bestiame o botteghe, garantiva la sopravvivenza economica della famiglia. Il lavoro non era solo un mezzo di sostentamento, ma un patrimonio ereditario che veniva mantenuto di generazione in generazione. I figli imparavano il mestiere dal padre (o dalla madre, nel caso di attività femminili), creando una linea di continuità che rafforzava le competenze e riduceva l’incertezza economica. La maggior parte delle famiglie produceva ciò che consumava. Questo limitava la dipendenza dai mercati esterni e mitigava il rischio di povertà assoluta. Anche in caso di crisi, la comunità spesso interveniva per sostenere i membri più svantaggiati, creando una rete di solidarietà naturale. La ricchezza era legata ai beni tangibili e all’attività produttiva. Non esistevano strumenti finanziari complessi né forme di accumulo virtuale come quelle del capitalismo moderno. Il focus era sull’uso piuttosto che sull’accumulo, con un equilibrio tra bisogni individuali e comunitari. L’idea che il capitalismo abbia prodotto una maggiore ricchezza è una semplificazione che confonde i progressi tecnologici con il sistema economico che li ha accompagnati: l’aumento della ricchezza reale nel corso della storia è stato il risultato dell’innovazione tecnologica: macchinari, processi industriali, miglioramenti in agricoltura, scoperte scientifiche. Questi progressi hanno aumentato la produttività e migliorato le condizioni di vita, ma non sono stati un’esclusiva del capitalismo. Molte innovazioni sono state realizzate in contesti precapitalistici o comunitari. Il capitalismo moderno ha introdotto strumenti finanziari che spesso producono “ricchezza” scollegata dalla realtà produttiva, come speculazione borsistica, derivati e bolle economiche. Questa ricchezza virtuale non solo non migliora la qualità della vita, ma può creare instabilità economica e sociale, come dimostrano le crisi finanziarie globali. Il capitalismo ha concentrato le risorse nelle mani di pochi, accentuando le disuguaglianze, il mondo tradizionale, pur con le sue gerarchie, aveva una distribuzione della ricchezza più uniforme all’interno delle comunità, mitigando il fenomeno della povertà estrema.
Il sistema comunitarista tradizionale non era privo di problemi (come l’esclusione di chi non aveva una famiglia o le difficoltà legate alle calamità naturali), ma offriva una resilienza che oggi sembra perduta. Le dinamiche odierne del capitalismo globalizzato, basate su accumulo e sfruttamento hanno prodotto:
• Alienazione sociale, con l’individuo isolato dalla comunità e dal proprio lavoro.
• Precarietà economica, dove la ricchezza finanziaria cresce, ma la ricchezza reale (beni, servizi, sicurezza economica) diminuisce per la maggioranza.
• Distruzione dell’ambiente, poiché il modello attuale privilegia il profitto immediato a scapito della sostenibilità.
Occorre ripensare il modello economico alla luce del passato :
• Ricostruire comunità locali capaci di sostenersi autonomamente.
• Promuovere economie basate sull’uso condiviso e sulla sostenibilità, piuttosto che sull’accumulo individuale.
• Sfidare il sistema finanziario globale, favorendo economie reali e tangibili.
Il capitalismo ha costruito un mondo di ricchezze apparenti, ma le radici della vera prosperità restano legate ai valori di comunità, autosufficienza e tecnologia al servizio dell’uomo, non del profitto.
Fabrizio Fratus