Nel 2020, abbiamo assistito alla consacrazione del tecno-feudalesimo, uno dei temi principali del mio ultimo libro, Raging Twenties.
Alla velocità della luce, il virus del tecno-feudalesimo si sta metastatizzando in una variante ancora più letale, una selva di specchi, dove la cultura dell’annullamento è imposta da Big Tech su tutto lo spettro, la scienza è regolarmente svilita come fake news nei social e il cittadino medio è scombussolato fino alla lobotomia.
Giorgio Agamben lo ha definito un nuovo totalitarismo.
Uno dei più seri analisti politici, Alastair Crooke, ha prodotto un’acuta analisi della situazione generale.
Geopoliticamente, per mantenere il proprio primato l’Egemone non esiterebbe a ricorrere persino alla guerra del 5G, mentre cerca di legittimarsi moralmente con la rivoluzione woke, debitamente esportata nelle sue satrapie occidentali.
La rivoluzione woke è una guerra culturale, in simbiosi con Big Tech e Big Business, che ha distrutto la cosa reale: la guerra di classe. Le classi lavoratrici atomizzate, in perenne lotta per la sopravvivenza, sono state lasciate affondare nell’anomia.
La grande panacea, in realtà l’ultima “opportunità” offerta dalla Covid-19, è il Grande Reset avanzato da Herr Schwab di Davos: essenzialmente la sostituzione con l’automazione di una base produttiva in declino, in tandem con un reset del sistema finanziario.
Il concomitante pio desiderio prevede un’economia mondiale che “si avvicinerà ad un modello capitalista più pulito.” Una delle sue caratteristiche è un deliziosamente benevolo Consiglio per il Capitalismo Inclusivo, in collaborazione con la Chiesa cattolica.
Per quanto la pandemia, l’opportunità per il Reset, fosse stata in qualche modo messa a punto da Event 201 nell’ottobre 2019, sono già in atto strategie aggiuntive per i prossimi sviluppi, come Cyber Polygon, che mette in guardia contro i “rischi alla base della digitalizzazione.” Non perdetevi il loro “esercizio tecnico” del 9 luglio, quando “i partecipanti affineranno le loro abilità pratiche nel mitigare in tempo reale un attacco mirato alla catena di approvvigionamento di un ecosistema aziendale.”
Un nuovo concerto di poteri?
La sovranità è una minaccia letale per la rivoluzione culturale in corso. Questo è un pericolo per le istituzioni dell’Unione Europea (in particolare per la Commissione Europea), che cercano in tutti i modi dissolvere gli interessi nazionali degli stati membri. E questo, in gran parte, spiega l’uso a scopi militari della russofobia, sinfobia e iranofobia.
Il tema di fondo in Raging Twenties è l’analisi della posta in gioco in Eurasia, nei termini di un Egemone contrapposto ai Tre Sovrani, Russia, Cina e Iran.
È in questo quadro, per esempio, che un corposo disegno di legge di oltre 270 pagine, lo Strategic Competition Act, è stato recentemente approvato al Senato degli Stati Uniti. Questo va ben oltre la competizione geopolitica, è una vera e propria tabella di marcia per combattere la Cina a tutto spettro. È destinato a diventare legge, dato che a Washington la sinofobia è uno sport bipartisan.
Gli oracoli degli Egemoni, come l’immortale Henry Kissinger, stanno finalmente prendendosi una pausa dal loro consueto divide et impera e avvertono che l’escalation della competizione “infinita” può trasformarsi in guerra aperta, specialmente considerando l’IA e le ultime generazioni di armi intelligenti.
Sul fronte incandescente USA-Russia, dove il ministro degli Esteri Sergey Lavrov vede mancanza di fiducia reciproca, per non parlare di rispetto, l’analista Glenn Diesen nota come l’Egemone, molto peggio che negli anni della Guerra Fredda, “stia cercando di convertire la garanzia di protezione degli Europei in fedeltà geoeconomica.”
Questo è il momento cruciale di un’epopea decisiva: il Nord Stream 2. L’Egemone usa ogni arma, compresa la guerra culturale di cui il truffatore e galeotto Navalny è una pedina importante, per far deragliare un accordo energetico essenziale per gli interessi industriali della Germania. Allo stesso tempo, aumenta la pressione contro l’Europa che compra tecnologia cinese.
Nel frattempo, la NATO, che domina l’UE, continua ad essere costruita come un Robocop globale, attraverso il progetto NATO 2030, anche dopo aver trasformato la Libia in un deserto pieno di milizie e aver avuto il suo posteriore collettivo ignominiosamente sculacciato in Afghanistan.
Nonostante tutto il rumore e la furia dell’isteria sanzionatoria e delle varie declinazioni della guerra culturale, l’establishment dell’Egemone non è esattamente cieco al fatto che l’Occidente “sta perdendo non solo il suo dominio materiale ma anche quello ideologico.”
Così il Council on Foreign Relations, in una sorta di sbornia bismarckiana, propone ora un Nuovo Concerto di Poteri per affrontare il “populismo arrabbiato” e le “tentazioni illiberali,” portate avanti naturalmente da perfidi attori, come l'”aggressiva Russia,” che osano “sfidare l’autorità dell’Occidente.”
Per quanto questa proposta geopolitica possa essere rivestita di benigna retorica, il punto finale è sempre lo stesso: “ripristinare la leadership degli Stati Uniti” alle condizioni degli Stati Uniti. Al diavolo gli “illiberali” Russia, Cina e Iran.
Crooke riporta due esempi, uno russo e uno cinese, per illustrare dove può portare una rivoluzione culturale woke.
Nel caso della Rivoluzione Culturale Cinese, il risultato finale era stato il caos, fomentato dalle Guardie Rosse, che avevano iniziato a creare il loro particolare caos indipendentemente dalla leadership del Partito Comunista.
E poi c’è Dostoevskij che, ne I demoni, aveva mostrato come i liberali laici russi degli anni 1840 avessero creato le condizioni che avevano portato alla generazione del 1860: radicali ideologici determinati a bruciare la loro stessa casa.
Non c’è dubbio: Le “rivoluzioni” divorano sempre i propri figli. Di solito, tutto inizia con un’élite al potere che impone agli altri le sua nuova Forma platonica. Ricordate Robespierre? Aveva formulato la sua politica in modo molto platonico, “il pacifico godimento della libertà e dell’uguaglianza, il regno della giustizia eterna” con leggi “scolpite nel cuore di tutti gli uomini.”
Beh, quando altri non si erano trovati d’accordo con il concetto di virtù di Robespierre, sappiamo tutti cos’era successo: il Terrore. Proprio come Platone, per inciso, aveva raccomandato nelle Leggi. Quindi è giusto aspettarsi che i figli della rivoluzione woke, alla fine, vengano mangiati vivi dal loro stesso zelo.
La cancellazione della libertà di parola
Allo stato attuale, è giusto cercare di capire quando l’“Occidente” aveva imboccato per la prima volta questa brutta strada, quella della cancellazione della cultura.
Permettetemi di offrire il punto di vista cinico/stoico di un nomade globale del 21° secolo.
Se abbiamo bisogno di una data, partiamo da Roma, che, all’inizio del V secolo, rappresentava il compendio di tutto l’Occidente. Seguite i soldi. Questo è il momento in cui i redditi delle proprietà terriere dei templi pagani erano stati trasferiti alla Chiesa Cattolica, con il conseguente incremento del suo potere economico. Alla fine del secolo, erano state proibite anche le donazioni ai templi.
Parallelamente, era in corso un’ondata di distruzioni, alimentata dall’iconoclastia cristiana, che andava dalle croci scolpite sulle statue pagane alle terme convertite in chiese. Fare il bagno nudi? Quelle horreur!
La devastazione era stata veramente notevole. Uno dei pochissimi reperti sopravvissuti è la favolosa statua di bronzo di Marco Aurelio a cavallo che si trovava in Campidoglio (oggi è in un museo). La statua era sopravvissuta solo perché le pie folle pensavano che raffigurasse l’imperatore Costantino.
Era andato distrutto lo stesso tessuto urbano di Roma: i rituali, il senso di comunità, il cantare e il ballare. Dovremmo ricordare che, acora oggi, la gente abbassa la voce quando entra in chiesa.
Per secoli non abbiamo sentito le voci dei diseredati. Una clamorosa eccezione si trova in un testo dell’inizio del VI secolo di un filosofo ateniese, citato da Ramsay MacMullen in Christianity and Paganism in the Fourth to Eight Centuries.
Questo filosofo greco aveva scritto che i Cristiani sono “una razza dissolta in ogni passione, distrutta da un’autoindulgenza controllata, arrendevole e femminea nel suo pensiero, vicina alla vigliaccheria, che sguazza in ogni porcheria, svilita, contenta di servire in cambio di un po’ di sicurezza.”
Se questo suona come una proto-definizione della cancellazione della cultura dell’Occidente del 21° secolo, è perché lo è.
Anche ad Alessandria le cose erano andate piuttosto male. Una folla cristiana aveva ucciso e smembrato la bella Ipazia, matematica e filosofa. Questo episodio aveva, di fatto, posto fine all’epoca della grande matematica greca. Non c’è da stupirsi che Gibbon abbia trasformato l’assassinio di Ipazia in un pezzo notevole nel suo Decline and Fall of the Roman Empire (“Nel fiore della bellezza e nella maturità della saggezza, la modesta fanciulla rifiutava i suoi amanti e istruiva i suoi discepoli; le persone più illustri per rango o merito erano impazienti di visitare la filosofa”).
Sotto Giustiniano, imperatore dal 527 al 565, la cancellazione della cultura aveva dato la caccia al paganesimo, senza esclusione di colpi. Una delle sue leggi aveva messo fine alla tolleranza imperiale di tutte le religioni, che era in vigore dal 313, fin dai tempi di Costantino.
Se eri un pagano, era meglio che ti preparassi ad essere giustiziato. Gli insegnanti pagani, soprattutto i filosofi, erano stati messi al bando. Avevano perso la parrhesia: la licenza di insegnamento (qui c’è una brillante analisi di Foucault).
La parrhesia, tradotta liberamente come “critica franca,” è una questione tremendamente seria: per più di mille anni questa è stata la definizione stessa della libertà di parola.
Eccoci al punto: prima metà del VI secolo. Questo è stato il momento in cui in Occidente è stata cancellata la libertà di parola.
L’ultimo tempio egizio, dedicato ad Iside, in un’isola dell’Egitto meridionale, era stato chiuso nel 526. Ad Atene, la leggendaria Accademia di Platone, con più di 900 anni di insegnamento al suo attivo, era stata chiusa nel 529.
Lo sapete dove avevano scelto di andare in esilio i filosofi greci ? In Persia.
Quelli erano i giorni, all’inizio del II secolo, in cui il più grande stoico dell’epoca, Epitteto, uno schiavo liberato dalla Frigia, ammiratore sia di Socrate che di Diogene, era stato consultato dall’imperatore Adriano ed era poi diventato il modello di un altro imperatore, Marco Aurelio.
La storia ci dice che, in Occidente, la tradizione intellettuale greca non era semplicemente svanita. Era stata il preciso obiettivo di una cancellazione culturale
Fonte: asiatimes.com
Link: https://asiatimes.com/2021/04/brave-new-cancel-culture-world/
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org