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Il nuovo (e non particolarmente sorprendente) successo elettorale di Benjamin Netanyahu

di Daniele Perra - 03/11/2022

Il nuovo (e non particolarmente sorprendente) successo elettorale di Benjamin Netanyahu

Fonte: Daniele Perra

Il nuovo (e non particolarmente sorprendente) successo elettorale di Benjamin Netanyahu mi riporta alla mente il piano “A clean break: a new strategy for securing the realm” elaborato nel 1996 dal consigliere politico ebreo-americano Richard Perle e dal gruppo studio “Una nuova strategia per Israele verso il 2000”. Il documento politico, redatto nell'ambito del Think Tank neoconservatore IASPS – Institute for Advanced Strategic and Political Studies, era rivolto proprio a Netanyahu dopo la sua prima nomina a capo del governo israeliano.
Il piano prevedeva la “ricostruzione del sionismo” attraverso alcuni importanti punti: 1) l'annullamento degli accordi di pace di Oslo; 2) l'eliminazione politica (e possibilmente fisica) di Yasser Arafat; 3) l'annessione dei territori palestinesi; 4) la distruzione dell'Iraq (già presente nel Piano Yinon del 1982) come premessa per la destabilizzazione di Siria e Libano; 6) l'utilizzo di Israele come base complementare dei programmi nordamericani di “guerra stellare”.
In particolare, risultava fondamentale accerchiare la Siria con l'aiuto di Turchia e Giordania e destabilizzare il Libano lungo linee settarie (la creazione di uno Stato cristiano maronita in Libano satellite di Israele, ad esempio, era presente nei piani sionisti già dagli anni '50 del secolo scorso, come dismostrato dal carteggio tra David Ben Gurion e Moshe Sharett).
Tra i più accaniti sostenitori nordamericani della parcellizzazione del Medio Oriente lungo linee etnico-settarie vi è da sempre l'attuale Presidente USA Joe Biden. Già nel 2006, scrisse a quattro mani con un altro ebreo-americano, Leslie H. Gelb (allora Presidente emerito del Council of Foreign Relations), un articolo sul New York Times nel quale veniva sostenuta la tesi della divisione dell'Iraq in tre Stati (curdo, musulmano sunnita e musulmano sciita). Nel 2007, inoltre, sostenne con forza una risoluzione votata dal Senato USA che ricalcava per filo e per segno il disegno sionista per il futuro dello stesso Iraq e del “Medio Oriente” delineato nel suddetto Piano Yinon (basato sulla forma geopolitica del “divide et impera”). Senza considerare che, più o meno nello stesso periodo, si fece portavoce delle pressanti richieste dei vertici militari USA riguardo la necessità di bombardare le aree tribali del Pakistan (strategia portata avanti con esiti sanguinosi in termini di vittime civili durante l'era Obama).
In definitiva, tanto il Piano Yinon quanto quello elaborato dallo IASPS si fondavano sul concetto di “instabilità creativa” impostato su: 1) creazione e gestione di conflitti ad intensità medio/bassa; 2) favorire lo spezzettamento politico e territoriale; 3) promuovere il settarismo se non proprio la pulizia etnico-confessionale. In questo senso, il conflitto siriano è sicuramente emblematico.
Un centro studi francese legati ad ambienti del DST – Direction de la surveillance du territorie (agenzia domestica di intelligence), già nel 2012 (sebbene il documento sia stato declassificato solo nel 2015), parlava in riferimento alla Siria di “falsificazione orchestrata degli eventi”, mettendo inoltre in luce come i presunti “ribelli” fossero in realtà soprattutto mercenari e miliziani gihadisti caucasici e centro-asiatici armati e pagati da CIA, Mossad, MI6, Turchia e Monarchie del Golfo (con alcune differenze a seconda dell'orientamento). Un'operazione (quella francese) da leggersi anche come parziale tentativo di smarcamento dal conflitto nel momento in cui la Russia scelse di intervenire direttamente a difesa dei propri geopolitici.
A questo proposito, non dovrebbe sorprendere più di tanto il fatto che i bombardamenti a tappeto USA contro il sedicente “Stato Islamico” spesso finivano per colpire “accidentalmente” (come il bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado) le basi dell'Esercito arabo siriano. Questo avveniva in particolar modo nell'area strategica di Deir Ezzor, in prossimità con il territorio che proprio gli Stati Uniti continuano ad occupare illegalmente. Cosa che, tra l'altro, pone forti dubbi sulle reali dinamiche dell'episodio in cui perse la vita il generale Issam Zahreddine, liberatore della città.