Il paradosso dell’infelicità femminile
di Mauro Montanari - 01/11/2023
Fonte: Mauro Montanari
Nel mio precedente post ho messo il link di una ricerca fatta dalla università del Pennsylvania che riguarda la sensazione di felicità nel tempo, differenziata tra uomini e donne. Da cui risulta che, negli ultimi 50 anni (la pubblicazione è del 2009), la popolazione femminile americana è mediamente meno felice di quella maschile, mentre precedentemente era il contrario. Andatelo a vedere. Ho tradotto il cappello introduttivo.
I ricercatori parlano di “paradosso” (The paradox of declining female happiness) perché, dal punto di vista materiale, della indipendenza personale e della rilevanza sociale, le donne negli ultimi cinquant’anni hanno guadagnato parecchio. E in effetti, dice la ricerca: “Il progresso delle donne negli ultimi decenni è stato straordinario: il gap salariale si è in parte colmato; il livello di istruzione è aumentato e sta ora superando quello degli uomini; le donne hanno ottenuto un livello di controllo sulla fertilità senza precedenti; i cambiamenti tecnologici nel settore della sanità; i nuovi elettrodomestici, hanno liberato le donne dalle fatiche domestiche.”
Perché allora le donne sono infelici? La cosa stupisce un po’, perché, nella nostra semplice psicologia umana, chi guadagna (in relazione a sé stesso ai suoi pari) è felice. La dico un po’ alla rozza! Se io guadagno mille euro al mese e prendo un aumento di cento euro, e arrivo quindi a mille e cento, sono felice, anche in relazione ai miei colleghi che continuano a guadagnarne mille. Per converso, se io guadagno diecimila euro al mese e me ne trattengono improvvisamente mille, sono infelice. La sensazione di felicità dipende dal movimento (e, appunto, dal paragone con i miei pari). Se io mi innamoro, guadagno in sentimento, quindi sono felice. Se mia moglie mi lascia, perdo in sentimento, quindi sono infelice. Se io posso dare cento euro in elemosina ad un mendicante, sono felice, perché ho la sensazione di avere fatto qualcosa di buono e guadagno in sentimento. Se gli stessi cento euro mi sono rubati, perdo in soldi e in autostima, quindi sono infelice. L’ho detta alla rozza, dico, sennò stiamo qui una settimana.
Allora il paradosso sta nel fatto che le donne, pur guadagnando (in libertà personale, in indipendenza economica ecc.) sono infelici. E anzi: più guadagnano, più sono infelici. Addirittura, dicono i ricercatori: “Social changes that have occurred over the past four decades have increased the opportunities available to women and a standard economic framework would suggest that these expanded opportunities for women would have increased their welfare. However, others have noted that with the expansion of opportunities have come costs and that men may have been the beneficiaries of the women’s movement. “
In altre parole, alcuni pensano, dice lo studio, che i veri beneficiari dei progressi femminili (e del movimento femminile) siano gli uomini. I quali peraltro sono infelici a loro volta. Siamo al paradosso del paradosso!
Ora, la questione che lo studio citato non tratta è la seguente: perché le donne sono infelici anche se guadagnano? La risposta, penso io, è piuttosto semplice. Sembra che guadagnino. Molte di loro sono convinte di guadagnare. Ma, se sono infelici, vuol dire semplicemente che perdono. La questione, quindi, non è perché sono infelici, bensì cosa perdono, visto che sono infelici?
E qui, ancora una volta, quando si hanno le grandi domande, per avere la risposta migliore bisogna andare alla mitologia o alla filosofia greca. Ne ho già parlato: il mito delle Amazzoni.
Per non ripetermi, cito quindi me stesso: “Chi sono le Amazzoni? Sono donne che, a un certo punto, decidono di rivoltarsi verso i loro compagni guerrieri e diventare guerriere anch’esse. Per farlo in maniera più aggressiva, si amputano il seno destro e lo sostituiscono con un cupola di rame. Lo scopo è quello di rendere più forte il braccio per l’uso della lancia e della spada. Il nome viene dal greco antico Αμαζόνες, dove il prefisso negativo Alfa annulla il termine seguente (seno o massa morbida).
L’Amazzone è la donna ribelle, la quale, per essere tale, deve rinunciare alla capacità di nutrire in favore della capacità di offendere; deve sostituire il morbido al duro, l’accoglienza all’oltraggio. Questo è però anche il suo dramma perché, per fare ciò, deve rinunciare al suo Femminile.
Lì è il difficile, perché il Femminile è l’essenza della sua vita. Ma, una volta deciso per la guerra, guerra sia! E, come accade in ogni guerra, c’è bisogno di una strategia e di alleati. Non lo si può fare dall’oggi al domani. E il suo stratagemma strategico sta proprio lì: anzitutto distruggere la famiglia nel nome della libertà; quindi nell’inventare generi intermedi e, nel contempo, valorizzare i maschi simili a lei che le possano essere da supporto mentre brandisce l’arco contro il guerriero opprimente.”
Fine della citazione. E si capisce cosa le donne hanno perduto: il Femminile, che comincia dalla loro genetica, dalla forma del loro corpo, che ha i fianchi larghi e il seno perché è adatto alla maternità. Hanno perso la capacità di accogliere e di nutrire. Hanno perso ciò che la Natura, in cinquanta milioni di anni di evoluzione, ha messo loro a disposizione. Questo hanno perso!