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Il popolo degli amerikani d’Italia e la cannibalizzazione finanziaria dell’Europa

di Luigi Tedeschi - 20/03/2025

Il popolo degli amerikani d’Italia e la cannibalizzazione finanziaria dell’Europa

Fonte: Italicum

Gli amerikani d’Italia sono scesi in piazza. In migliaia, sotto le mentite spoglie della bandiera europea, hanno tributato la loro acclamazione, quali cittadini apolidi del mondo globale, all’America liberal e guerrafondaia dei neocon. L’età media dei partecipanti era assai elevata. Trattasi di quelle generazioni del ’68 e degli anni ’70, che, se da giovani furono pacifisti, da vecchi invocano la guerra, dato che ormai non  potrebbero esserene più coinvolti.
E’ il popolo della vecchia sinistra, già marxista in gioventù, ma che ha maturato la sua coscienza politica sulla base dell’ideologia liberal dei campus universitari americani, ha forgiato la propria identità sulla cultura “on the road” di Kerouac, su Marcuse, sui miti della hippie generation, sulla musica pop americana. Non c’è dunque da stupirsi del fatto che queste generazioni, già americane nell’anima, con il crollo dell’URSS, si siano convertite con tanta rapidità ed entusiasmo, dal marxismo, alla cultura del radicalismo liberal americano, nella quale si sono da sempre identificati e oggi siano anche tanto ottusamente omologati all’ideologia woke.
Questa manifestazione è rivelatrice di una identità culturale assunta da varie generazioni (specie della borghesia medio – alta italiana), dagli anni ’60 ad oggi. Come ieri si manifestava per il pacifismo belante, oggi si inneggia alla guerra, rivendicando indirettamente il primato morale americano (e con esso il suprematismo razzista della civiltà occidentale) dei diritti umani, della libertà, della liberaldemocrazia: le fonti di legittimazione ideologica dell’eccezionalismo americano e delle guerre imperialistiche, spacciate per operazioni di “peacekeeping”.
L’americanismo ha plasmato le menti e le coscienze di varie generazioni della sinistra italiana, che si definiscono oggi europeiste, nella misura in cui si sono integrate culturalmente nella sfera geopolitica anglosassone, con epicentro negli USA. Non a caso, inveiscono contro la “Fortezza America” di Trump, rivendicando l’universalismo e il globalismo liberal americano dei neocon, riponendo le proprie speranze in un eventuale successo dei democratici nelle elezioni americane di medio termine. Si battono per il riarmo europeo e la guerra ad oltranza contro la Russia, con l’intento di sabotare le prospettive di pace nelle trattative in corso tra Trump e Putin. Sono europeisti, in quanto americani nell’animo, si sentono elettivamente cittadini americani, senza però diritto di voto. Pertanto, il loro status può essere assimilato a quello di sudditi coscienti e volontari della potenza egemone.
In Europa la UE sta predisponendo un piano atto a mobilitare i risparmi dei cittadini con la costituzione di una “Unione dei risparmi e degli investimenti” (SIU – acronimo inglese), al fine di rilanciare la competitività europea e soprattutto di reperire le risorse finanziarie previste dal piano ReArm Europe di 800 miliardi, recentemente varato dalla Commissione europea. Preso atto del fatto che 10.000 miliardi di risparmi dei cittadini europei sono attualmente parcheggiati nelle banche e che il 70% di tali risparmi sono investiti in impieghi improduttivi, si vuole dirottare tali risorse nel mercato dei capitali a rischio.
Occorre quindi abbattere le barriere legali e burocratiche degli stati, onde ampliare e unificare il mercato dei capitali in Europa. Tale progetto implica necessariamente ulteriori cessioni di sovranità da parte degli stati a favore dei marcati finanziari.
I livelli di indebitamento degli stati è assai alto e pertanto si rende necessario fare ricorso agli investimenti del capitale privato, per fare fronte alle esigenze di finanziamento del riarmo europeo. I vertici della UE pongono l’accento sulle piccole dimensioni delle borse europee, sulla frammentazione del risparmio, sulla eccessiva burocrazia, fattori che rendono i mercati europei poco attraenti per i grandi investitori. La UE evidenzia inoltre la scarsa rilevanza dei fondi di investimento nei mercati europei: assicurazioni, fondi pensione e retail hanno patrimoni che negli USA ammontano al 450% del Pil, mentre in Europa si attestano al 150%.
Apparentemente le élites europee vogliono elaborare un piano che consenta di trattenere in patria il risparmio europeo che attualmente è assorbito in larga parte dall’area dollaro, (come già previsto dal Rapporto sulla competitività di Draghi nel 2024), ma in realtà stanno incentivando l’afflusso dei capitali dei fondi di investimento nei marcati finanziari europei. Negli ultimi giorni ai ribassi delle borse americane, fa riscontro la crescita degli indici dei mercati europei. Le prospettive di investimento prefigurate dal ReArm Europe costituiscono un provvidenziale polo di attrazione per i capitali in fuga dalla prevedibile implosione delle bolle speculative nei settori del green e dell’hi-tech. Nel riarmo europeo saranno quindi dirottati i capitali dei fondi di investimento americani che acquisiranno un ruolo predominante nell’industria bellica e nel finanziamento del debito pubblico degli stati europei.
E’ facilmente prevedibile che il coinvolgimento del risparmio privato nel mercato dei capitali verrà effettuato con le stesse tecniche adottate nella rivendita ai privati cittadini ignari dei rischi, delle obbligazioni subordinate nello scorso decennio, il cui default provocò l’annientamento dei risparmi di una vita di tanta gente. La mobilitazione del risparmio privato implica infatti la traslazione del rischio dalle banche ai cittadini.
E’ poi del tutto illusorio pensare che l’economia europea, che versa in una crisi strutturale a causa del caro energia, del declino dell’export, del fallimento degli investimenti nella transizione green, possa rivitalizzarsi mediante gli investimenti nel settore degli armamenti. Come afferma Alberto Negri in un articolo pubblicato il 18/03/2025 su “Il Manifesto” dal titolo “I profitti di pochi e i debiti di molti nelle guerre senza fine”: “In realtà più armi avremo e più alta sarà la probabilità che le useremo (male). Altro che deterrenza: le armi nei magazzini non producono reddito o sicurezza, come viene contrabbandato, ma alimentano la tentazione di giustificare nuovi e costosi arsenali con minacce vere o inventate e soprattutto destabilizzano lo stato sociale. L’ILLUSIONE è di uscire dalla crisi e dalle divisioni dell’Unione con il «keynesismo militare» come viene definito sull’ultimo numero di Le Monde diplomatique: invece ci indebiteremo per riempire gli arsenali di armi americane che sono oggi il 70% dell’import bellico europeo. Anzi già lo facciamo: secondo l’ultimo annuario del Sipri di Stoccolma gli stati europei della Nato hanno ordinato a Washington negli ultimi cinque anni 500 aerei da combattimento, oltre ad altri armamenti”.
In Germania è in corso di approvazione una riforma costituzionale per l’abrogazione di una norma nota come “freno al debito”, che prevede limiti all’indebitamento pubblico in vista del pareggio di bilancio, allo scopo di incrementare la spesa militare. Mers, cancelliere in pectore della CDU, dovrà fare approvare la riforma entro il 25 marzo, data di insediamento del nuovo parlamento, in cui non disporrebbe nelle necessarie maggioranze. Un atto politicamente fraudolento. Una tale riforma costituzionale viene attuata infatti in spregio della volontà popolare, dato che verrà approvata da un parlamento non più in carica a seguito delle recenti elezioni politiche.
La Germania dovrà necessariamente effettuare un piano di riconversione industriale di larga parte del settore auto (falcidiato dalla crisi), nell’industria degli armamenti. Si prefigura il trasferimento di alcuni stabilimenti della Volkswagen in via di smobilitazione, a Rheinmetall, quinto produttore di armi in Europa. Occorre rilevare che Rheinmetall è un’industria controllata da due multinazionali finanziarie americane: la Fidelity Management & Research Co. LLC e la Wellington Management Co. LLP. Analoga situazione, per quanto concerne l’industria degli armamenti, si registra in Italia, che dovrà indebitarsi di circa 80 miliardi per il riarmo. Così si esprime al riguardo Alessandro Volpi in un articolo pubblicato su “L’AntiDiplomatico” il 19/03/2025 intitolato “Quanto costa il riarmo "europeo" all'Italia (e chi ne beneficia veramente)”: “In sintesi 80 miliardi di euro di denaro pubblico che, di fatto, genera una limitatissima ricaduta occupazionale visto il peso degli acquisti presso le grandi società Usa, inglesi - come Bae - e presso Leonardo, dove lo Stato Italiano ha ormai una quota limitata al 30%”.
Ci si chiede quindi come la Germania, paese promotore nella UE del rigore finanziario e dal sistema industriale e bancario blindato, già dimostratosi impenetrabile ai tentativi di acquisizione da parte di gruppi stranieri, oggi tenda ad incrementare il proprio debito e si dimostri aperto all’ingresso nella propria economia a investitori esterni. Occorre tener conto del fatto che la sua economia basata sull’export (secondo il modello ordoliberista istituito dalla Merkel), a causa della perdita di competitività dovuta ai rincari energetici, al fallimento degli investimenti green nel settore dell’automotive, della politica protezionista americana, è in fase di deindustrializzazione e il suo sistema bancario (il cui default fu impedito dall’erogazione di fondi pubblici per 140 miliardi), non ha mai superato la crisi dei mutui subprime del 2008. La Germania, la cui economia è da anni in recessione, necessita di ingenti finanziamenti per la riconversione industriale e la ristrutturazione del sistema bancario. E’ prevedibile quindi che si dimostrerà assai permeabile alle manovre di acquisizione di rilevanti asset della propria economia da parte dei fondi di investimento americani. Non a caso, sarà il nuovo cancelliere Mers, già presidente del Consiglio di Sorveglianza del maggior fondo di investimento americano Black Rock, a gestire questo processo di trasformazione dell’economia tedesca. Analoga, se non peggiore sorte subiranno gli altri paesi della UE. La strategia di cannibalizzazione finanziaria dell’economia europea messa in atto dai fondi di investimento americani è ormai in fase avanzata.
Certo è che un’Europa economicamente depotenziata, divisa e conflittuale al suo interno, uniformatasi ai programmi di riarmo, a seguito del disimpegno americano, è perfettamente compatibile con la strategia di destrutturazione della potenza europea di Trump.
Inoltre, sia gli orientamenti ideologici che i programmi politici ed economici delle classi dirigenti europee sono omologate alle strategie dei neocon, inquadrati nelle file del partito democratico.
L’Europa sta perpetrando il suo suicidio. Una UE non integrata nell’area occidentale a guida statunitense è oggi impensabile. L’America nella sua interezza si riproduce nel protettorato – Europa. L’Europa odierna si configura come una civiltà decadente, giunta alla sua fase terminale.