Il presepe è un gioco al quale non rinunciare
di Claudio Risé - 21/12/2020
Fonte: La Verità
La burocrazia natalizia, con il suo carico di regole, divieti e allarmi, rischia di rovinare perfino la Notte Santa, quella nella quale la famiglia si riunisce davanti al Bambin Gesù nella mangiatoia. Momento di condivisione, anche ludico, che però trabocca di senso
Ciò che non era completamente riuscito neppure al chiassoso Papà Natale con la sua gerla di regali per lo più inutili, sta ora riuscendo all'ultima arrivata tra le burocrazie con relative norme al seguito: la burocrazia natalizia. Con tutti i suoi innumerevoli volti: sanitario, di ordine pubblico, ferroviario, scolastico, con relativi ministri, viceministri, pseudo task force, e compagnia cantante. Ormai la valanga di parole, norme, regolamenti, disposizioni, conferme, smentite, minacce, delle Autorità e media al loro servizio, sta per invadere anche la contemplazione e l'ascolto del potente silenzio della Notte Santa. Che è, invece, un bisogno vitale per una civiltà che non solo non sa più contemplare, ma neppure vedere, e ancora meno ascoltare se stessa e il mondo intorno.
Lo so che dopo un anno di chiusure e lock down l'unico disastro cui riusciamo a pensare è l'epidemia e il Covid, suo microscopico ma temutissimo signore e padrone. Tuttavia, se vogliamo continuare a vivere con corpo e anima, tutti noi, grandi e piccoli, abbiamo un assoluto bisogno di fare silenzio. E intanto, mettendoci in ginocchio a terra (o in piedi se lo facciamo sul tavolo) fare il presepio. Su cui quest'anno è anche uscito un istruttivo librino di Luca Villoresi: Purché non manchi la stella, (Donzelli editore). Finché, a mezzanotte del 25 (e non quando ci fa comodo), comparirà anche lui: il Bambino. Tutto ciò perché ci piace giocare? Certamente. Anche quel Bambino, del resto, diventato grande, rimprovererà i seriosi e i pesantoni, per esempio quando dice: "Vi abbiamo suonato il flauto, e non avete ballato" (lo racconta Luca). Molti preti, però, di cosa ha fatto lui parlano molto di rado, e sul divertimento preferiscono citare le battute TV della sera prima.
Solo nel silenzio della contemplazione del Bambino, però, può rinascere la speranza, quella vera. Quella che avviene, proprio nel silenzio immobile di quella notte. Nel tempo del solstizio d'inverno, dopo che le tenebre, cresciute fino ad allora, cominceranno a retrocedere. E il nuovo sole, come il bimbo, inizieranno invece a crescere. Simboli? Certamente, ma i simboli sono dei fatti, fisici e quindi anche psichici, perché non c'è separazione tra psiche, spirito e materia, territori in continua comunicazione. Il solstizio d'inverno è innanzitutto un evento cosmico: quindi anche psichico, e di grande rilievo e potenza. Prima di Gesù, i culti solari facevano nascere il dio Sole al solstizio d'inverno, in quella stessa notte. Così Mitra, dio iranico, romano, e di altre regioni europee. È solo il delirio di onnipotenza della povera razionalità ottocentesca che presuntuosamente vuole, ancora oggi, separare la materia dallo spirito e lo spirito dalla materia, e per questo infila cantonate una dopo l'altra. La fisica dopo Einstein e Pauli e tanti altri ha dimostrato che ciò non ha senso, ma i professori vanno avanti lo stesso. Perché così si fa prima, come già protestava il selvadego Leonardo da Vinci con i professori dell'epoca.
Noi, stremati dalle miserie del pensiero unico e obbligatorio per DCPM, e accerchiati dai suoi sinistri risultati, abbiamo invece bisogno di guardare quel Bambino silenzioso, proprio come lo rappresenta la sapienza iconografica del presepe: nella mangiatoia del bue e dell'asino. Che forse allora non c'erano neppure (sono comparsi più tardi, pare), ma a noi cittadini della civiltà tecnologicamente intossicata va bene così, ne abbiamo un bisogno vitale. Perché sono due animali, che quindi già da soli disintossicano, affettuosi e utili, per niente glamour, e soprattutto non fingono di essere professori. Per quanto pare che l'asino la sappia lunghissima, come racconta Roberto Finzi in Asino Caro, o della denigrazione della fatica. (Bompiani). Sono due esseri viventi, due animali umilissimi che fanno caldo e compagnia al Bambino redentore. Anche questo, certo, finisce col diventare simbolico, e ci ricorda che un asino e un bue sono immensamente più utili e meno pericolosi delle avanzatissime scoperte della tecnica che regnano a Wuhan, la città tecnologicamente più avanzata del mondo dove è nato il Covid 19, che fa strage e provoca gravi disturbi - anche psichici - nel nostro mondo superavanzato. Quel bimbo davanti al loro muso, d'altra parte, non può neppure parlare, è un in/fans, un infante, senza parola. Non ne ha alcun bisogno, siamo noi che abbiamo disperatamente bisogno di lui e del suo silenzio risanatore di tutto l'inutile rumore fatto della parole inutili, false, doppie, triple. Sempre lui che ci comanderà, da grande: " Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno"( poi Matteo lo trascrisse). E già ci risana adesso, solo a guardarlo Bambino. Perché ( per esempio) a tirar via le false mezze parole che oggi costituiscono i tre quarti del vocabolario della politica e gli opportunismi di maniera che affollano la nostra vita quotidiana, sarebbe già una bella disintossicazione (e così il virus - tra l'altro- farebbe meno strada).
Insomma, questo Bambino nella mangiatoia sotto le stelle, per il semplice fatto che è lì con noi e con i pastori e gli animali, catturati come noi dalla sua grazia potente, ci offre la più grande meditazione sulla verità della realtà del creato, e la vanità di tutto il resto. Ed è proprio la verità che può guarire oggi questo mondo malato, che finalmente si accorge della propria fragilità e crede di risolverla correndo ansiosamente da un vaccino all'altro. Tuttavia, come si può sperimentare la verità, oggi, in un mondo e un modo di vivere completamente fabbricato, costruito, dove niente è autentico? Cosa è "vero" se non solo la natura creata, ma anche il corpo umano, sono sempre più lontani, manipolati, "trattati", modificati? Il filosofo e psicologo tedesco Ludwig Klages, già nel secolo scorso sosteneva che la menzogna patologica, sempre più diffusa negli ultimi due secoli (come dimostra anche la moltiplicazione della manifestazioni isteriche, e il loro successo di pubblico), nasce da un'esperienza della realtà troppo debole, poco intensa. (Joseph Gabel, autore de La falsa coscienza, lo confermò). Viviamo esistenze magari luccicanti, ma inconsistenti. Si finisce con il mentire perché si vivono "realtà" già troppo manipolate, costruite, in fondo false. Il modello sociale, poi, ci convince che va bene così: fai il bravo, ubbidisci al DCPM e non fare lo stravagante.
Ecco perché, invece, siamo qui a fare il presepe e contemplare il Bambino, attraverso la sua verissima statuina da pochi soldi, e tutte le altre attorno. Perché, come ha poi detto da grande (e Giovanni l'ha trascritto ): Io sono la via, la verità, la vita. Per scarsi che si sia, basta cercare di seguirlo, (come si può), che l'esistenza prende consistenza, diventa appassionante, forte. Quasi da essere - a tratti- felici.