Il procedere della cancellazione culturale è la dimostrazione incontrovertibile dell'impotenza di ogni opposizione
di Riccardo Paccosi - 08/11/2023
Fonte: Riccardo Paccosi
C'è un aspetto di quello che sta accadendo che rivela più di altri come - al momento, ovvero entro l'orizzonte concepibile degli eventi - l'èlite occidentale stia vincendo la propria battaglia in misura irreversibile.
Con buona pace di trumpiani, risveglisti new age e altri spacciatori del "abbiamo vinto noi", cioè, occore al contrario capire che, come diceva Oswald Spengler, l'ottimismo è una cosa da vigliacchi.
Scorgendo questa notizia sulla cancellazione anche nominale del Natale - ovvero constatando ancora una volta come gli adoratori del Nulla che puntano alla cancellazione d'ogni retaggio culturale sferrino perpetuamente attacchi che costringono tutti gli altri in una posizione meramente difensiva - mi vengono in mente due dati di fatto che sento di poter definire inconfutabili.
1) E' stata compiuta, da parte degli estremisti al potere, una capillare e onnipervasiva penetrazione del sistema dell'istruzione - dagli asili d'infanzia alle università - di cui già oggi sono visibili le conseguenze in termini d'indottrinamento ideologico delle nuove generazioni.
A quest'ultimo aspetto, molti ribattono sottolineando il fatto che alla fine gli adolescenti di oggi sono intelligenti; ma se tra le pur innegabili facoltà intellettive manca il pensiero critico - o meglio non esiste proprio il concetto inerente a un sistema socio-economico che possa essere oggetto di critica - tale consolazione risulta nulla più che retorica.
Al di là di questo, comunque, il punto incontestabile è che nulla - nessuna forza reale interna al sistema dell'istruzione o al di fuori di esso - ha anche solo provato a contrastare tale penetrazione.
2) Al pari delle altre strategie neoliberiste in campo sociale, culturale ed economico, la cancel culture possiede la caratteristica di non riposare mai, di non fermarsi mai e, a ogni vittoria, corrisponde la sua predisposizione ad aprire immediatamente un nuovo fronte d'attacco.
Chi dissente dal pensiero dominante, al contrario, punta pur incosapevolmente a uno stato di equilibrio e quiete, a una dimensione di vita non sottoposta allo stress del mutamento perpetuo.
Il pensiero dominante, però, non conosce quiete, non conosce la necessità d'avere il tempo di elaborare una nuova realtà, per il semplice motivo che si tratta d'un pensiero macchinico, tecnico-strumentale, esteriore e ostile alla dimensione precipuamente umana. E' come se stessimo osservando una competizione sportiva fra esseri umani, dotati di limitazioni fisiche, e robot che non conoscono stanchezza e logoramento.
Tutto questo - come da me sottolineato negli ultimi tre anni una quantità innumerevole di volte con post e libri - non rappresenta affatto un approccio desistente, bensì indica il necessario rovesciamento etico per ciò che riguarda la motivazione personale a combattere contro il pensiero dominante. Suddetta motivazione non può essere fondata sull'illusione del "abbiamo già vinto", bensì deve prendere le mosse dalla dimensione tragica della storia e della propria esistenza personale, quindi deve fare di questo portato tragico un dispositivo di consolidamento etico atto ad assumere lucidamente la decisione di combattere proprio nel momento in cui ogni speranza viene meno.
E' anche quest'assunzione del tragico che, in un certo senso, permette di contrastare quella razionalità strumentale che il potere vuole imporre su ogni aspetto della vita. L'ottimismo, invece, condiziona la spinta etica del combattere al successo del risultato e mantiene la vita, così, entro il perimetro della tecnica e della strumentalità.