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Il progressismo e l’era dei domani che cantano sono finiti

di Michel Maffesoli - 02/02/2023

Il progressismo e l’era dei domani che cantano sono finiti

Fonte: GRECE Italia

Nel suo ultimo libro “Logique de l’assentiment”, il sociologo afferma che stiamo entrando in una nuova era, in cui ci adattiamo al meglio all’ordine delle cose esistenti e al mondo così com’è, senza alcuna ambizione di modellarlo.

Michel Maffesoli, sociologo e professore emerito alla Sorbona, ha appena pubblicato Logique de l’assentiment (Cerf, 2023).

 

Le Figaro: La modernità, dal XVIII al XX secolo, è stata l’epoca dell’individualismo e della critica sistematica. Secondo lei, stiamo entrando in una nuova era, fondata sull’assenso, in cui ci adattiamo al meglio al mondo così com’è, senza l’ambizione di modellarlo. Che cosa significa? Quali sono i valori del nuovo mondo che verrà?

Michel Maffesoli: In Francia abbiamo spesso temuto la fine di quella che viene comunemente chiamata «modernità», vale a dire il movimento iniziato nel XVII secolo con il cartesianesimo e in declino dalla metà del XX secolo. Oggi stiamo entrando in una nuova era, che alcuni chiamano «postmodernità». Contrariamente alla concezione linearista della storia, che immagina l’umanità in costante progresso, dalla barbarie al trionfo assoluto della scienza, personalmente ritengo che esistano delle epoche. L’epoca moderna poggiava su un treppiede: la prima gamba era l’individualismo, con il «cogito ergo sum» di Cartesio, la seconda era il razionalismo, che doveva predominare con la filosofia dell’Illuminismo, e infine c’era il progressismo, la grandiosa idea marxista de «i domani che cantano». Dal mio punto di vista, questo treppiede sta per finire, vacillando, in modo piuttosto difficile. Siamo in un periodo crepuscolare. Tutti percepiscono ciò che stiamo lasciando, ma non riescono ancora a vedere chiaramente ciò che sta emergendo. Sostengo l’ipotesi secondo cui l’«io» sarà sostituito dal «noi», il razionalismo dal sentimentalismo e il progressismo, i domani che cantano, dal «dover vivere il momento presente».

Durante i miei anni di insegnamento alla Sorbona ho avuto l’opportunità di studiare le giovani generazioni, che rappresentano il futuro della società. Se guardiamo con attenzione alle pratiche giovanili, possiamo vedere che è la comunità a prevalere, il «noi». Non si tratta più di una concezione puramente razionalista del mondo, ma di una condivisione di emozioni, affetti, passioni. Non c’è più un impegno politico, una visione dell’avvenire, ma la necessità di adattarsi a questo momento eterno che è il presente.

Le Figaro: Cosa ha fatto precipitare la caduta del modernismo?

Michel Maffesoli: Per descrivere questo declino prendo generalmente in prestito l’idea di «saturazione» dal sociologo americano Pitrim Sorokin, che si chiedeva come una certa cultura possa perdere il suo carattere «evidente» e degradarsi gradualmente. In chimica, si parla di saturazione quando le molecole che compongono un corpo, per vari motivi, non possono più stare insieme. Questo fenomeno porta alla destrutturazione del corpo e all’emergere di una nuova struttura. Quindi non si tratta di una rottura, ma di una lenta degradazione, e a un certo punto tutto ciò che funzionava prima non funziona più, tutto ciò che sembrava ovvio sembra assurdo. Oggi vediamo una moltitudine di fenomeni che dimostrano che le persone non si riconoscono più in valori comuni. L’élite, sia essa politica, economica o mediatica, è rimasta legata ai modelli dell’epoca moderna, ma il popolo non vi si riconosce più. Sorokin dà l’immagine di un bicchiere d’acqua, che si può salare senza che ciò sia visibile, fino a un momento preciso in cui la saturazione diventa evidente. Attualmente siamo all’ultimo granello di sale.

Le Figaro: Vedete in questa logica dell’assenso una forma di saggezza della vita presente, della quotidianità, con le sue disgrazie e gioie…

Michel Maffesoli: Questa è la differenza tra il drammatico e il tragico. La modernità è stata drammatica nel senso che c’era una soluzione. L’intera analisi di Marx era dimostrare che esistevano sì dei problemi, ma anche delle soluzioni, e che ci stavamo dirigendo verso una risoluzione generale della storia. L’epoca attuale è un vantaggio tragico, si tratta di affrontarlo, di accettare i problemi. Il dramma consiste nel dire «no» ai problemi, la tragedia contiene una forma di accettazione. Questa resilienza, che consiste nel sintonizzarsi sulle piccole cose dell’esistenza, è una saggezza ancestrale che oggi sta tornando in auge.

Le Figaro: L’onnipresenza dei social network e la moltiplicazione dell’intrattenimento domestico (Netflix…) hanno prodotto o amplificato questo fenomeno?

Michel Maffesoli: In effetti, i social network e altre piattaforme rafforzano questa saturazione. È interessante osservare il periodo della decadenza romana nel III e IV secolo d.C… Durante questi due secoli, il cristianesimo non era la religione dei potenti, ma dei soldati e dei poveri. Non è questo culto che era chiamato a trionfare, ma piuttosto quello di Mitra o di Orfeo. Tuttavia, ad un certo punto, la piccola chiesa di Milano ha decretato il dogma della Comunione dei Santi. Vale a dire che questa chiesa di Milano era spiritualmente legata a quella di Lutezia, di Roma, di Narbonne… È questo legame che porterà all’incredibile successo del Cristianesimo. E oggi, mi sembra, che internet sia la Comunione dei Santi postmoderna.

Le Figaro: Il movimento dei «gilet gialli» o le manifestazioni contro la riforma delle pensioni non contrastano con questa idea? Una frangia della popolazione sembra continuare a voler cambiare il corso delle cose?

Michel Maffesoli: Due anni fa ho scritto il libro L’età delle rivolte, in cui ho assunto un punto di vista opposto a quello dello storico americano Hobsbawn, autore di L’età della rivoluzione, molto letto negli anni Settanta. Questo storico ha dimostrato che nella tradizione marxista e avanguardista c’era l’idea che il popolo avrebbe creato una società perfetta attraverso la rivoluzione. Penso che non sia più così, non c’è più questa tensione rivoluzionaria del popolo verso una società perfetta. Non siamo più di fronte a rivoluzioni, ma a rivolte. In altre parole, il popolo non si solleva più per stabilire una società ideale, ma perché è stufo. Le manifestazioni contro la riforma pensionistica vanno oltre la semplice questione delle pensioni e si riferiscono a un movimento sociale più ampio che abbiamo visto con i «gilet gialli». Questo movimento è nato dall’aumento del prezzo della benzina. Ma questo era solo un pretesto che, secondo me, traduceva il desiderio di stare di nuovo insieme, di uscire dall’isolamento. Questo movimento è sempre più forte nelle nostre società.

Le Figaro: Questo continuo «arrancare» non è forse un passo indietro? Un popolo che ha rinunciato ad agire è destinato al fallimento?

Michel Maffesoli: Non credo. La vedo come una forma di saggezza popolare. Siamo in un Paese in cui le élite spesso disprezzano il popolo e ne coltivano la diffidenza. La filosofia della storia nel XIX secolo, che poi si è costituita nel comunismo sovietico, era questa concezione di una storia sicura di sé, la freccia del tempo.

Il ritorno del sacro, l’importanza data al locale e il ritorno delle tradizioni, riflettono una forma di radicamento dinamico, che è l’opposto del ritorno al passato. Solo le radici e il ritorno alle radici permettono una forma di crescita.

Michel Maffesoli, Logique de l’assentiment, ed. du Cerf, 2022, 224 p., 20 €. Le Cerf

L’intervista rilasciata a Le Figaro Vox, Michel Maffesoli: «Le progressisme et l’ère des lendemains qui chantent sont révolus», in data 30/01/2023.