Il ripudio del dolore: un insidiosissimo adescamento del "progressismo"
di Michele Iannelli - 25/08/2021
Fonte: Michele Iannelli
A partire dal secondo dopo guerra e con un’impressionante accelerazione in questi ultimi decenni, buona parte dell’umanità subisce l’infausto bombardamento di un falso e pernicioso “progressismo”: concetti e pratiche tradizionali sono state demonizzate etichettandole come retrive e obsolete; si sono proposte e imposte, grazie anche alla dirompente pervasività della televisione e di tutte le altre forme di comunicazione, suggestioni “pubblicitarie” che hanno propinato promesse tanto accattivanti quanto illusorie e che, con pervicace esagitazione, sono state ammantate di “progressismo”.
Il vero Progresso, però, deve necessariamente corrispondere a un concreto miglioramento della qualità della vita (intesa non solo come disponibilità di merci); poiché, da quando dominano i “miti del progresso”, si osserva un declino degli indici che qualificano il ben-essere è ragionevole pensare che qualcosa non torna nei conti.
Gli effetti tossici del ripudio del dolore
Una delle Sirene di questo andazzo “progressista” è mirata a far recepire che tutto ciò che odora di proficua fatica, di inevitabile asperità e di utile dolore può e deve essere soppresso o evitato attraverso dannose scorciatoie. Le lauree, allora, diventano brevi e superficiali; l’arricchimento può essere raggiunto non con l’onesto lavoro, ma attraverso il gioco d’azzardo, la ruberia e la corruzione; viene abolito il servizio di leva.
Lo studioso viene etichettato come un antipatico e antiquato “secchione”; l’onesto è considerato un idealista fessacchiotto; la persona che lavora con impegno e assiduità è un antisindacale, un lecchino e un ambizioso; nello sport la tentazione del doping prende, con una preoccupante frequenza, il sopravvento; la Madre Terra, primaria e ardua fonte di vita, o viene abbandonata o subisce un continuo avvelenamento da una forma di agricoltura perversa che mira a ottenere sempre di più, in tempi più brevi e con meno fatica cibo inevitabilmente tossico.
La passione che il fuoco della vita viene smorzata dal timore della sofferenza che può apportare; l’aspettativa che dà sapore all’esistenza si trasforma in una pretesa che non ammette frustrazioni e che, perciò, può diventare assassina.
I matrimoni e la figliolanza sono in netta diminuzione perché considerati da molti come condizioni troppo “impegnative”.
Anche la diversità delle opinioni e il dissenso subiscono l’azione di potenti silenziatori: da una parte agisce l’illusione di un mondo sull’orlo della perfezione e dall’altra si preferisce la comodità analgesica del “politicamente corretto” e di una normopatia che si rivela alla lunga grigia e asfissiante.
Medicina del Buon Senso antidoto contro la “Medicina del ripudio del dolore”
I segni, i sintomi dolorosi, i punti e le zone dolenti, la mimica, le posture, le anomalie strutturali (oggi ben visibili attraverso la diagnostica per immagini) etc. sono la grammatica e la sintassi di un linguaggio del corpo che va rilevato, accolto, compreso, interpretato e dotato di collocazione e di significato per offrire alla persona una terapia bio-logica, naturale personalizzata e, quindi, di buon senso.
Al contrario, la così detta “Medicina Ufficiale” (avvalendosi del e alimentando, al tempo stesso, il ripudio del dolore) attraverso l’impiego scriteriato dei farmaci di sintesi sopprime i preziosi segnali del sistema-uomo e lo danneggia intossicandolo e producendo patologie iatrogene; si comporta, cioè, come un automobilista che, al lampeggiare della spia della benzina, invece di recarsi da un distributore, pensa di risolvere il problema prendendo a martellate il cruscotto fino a che la lampadina gialla si spegne.
Ovviamente, anche in questo caso, la “Medicina del ripudio del dolore” è prodotta e diffusa da un apparato composito e agguerrito: innanzitutto le multinazionali del farmaco che producono per se stesse profitti favolosi; i mezzi di comunicazioni sovvenzionati dalla pubblicità della farmacologia di sintesi; la corruzione di settori dell’amministrazione pubblica e del mondo medico.
Tutti insieme a far credere che la nociva terapia soppressiva sia il frutto delizioso del “progresso scientifico” e che solo a essa si può attribuire il crisma della ufficialità. Una ufficialità che, in realtà, è il frutto di una auto-consacrazione e di ricerche dal dubbio (o addirittura nullo) fondamento scientifico.