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Il ritorno degli dèi forti

di Roberto Pecchioli - 08/03/2025

Il ritorno degli dèi forti

Fonte: EreticaMente

Donald Trump ha affermato che esistono solo due sessi, uomo e donna. C’era bisogno del presidente americano per dire quello che sanno da sempre tutte le civiltà. Tranne l’Occidente terminale. Marco Rizzo ha chiamato matti i politici che portano nelle scuole infantili le storie dei coniglietti gay. C’era bisogno di un comunista vecchio stile per difendere i bambini da devastanti menzogne. Jorge Mario Bergoglio ha ribadito che le teorie gender sono un pericolo per l’umanità. C’era bisogno del papa progressista per ribadire una verità evidente. Il ministero dell’Istruzione blocca la conferenza in un liceo di un porno attore, mascherata da educazione all’affettività. C’era bisogno del governo per affermare l’incompatibilità tra pornografia e sentimenti.

Perfino Ursula Von der Leyen ha detto una cosa sensata, benché per pessimi motivi. La pace si difende anche con la forza. C’era bisogno di Putin per spazzare il pacifismo falso e bugiardo, e della comica volontà di potenza delle oligarchie europoidi per rivelare che lo stravagante obbligo del rapporto del 3 per cento tra PIL e debito pubblico era un’ invenzione per ingabbiare gli Stati. Il vincolo è derogato per imporre il riarmo dopo avere distrutto l’industria manifatturiera. Ci voleva Carlo Calenda per dire che l’ UE è “l’ultima trincea della democrazia liberale”. Infatti è una plutocrazia la cui sovrastruttura è il liberalismo, un’ideologia materialista, utilitarista, egoista, madre della società liquida e della privatizzazione del mondo. Dobbiamo smantellare quella declinante trincea per affermare valori opposti, patria, onore, identità, comunità, spirito, lealtà, solidarietà, cooperazione, bene comune, giustizia sociale. Javier Milei , presidente argentino, ha detto al Forum di Davos qualcosa che deve aver sorpreso perfino gli oligarchi della montagna incantata: la giustizia sociale è un’aberrazione. Ci voleva un mattocchio incauto per spiegare come la pensano.

Sono cadute le maschere e tornano gli dèi forti, le idee che muovono il mondo, nel male ma anche nel bene. Prima credevamo nel progresso; vi era consenso intorno all’idea che con l’uso della ragione e dell’esperienza le cose sarebbero migliorate. Oggi progresso è una parola senza significato, e i suoi sostenitori vivono in un presentimento apocalittico. Greta Thunberg si angoscia prevedendo la catastrofe climatica. Si consolano ripiegando sulla sostenibilità. Le autorità in cui riponevamo fiducia si sono dissolte. I falsi dèi forti battono in ritirata perché forti non erano. Il disincanto del mondo previsto da Max Weber ci ha lasciati nudi, ma è al tramonto.

Ci sono molte spiegazioni per l’erosione delle vecchie lealtà. Colpa della ragione strumentale, del liberalismo che ha creato il capitalismo, del nominalismo che ha ridotto idee e concetti a meri segni linguistici? Sì, ma vi è di più. Una spiegazione la fornisce il politologo C.B Macpherson in The Political Theory of Possessive Individualism (La teoria politica dell’individualismo possessivo), mai tradotto in italiano. L’ individualismo possessivo concepisce il soggetto come unico proprietario di se stesso che non deve nulla alla società. Le sue capacità sono merce da compravendere sul mercato. Una società siffatta enfatizza una sete egoistica e infinita di consumo, considerata il nucleo cruciale della natura umana. Macpherson, socialista, era convinto che quell’ individualismo (distruttivo perché possessivo) impedisse di sviluppare razionalità, giudizio morale, amicizia e amore, i “poteri veramente umani”. Più recente è Perché il liberalismo ha fallito di Patrick J. Deneen. Delle tre ideologie dominanti del XX secolo – fascismo, comunismo e liberalismo – rimane solo l’ultima, convinta di rappresentare il naturale sviluppo dell’evoluzione umana. Il liberalismo si fonda su un cumulo di contraddizioni: reclama uguali diritti, ma produce un’ineguaglianza materiale sempre più marcata; la sua legittimità si basa sul consenso, ma scoraggia l’impegno civile a favore della dimensione privata; nel perseguimento dell’autonomia individuale ha dato origine all’apparato statale più pervasivo della storia. Il suo successo ha scatenato la crisi della cultura occidentale; i suoi non sono difetti superficiali, ma caratteristiche intrinseche che portano al fallimento.

Resta insuperata l’intuizione di Emile Durkheim: l’industrializzazione e l’urbanizzazione, sradicando dai modi di vita tradizionali, determinano una condizione di anomia – mancanza di norme, di principi fondanti – dagli esiti psicologicamente insopportabili. L’Occidente ha vissuto una serie di catastrofi di civiltà a partire dalla prima guerra mondiale, una carneficina senza precedenti. L’Europa odierna dovrebbe rifletterci di più, anziché giocare con il fuoco di una russofobia isterica in cui il linguaggio della guerra diventa l’anticamera di un assurdo conflitto armato. La rivoluzione sovietica inaugurò una febbrile lotta ideologica, poi la depressione postbellica screditò il capitalismo, ma dopo vent’anni dal primo massacro iniziò un secondo conflitto, stavolta veramente globale. Sei anni di distruzione , un numero di morti impressionante e l’epilogo brutale delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

Gran parte della gente disse: mai più. Sembrava l’imperativo morale di un dopoguerra lunghissimo, chiuso nel 2022 dalla guerra per procura tra l’Occidente e la Russia. L’ Europa dominata dagli Usa pose sul trono gli dèi deboli dell’utilitarismo e dell’economia. Il liberalismo passò dalla condizione di tradizione politica e giuridica a programma antropologico complessivo. Ciò diede agli elementi dissolventi della modernità un prestigio morale di cui prima non godevano. Un esempio è un testo fondante del liberalismo, La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper. La medicina universale diventava il relativismo morale ed esistenziale, il cui sbocco era la società aperta, priva di valori forti, convinta che ogni principio è solo un costrutto sociale. Il primo nucleo della cultura della cancellazione. E’ nota l’avversione di Popper per Platone, considerato il padre del totalitarismo in quanto convinto che si potesse attingere la verità. Meglio idee deboli, quelle della società aperta, che deve però espellere chi non ne condivide i presupposti. Relativismo obbligatorio trasformato in imperativo, un dio forte rovesciato. Solo papa Benedetto XVI ebbe il coraggio di affrontare il relativismo occidentale diventato nichilismo, il più inquietante di tutti gli ospiti secondo Nietzsche.

Ciò che oggi chiamiamo progressismo è un’estensione dell’appello di Popper all’indifferenza: mettere da parte le pretese di verità per costruire la società aperta. Quel moralismo spurio e quell’urgenza si trasformano in dittatura del relativismo. La deregolamentazione economica liberista – la privatizzazione del mondo – si è intrecciata con la deregolamentazione culturale. Gli economisti liberali degli anni Ottanta, da Milton Fiedman a Von Hayek, consideravano i principi economici del libero mercato come imperativi antitotalitari. Esortavano a rinunciare alla nozione di bene comune e a consentire al mercato (ovvero a chi lo domina) di dirigere la società, unico soggetto in grado di produrre accordi soddisfacenti tra gli individui. Gli stessi Popper e Hayek, peraltro, davano per scontata la persistenza delle istituzioni ereditate, come il matrimonio, e non avrebbero mai immaginato che la società aperta avrebbe permesso di scegliere se essere uomini o donne.

Entrambi auspicavano l’indebolimento del pensiero forte come premessa per evitare il fanatismo ideologico. Più conseguenti, i francofortesi Adorno e Horkheimer misero nel mirino ogni forma di autorità per distruggere le fonti del pensiero europeo. L’ esito nichilista non sorprende: le convinzioni nette turbano, sono esigenti, allontanano dall’autocompiacimento. Pensare che non c’è nulla per cui valga la pena impegnarsi, apparentemente libera. Il fascino del nichilismo è semplice: se non c’è nulla per cui lottare, nessuno combatterà. Una deduzione attraente dopo due carneficine, che spiega la postmodernità liquida, impegnata a destituire di senso ogni idea forte. Tutti i grandi movimenti di pensiero del nostro tempo sono impegnati a dimostrare che non c’è nulla per cui abbia senso lottare. Tuttavia, non sono affatto tolleranti, nonostante l’enfasi che pongono sul concetto. Punitivi, arcigni, di un puritanesimo uguale e contrario a quello di ieri, esigono, prescrivono l’indebolimento di tutto ciò che è forte, definito.

L’idea base del nichilismo contemporaneo è che l’uomo vive meglio senza solide certezze. L’ esperienza afferma il contrario, ma gli dèi deboli impongono di non credere ai nostri occhi. Le contraddizioni sono gigantesche; è falso che stia sorgendo una società inclusiva, attenta alla diversità. Gli dèi forti vogliono amore e richiedono la nostra lealtà. Sono oggetto di devozione fino al sacrificio, la più potente espressione della libertà. Senza principi forti e impegni profondi, definitivi, non possiamo sostenere una cultura di verità. Dobbiamo rivendicare il perenne desiderio di verità, allenarci alla verità, sapendo che la sua ricerca richiede libertà spirituale. Non dobbiamo credere troppo in partiti e programmi politici, che possono indurci a piegare o falsificare la realtà. E serve coraggio. Dire la verità su sesso e matrimonio non è facile; non lo è nemmeno attaccare la globalizzazione o il potere tecno finanziario. Ma sono verità necessarie che vanno proclamate.

La pandemia ha mostrato la volontà del potere di intimidire, mettere a tacere il dissenso. Abbiamo bisogno di forza per affrontare le élite tecnocratiche, l’oligarchia globale. Serve più del coraggio: la purezza del cuore, non solo la forza dell’intelletto. Che il matrimonio sia l’unione fruttuosa tra un uomo e una donna è una verità naturale. Che l’ideologia gender sia una menzogna è evidente a chiunque conosca la storia umana. Il nichilismo non solo rifiuta la trascendenza, ma considera la storia e la cultura occidentale meri strumenti di oppressione. Tocca a chi crede nel pensiero forte la responsabilità della memoria. Il nostro sì è più potente del loro no. Il ritorno degli dèi forti richiede di abbandonare la posizione difensiva e passare all’attacco, elaborare progetti alternativi, riannodare un consenso sociale bastato sulla legge morale naturale aperto alla trascendenza, guidato dal principio del bene comune. Il mercato è uno strumento, non di più, da regolare affinché serva l’uomo, non il contrario. La globalizzazione ha separato gli interessi oligarchici da quelli nazionali e popolari, di cui dobbiamo rivendicare la priorità. Tre amori infiammano il cuore degli uomini: la fede, la famiglia, la bandiera. Non certo il falso universalismo della cricca globalista. I diritti civili non possono unire gli uomini , né sacrificare i diritti sociali e il bene comune .

Bisogna essere instancabili nel proteggere i più vulnerabili. La difesa della sacralità della vita è l’ imperativo. Non solo contrastando la cultura che banalizza l’aborto e promuove la morte assistita di anziani, malati, fragili, poveri. Occorre tornare in trincea contro le dipendenze indotte dalla società dei consumi e dell’autodistruzione. Si muore di droga, di alcolismo, di consumo di sé sull’altare di esperienze estreme, ricerca di emozioni: il casinò dell’esistenza in cui vince il banco. Tutto o niente, l’imperativo della competizione, dell’altro come nemico, da sfruttare o da cui trarre piacere. Corriamo su una strada senza guardrail: troppi escono di strada e si schiantano. Il cambiamento sociale più devastante è stato il declino del matrimonio. Dobbiamo denunciare i terribili costi delle rivoluzioni culturali degli ultimi decenni. E proporre principi forti, politiche che ricostruiscano i guardrail. Richiederà cautela, tempo, accettare di perdere qualche battaglia, resistere a maldicenze, menzogne, persecuzioni.

L’establishment d’ Occidente è sconvolto dall’ansia, timoroso che il suo potere nella società spalancata sul nulla stia diminuendo. Tutto ciò disorienta, perché è difficile riconoscere quando un’epoca finisce e il consenso dominante perde forza. Il ritorno degli dèi forti ha bisogno di uomini buoni e coraggiosi. Non si vince senza combattere. Nessuna guerra culturale è persa, perché nessuna è vinta per sempre (Thomas S.Eliot).