Il ruolo del nuovo lavoratore? Digitale e partecipe nell’azienda
di Mario Bozzi Sentieri - 27/03/2021
Fonte: Mario Bozzi Sentieri
Quando a un disoccupato mancano le competenze che il mercato richiede, la formazione fa la differenza. Particolarmente oggi, in una fase di trasformazioni che non è eccessivo definire “epocali”. “Riqualificare” tecnicamente un lavoratore non è però sufficiente. Non basta aggiungere alla qualifica attuale quella di “digitalmente servito”. Occorre un ulteriore salto di qualità in grado di dare al lavoratore “digitale” una nuova consapevolezza, insieme tecnica e gestionale. Il passaggio epocale, realizzato dalla nuova rivoluzione, va allora sostenuto da una più alta assunzione di responsabilità del mondo del lavoro, nelle sue diverse specializzazioni. Un’assunzione di responsabilità che non può però esaurire la propria funzione nel mero ambito della tecnica, toccando le diverse fasi della decisione fino ad investire la remunerazione (e quindi la distribuzione degli utili).
Rispetto alle nuove frontiere del lavoro il tema non può essere, dunque, soltanto quello di “formare al digitale”. Il digitale è tecnica, capacità di conoscere e di orientarsi all’interno dei nuovi strumenti tecnologici. Ma la tecnologia non esaurisce le opzioni date, che riguardano soprattutto una nuova assunzione di responsabilità da parte dei lavoratori sia a livello mentale che funzionale, sconfiggendo il rischio che ad emergere sia un vero e proprio “sottoproletariato digitale”, subalterno rispetto alle derive tecnocratiche.
In termini “funzionali”, a partire dai luoghi di lavoro, va poi rilanciato il ruolo dei corpi sociali contro i pericoli della disintermediazione, con alla base l’idea che l’individuo sia il migliore giudice di sé stesso e dunque non abbia bisogno di “intermediari”, sia in campo politico che sociale. Al contrario, attraverso i corpi sociali può nascere e crescere una volontà di integrazione culturale e sociale, in grado di coniugare nuovi lavori e partecipazione, tecnica e crescita spirituale. A partire da una esigenza di fondo: quella della gestione consapevole dei nuovi processi tecnologici e delle loro ricadute politiche.
Secondo Leonardo Valle, esperto internazionale di Project Management ed Operations (Advance advisory, Lab DFG, 2019) “il nuovo equilibrio occupazionale e sociale richiede agli smart worker di essere uomini pensanti. Nella società del prossimo futuro non si può arrestare la rivoluzione digitale, però si può e si deve trovare un nuovo equilibrio tra uomo e tecnologia, alzando l’asticella dei nostri obiettivi e puntando a una miglior qualità della vita”.
In quest’ottica Valle parla di un Umanesimo digitale costruito su alti standard qualitativi, in grado di incrementare attività ad alto valore aggiunto, di puntare sul controllo dei processi produttivi, di favorire la “crescita delle persone”. La parola d’ordine è “fare sistema”, connettendo centri di ricerca, scuole superiori ed imprese, con un occhio attento ai territori, perché – scrive Valle – è lì che si poggia l’impresa, “è lì che sono nate le intelligenze che ci lavorano ed è lì che trasferisce ricchezza o disastri, se ne combina”.
Se questa è la prospettiva è evidente come la vera sfida della tecnologia non sia solamente “prendere il vento” della modernizzazione (“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” – affermava Seneca) ma avere una rotta e seguirla. Dentro e fuori le aziende, tra il management ed il mondo del lavoro, nelle scuole e nei centri di ricerca, a livello di enti locali e di più complessi livelli di decisione politica.
Come ha acutamente notato Yuval Noah Harari (21 Lezioni per il XXI Secolo, Bompiani 2018) “le rivoluzioni nell’ambito delle tecnologie informatiche e biologiche sono portate avanti da ingegneri, imprenditori e scienziati che sono appena consapevoli delle implicazioni politiche delle loro decisioni, e che di certo non hanno nessuna delega”.
Rispetto alle debolezze strutturali di un sistema, pensato e cresciuto nell’era dei motori a scoppio e delle catene di montaggio e fondato sull’idea del cittadino-elettore, sull’onda della nuova rivoluzione tecnologica appare allora urgente rimodellare procedure rappresentative, individuare nuovi processi d’integrazione sociale, ripensare i rapporti tra tecnica (competenze) e politica (decisione). Avendo al centro un’Idea ricostruttiva dell’uomo, del lavoro, della società.
“Non si tratta di distruggere le macchine, si tratta – per dirla con Georges Bernanos (Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, Rusconi 1972) – di rialzare l’uomo, cioè di restituirgli la fede nella libertà del suo spirito, assieme alla coscienza della sua dignità”.
Di fronte a questi principi non c’è algoritmo che tenga. La sfida è aperta, a partire proprio dal lavoro che cambia. Esserne consapevoli è già una buona strada per provare ad uscirne vincenti.