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Il sovranismo è morto. O forse questo ne era solo una brutta copia

di Adriano Scianca - 28/08/2019

Il sovranismo è morto. O forse questo ne era solo una brutta copia

Fonte: Il Primato Nazionale

Quando decidemmo di porre sotto la testata del Primato Nazionale la definizione di “quotidiano sovranista”, avevamo ben chiaro come questo termine, “sovranismo”, indicasse sia un “da fare” che un “fatto” e anche che i due momenti erano spesso disallineati fra loro. Il sovranismo “da fare” era la risposta politica, culturale e sociale al globalismo. E, va da sé, questo compito è ancora davanti a noi, in tutta la sua urgenza. Del sovranismo come “fatto”, invece, cosa è rimasto? C’è una tendenza sociologica generale che vede sempre più persone in ogni parte del pianeta insofferenti alla narrazione del New York Times, ai valori delle grandi multinazionali liberal e che unisce spezzoni della destra classica, parte dell’opinione pubblica cattolica, molti ex globalisti pentiti (o semplicemente riposizionati) e soprattutto una massa post ideologica che non sa dove sbattere la testa.

Il sovranismo non è (ancora) una risposta politica
Tutto questo esiste, ma una tendenza sociologica non è una risposta politica, non è un’offensiva culturale, non è la creazione di un’alternativa concreta. È nulla, di per sé. È un banale mal di pancia del sistema, curabile con un Alka-Seltzer fabbricato in cinque minuti. Quanto al sovranismo politico, esso ha semplicemente perso rovinosamente una guerra che non ha mai neanche cominciato a combattere.
Guardiamoci intorno: l’esperimento italiano è malamente naufragato, con la Lega che non solo ha compiuto un evidente passo falso, ma che comunque ha dovuto condurre una sfiancante lotta corpo a corpo con il deep state risultata quasi sempre perdente e spesso persino non percepita in tutta la sua importanza dai leghisti stessi. L’altro corno del governo uscente, il M5s, pur non prettamente sovranista in senso stretto ma comunque catalizzatore di molte istanze sovraniste, si definitivamente rivelato come un fenomeno stabilizzatore, garante dello status quo, quasi sempre allineato ai dettami globalisti. L’ipotesi che Trump potesse essere il condottiero mondiale di questa rivolta contro le élite si è poi dissolta come neve al sole molto prima del suo tweet in favore di “Giuseppi” Conte, ma con questo ha reso il fatto evidente a tutti.

I limiti della Le Pen, Visegrad e gli altri
A quanto pare, le vecchie categorie della politica saranno pure obsolete, ma  qualcuna resiste alla grande: per esempio quella di chi è padrone e di chi è servo a livello globale. Trump ha di differente solo la brutalità con cui esprime il dato di fatto. Per il resto, Marine Le Pen resta lì, con la sua bacheca piena solo di vittorie morali e destinata restare tale. Marion, alle sue spalle, scalpita, attraverso esperimenti e canali poco chiari e per ora assolutamente vaghi. Il gruppo di Visegrad ha mostrato di non essere un’alternativa di civiltà, ma solo un cartello di interessi locali. Viktor Orban fa buone cose, ma rifiuta cautamente di intestarsi la leadership continentale di una crociata sovranista che non esiste e, quando gli serve, si allinea tranquillamente al conformismo politico. Bolsonaro è ripugnante sotto qualsiasi aspetto possibile.

Sovranismo europeo
Sul piano delle idee e delle proposte politiche, il deserto. Si ha solo ben chiaro che il fenomeno migratorio incontrollato va fermato, ma non si sa bene come. Affrontare il problema in modo serio, del resto contemplerebbe almeno un abbozzo di Grande politica, che tuttavia sembra essere ossimorica rispetto al sovranismo realizzato, che è il trionfo del piccolo cabotaggio e della boutade mediatica. La Grande politica richiederebbe peraltro il fatto di porsi sul solo piano che realmente conta, che è quello dei grandi spazi, delle civiltà, dei continenti. Il sovranismo, lo dico chiaro e tondo a costo di spezzare molti cuori, o è sovranismo europeo o non è. Questo è vero anche per gli altri treni malamente persi dai partiti sovranisti: ad esempio quello della sfida sociale al globalismo, laddove invece si è saputo proporre solo iperliberismo o, al massimo, qualche iniezione di assistenzialismo un tanto al chilo.
Nella proposta nazionalrivoluzionaria novecentesca c’era un elemento progressivo, di integrazione delle masse nella Nazione per mezzo dell’opera dello Stato. Nella proposta sovranista si dà spazio alla rabbia delle periferie, badando bene a conservarla come tale. O pensiamo anche al tema ecologico, parassitato dall’orribile gretismo e dai fricchettoni vegan, ma che invece dovrebbe essere il cuore di ogni proposta sovranista, perché non c’è sovranità senza identità e non c’è identità senza un rapporto non con la natura, che non esiste, ma col paesaggio. Il sovranismo vuole farsi carico di questo o vuole essere la voce di chi porta i figli a scuola lasciando il Suv acceso in doppia fila?

E’ questo il vero sovranismo?
Tutto questo, ovviamente, nulla toglie alla necessità di quel compito di ricostruzione, controffensiva e sfida politica all’idra globalista che, anzi, si fa più pressante che mai. Ma, delle due, l’una: o il sovranismo non è ancora venuto e quello che abbiamo visto è solo una brutta copia transitoria, oppure il sovranismo è questo e allora forse è il caso di cominciare a cambiare termine (e, ovviamente, a cambiare paradigma). Può darsi che sia vera la prima opzione. Basta non finire come i comunisti, che sono invecchiati aspettando la “vera” forma del comunismo realizzato mentre tutti gli esperimenti storici conosciuti sotto questo nome fallivano l’uno dopo l’altro.