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Il suicidio di Ottolina, tra populismo, nichilismo e decadenza occidentale

di Gennaro Scala - 16/04/2025

Il suicidio di Ottolina, tra populismo, nichilismo e decadenza occidentale

Fonte: Gennaro Scala

Sabato 13 aprile si è svolto l’incontro a Bologna di Ottolina all’insegna dello slogan #tuttiacasa. Ritengo sia stato un episodio culturalmente e politicamente significativo nel contesto dell’opposizione in Italia, che intendo analizzare attraverso le coordinate fornite dalle tre categorie del populismo, nichilismo e decadenza occidentale, che procedo a definire molto sinteticamente.
Per quanto riguarda il populismo, Carlo Formenti ha il grande merito teorico di aver identificato il populismo, la “variante populista” come la forma in cui si è svolta “la lotta di classe nel  neoliberismo”. Il populismo è la lotta di classe nelle attuali condizione storiche che hanno visto una disfatta  di proporzioni storiche inaudite delle classi inferiori, che ha visto le sue organizzazioni politiche e sindacali svuotate e sussunte dalle classi dominanti, per cui il populismo è stata la ricerca da parte delle classi inferiori in tali condizioni di partiti o organizzazioni che potessero riparare il colpo portato dalla feroce e spietata “lotta di classe dall’alto” (Luciano Gallino), da ciò il voto da parte delle classi inferiori anche a partiti che erano estranei alle tradizioni del movimento operaio, ma che in qualche modo si sono presentati “populisticamente” come difensori del “popolo”, sfruttando demagogicamente l’esigenza di rappresentanza delle classi inferiori. In generale le classi popolari si sono giostrate per così dire, votando ora “a destra”, ora a “sinistra”,  tra le varie forze politiche cercando quelle che potessero attenuare la sconfitta.
Tale ricerca si basava sul presupposto implicito che ci fosse comunque dalla parte delle classi superiori il desiderio di una regolazione sociale, di arrivare comunque a un patto sociale che permettesse alle classi inferiori di svolgere la propria vita, messa seriamente in difficoltà da impoverimento, precarizzazione e tassazione sempre più esosa per artigianato e piccola e media impresa.
Formenti ha utilizzato la categoria gramsciana  dell’egemonia per definire il populismo come movimento delle classi popolari in una fase di progressiva perdita di capacità egemonica delle classi dominanti. Vorrei aggiungere qualcosa alla sua analisi: il suggestivo titolo del libro Oligarchi e plebei suggerisce un’analogia storica, che non è stata sviluppata e che ci porta alla categoria gramsciana di cesarismo, che ritengo utile, se non decisiva, per la comprensione del fenomeno storico del populismo. Poiché le classi inferiori non avevano più una propria rappresentanza politica, ci si aspettava un intervento dall’alto, magari utilizzando come braccio uno dei partiti populisti, da parte di chi ha il potere di farlo, soprattutto nell’ambito dello Stato. Come fece Cesare, dopo un secolo di lotte di classe dai Gracchi fino a Catilina, dovute alle forti sperequazioni sociali e allo strapotere dell’oligarchia senatoriale che avevano  provocato un disordine che avrebbe potuto disgregare la civiltà romana. Tale volontà “cesaristica” non c’è stata e ciò ha determinato la sconfitta del populismo. L’episodio più significativo del populismo è stato la lotta della società greca contro l’Unione Europea. Ricordiamo, Syriza promosse  un referendum consultivo che vide il parere negativo della popolazione greca, per oltre il 60%, sulle misure imposte dalla Commissione Europea. Tzipras e il governo greco, che non avevano un piano di uscita dall’euro, si basavano solamente sulla convinzione che le classi dominanti europee non sarebbero giunte fino a quel livello di attacco alle classi popolari, negando il risultato del referendum. Invece non ebbero nessun problema a mettersi contro la popolazione greca, e questo era un segno della loro irrazionalità e incapacità politica, venute pienamente alla luce con la guerra contro la Russia. Non c’è nessun Cesare, non c’è volontà da parte delle classi dominanti europee di regolare il sistema per evitare la disgregazione sociale. Ciò è la principale causa del fallimento del populismo. Il che, chiaramente, non vuol dire che siano cessate le cause da cui è nato, ma che si entra in una diversa fase storica, in cui le forme dei precedenti “populismi” dovranno cambiare.
Per quanto  riguarda la decadenza dell’Occidente, essa è stata certificata dal libro di Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, visto che non basta al ceto intellettuale osservare la vita quotidiana dei paesi occidentali con gli occhi liberi dalla propaganda in cui siamo immersi, per la quale sempre “va tutto bene”, per citare una canzone gli Zen Circus. Esaminare la decadenza occidentale in una prospettiva storica, partendo dalla “fotografia” che ne ha fatto Todd, sarebbe materia con cui riempire tomi su tomi, ma qui diamo per assodato il fatto base e passiamo direttamente all’altro concetto affrontato dal suddetto libro, il nichilismo, strettamente correlato alla decadenza occidentale. In merito, suggerisco vivamente la lettura del libro, imprescindibile per la comprensione intellettuale del mondo in cui viviamo, eventualmente per farsi un’idea si può iniziare dalla recensione che ho fatto nel febbraio dell’anno scorso. Riporto qui dei passi per la definizione del nichilismo: “Vi è una prima fase in cui la religione viene osservata ed è determinante nel formare la mentalità collettiva…La seconda è la fase “zombie” che vede venir meno l’influenza morale della religione, non si frequentano le chiese ma ancora se ne osserva il rito in occasione di nascite, matrimoni e morti. Il ruolo della formazione di una mentalità collettiva viene coperto in questa fase dalle ideologie politiche in generale… Vi è infine un grado zero della religione che corrisponde a quello attuale in cui la scomparsa dei valori è totale. Esso corrisponde all’azzeramento anche delle ideologie, scompare ogni forza capace di dare forma ad una moralità collettiva e compare il vuoto, che comporta anche l’incapacità di azione collettiva.” Sottolineo, questo passaggio, la scomparsa della religione, non sostituita da altre ideologie che possano incarnare una mentalità collettiva comporta l’incapacità di azione politica.
Dopo aver definito nel modo più sintetico possibile le categorie suddette, passiamo a Ottolina, nata come web TV dall’iniziativa di Giuliano Marrucci, ex giornalista di Report, il quale ha messo insieme, in un progetto culturale, gruppi e singoli principalmente provenienti dalla sinistra comunista, sia ex rifondazione, sia a sinistra di questa. Ottolina ha avuto l’indubbio merito di promuovere un rinnovamento culturale di queste aree, ancora numericamente consistenti, soprattutto tra quelli politicamente attivi, ma rimaste arenate nelle secche delle ultime fasi di un movimento comunista italiano, i cui sopravvissuti hanno oscillato tra il rinnegamento e l’identitarismo, promuovendo analisi e dibattiti che spesso hanno sfidato il politicamente corretto, cioè la malattia mortale di tale sinistra, promuovendo il confronto anche con studiosi non provenienti da tale area, sfidando gli anatemi della vecchia guardia contro il “rossobrunismo”. L’intento implicito, e sicuramente condivisibile, è di superare l’arroccamento identitario in difesa dei vecchi valori, sempre più sbiaditi e sconfessati dalla pratica, che porta al confinamento nel mondo senza futuro del reducismo e del nostalgismo.
Purtroppo, Ottolina ha abbandonato l’ambito della politica culturale, la quale è pur sempre una forma di politica, per entrare nella politica politicante, e con un viraggio inaspettato ha deciso di partecipare alla manifestazione indetta dal M5S di Conte. Ora, la manifestazione è stata indubbiamente un evento interessante e da tenere sotto osservazione, tuttavia gli elementari principi della prassi politica suggeriscono la cautela nei confronti delle forze che l’hanno promossa. Non dimentichiamo che Conte è colui che ha gestito la normalizzazione del M5S, attraverso la sua alleanza con il PD, da partito che invece doveva liberarci da tale cancro politico. Inoltre, è colui che ha gestito il sostegno del M5S al governo Draghi.  
La partecipazione è stata annunciata dadaisticamente durante un incontro romano di Ottolina, sabato 29 marzo, da un Marrucci con il costume di Scooby-Doo, sempre nelle vesti del cagnolone simpaticone ha partecipato alla manifestazione del 5 aprile, con lo striscione #tuttiacasa del gruppo di Ottolina. Ma erano alla manifestazione indetta da uno dei partiti che dovrebbe andare a casa. Anche questo è dadaismo.
In merito non sono riuscito a riscontrare un’elaborazione sui canali di Ottolina, non credo ci sia stata una discussione sulla partecipazione alla manifestazione, com’è tipico dei gruppi informali è stata probabilmente una decisione presa in “autonomia” dal “caro leader”. Posso sbagliarmi, ma credo che Ottolina voglia effettuare questo salto dall’attività di carattere culturale all’attività politica vera e propria in direzione di una collaborazione più o meno organica con il M5S.  Lo indica anche un intervento di Gabriele Germani, successivo alla manifestazione, condiviso pubblicamente sul suo profilo Facebook, tra i collaboratori di Ottolina quello con maggiore inclinazione teorica, che scrive: “Potere al Popolo è stato un fallimento: nato oltre tempo massimo (2017) quando la fase populista era in riflusso dalla sinistra radicale. Quindi litigiosa e già vecchia, immersa in dinamiche tossiche: non basta cambiare nome e conservare i contenuti se non hanno funzionato prima. In Spagna, la sinistra radicale è confluita (in autonomia) su Podemos, cosa che Potere al Popolo ha impedito. I puri devono impedire ai (pochi) elettori di uscire dal congelatore. Così si è lasciato andare il primo partito populista italiano in braccio al PD.” (fine citazione).
Dunque, l’idea sarebbe quella di una collaborare con il M5S per staccarlo dal Pd? Ma Conte ha già chiarito, nel giorno successivo alla manifestazione, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano  che il suo sguardo è rivolto a “quelli che non c’erano” (il Pd) e di essere favorevole al riarmo europeo. Una collaborazione, o un entrismo, con il M5S sarebbe un salto nel vuoto che porterebbe alla fine della finora interessante esperienza di Ottolina. La mia, allo stato dei fatti, è ovviamente una supposizione, spero di sbagliarmi, o nel caso contrario, mi auguro che Ottolina torni indietro a fare quello che stava facendo.
Questo per quanto riguarda le questioni politiche sostanziali, ma vi sono anche alcune questioni di carattere formale. Nella lotta politica si richiede un impegno spesso faticoso, che in determinate occasioni  può diventare rischioso, per cui è necessario un sufficiente grado di serietà. Tuttavia, per ricordarci i nostri limiti, il comico in politica può avere una sua funzione: per me andrebbe benissimo che durante un incontro in cui si parla di questioni estremamente serie vi sia anche il momento comico, invece il discorso cambia quando la comicità diventa la nota dominante di un incontro politico, come è stato a Bologna. La kermesse bolognese è stata organizzata come una sorta di parodia di uno spettacolo televisivo trash. Interventi che trattavano di questioni molto serie e drammatiche, come ad esempio il genocidio in Palestina o la guerra in Ucraina, sono terminati nei frizzi e lazzi dei due presentatori trash e di Marrucci-scooby-doo. Mi sono chiesto quale fosse il senso dello spettacolo messo in piedi, che avrà fatto rigirare vorticosamente nella tomba Guy Debord. La prima risposta più ovvia è che lo spettacolo attira il pubblico. La gente accorre per vedere lo spettacolo, e neanche si paga. E viene subito da chiedersi: come siamo messi se per affrontare un discorso politico la dobbiamo rendere comicamente divertente, altrimenti non vi troviamo interesse? Si può costruire un’opposizione su queste basi? Siamo davvero al grado zero della religione descritto da Todd. È evidente che non crediamo più nel valore in sè del discorso politico (uso la prima persona plurale perché credo che sia una questione che vada oltre Ottolina e il suo pubblico). Ma credo vi sia ancora qualcosa di più. La fine della distinzione tra il tragico e il comico fa sì che ciò che dovrebbe essere  comico non faccia più ridere, e ciò che dovrebbe essere tragico non faccia più meditare sulla nostra condizione umana. Tale indistinzione la ritengo un aspetto collaterale della fine della distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso, che ormai è dominante nei principali media, ed è un tipico aspetto dei regimi totalitari (Hannah Arendt docet). Quanto sta accadendo in Palestina e in Ucraina è tragico, e se non siamo in grado di percepire questa tragicità, o la dobbiamo esorcizzare accostandola al comico, vuol dire che abbiamo dei seri problemi culturali, sociali, psichici e quant’altro.
Per dirla tutta, credo che il “format” messo in scena sabato sia stato una manifestazione inconsapevole e spontanea di nichilismo. Affrontare il mostro del nichilismo, anche sul piano individuale, è un compito difficile e doloroso, ma se lo evitiamo, esso agisce internamente in modo inconsapevole, precludendoci la possibilità di ritrovare una relativa serenità e nuova consapevolezza anche nell’attuale mondo di rovine. Invece, lo “spettacolo” di sabato è stato una forma di esorcizzazione del nichilismo, cioè un modo per non affrontarlo.
Volendo, la modalità Ottolina è meglio di quelli che pensano si possa superare il nichilismo affermando a parole i vecchi valori, che invece non hanno più senso, cosa che confina nel nostalgismo e nel reducismo, ma bisogna realmente affrontare il mostro altrimenti il rischio è quello della regressione.
La via suicidaria intrapresa da Ottolina, non estranea a questo nichilismo di fondo, non è una novità: dagli anni ‘90 ad oggi, dall’inizio della “globalizzazione”, vi sono state tutta una serie di organizzazioni politiche che si sono “suicidate”. Da Rifondazione, al M5S, ai piccoli movimenti post-populisti (se mi si passa il termine) come la coalizione Italia Sovrana e Popolare, lanciatasi allo sbaraglio nelle elezioni politiche del 2022, senza una forza organizzativa sufficiente. Decisione che ha determinato la disgregazione di quel sacrosanto movimento sorto contro la gestione del Covid che con l’introduzione del green pass ha inferto una ferita ancora viva alla società italiana. Non sanata dalle scuse pubbliche per aver perseguitato dei cittadini per un vaccino la cui efficacia non era provata, e poi risultata non sufficiente a giustificare la costrizione alla vaccinazione, per giunta con metodi extra-legali.
Queste “esperienze” (non si è fatto altro che provarci in vari modi) non sono terminate a causa del tradimento o stupidità e incapacità dei dirigenti. Per poter rappresentare le classi inferiori attraverso gli strumenti democratici  è necessaria la volontà delle classi dirigenti di tenere conto delle loro esigenze ai fini della regolazione sociale. Invece, le classi dominanti post-’89 hanno pensato di poter considerare la popolazione un niente, quantité négligeable. Tutti i propositi di rappresentare politicamente le classi popolari, sia medie che inferiori, si sono infranti contro il muro della volontà di dominio di classi dominanti diventate prive di capacità egemonica.
È ora che si prenda atto di questa realtà. Questo non significa che non si possa o si debba fare politica, ma che la si dovrebbe fare in modo qualitativamente diverso, tenendo conto dell’epoca storica. Durante il Covid, Giorgio Agamben indicò la necessità di costruire una “società nella società”. Per me, ciò significa ricostruire quella dimensione comunitaria autonoma che nel passato consentiva  alle classi inferiori di esprimere delle proprie organizzazioni sociali e politiche. Bisogna ricostruire delle comunità anche a partire da contesti minimi ed elementari. Senza trascurare la necessità di disporre dei propri spazi, nel senso fisico, constatato che la dimensione virtuale di internet non può sostituirli (questione che meriterebbe una discussione a parte). Visto che  degli spazi fisici di proprietà del fu movimento operaio se ne è appropriato un ceto politico, volto alla pura autoconservazione, che rappresenta il peggior cancro della società italiana. Questo, che al momento può sembrare un proposito astratto, diventerà sempre più chiaro nella misura in cui proseguirà la disgregazione delle società occidentali, anzi diventerà una necessità quando poter contare su un gruppo solidale diventerà indispensabile per la sopravvivenza. Se non si realizzerà questa nuova “secessione della plebe”, proseguirà la secessione interiore, già in atto, che si manifesta nella poca voglia di impegnarsi nel lavoro, nel declino della ricerca scientifica, nel declino delle arti e del cinema, nel sempre più scarso desiderio di costruire  una famiglia, nel discredito dell’impegno politico che determina questa sorta di selezione al contrario che ha portato ai posti di comando i peggiori, in tutti i sensi, manifestazioni già evidenti della decadenza occidentale.