Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il veleno dell’etica della contorsione

Il veleno dell’etica della contorsione

di Alberto Bradanini - 28/08/2024

Il veleno dell’etica della contorsione

Fonte: La Fionda

1. Invereconde devono qualificarsi le contorsioni logiche, ancor prima che etiche, con cui i venditori di morte del Regno del Bene e della Democrazia (venduta alla plebe semicolta come Potere del Popolo) tentano di giustificare le atrocità di cui si macchiano la coscienza. L’onestà intellettuale è merce rara nel mondo distopico che ci circonda, mentre è chiaro come il sole che tutto ciò che ascoltiamo o leggiamo sul palcoscenico mainstream (ma proprio tutto!) impedisce ogni ipotetico avvicinamento del corso della verità a quello della realtà. Non è dunque tempo perduto tornare a riflettere su tutto ciò, tanto più che, secondo i saggi del passsato, repetita iuvant.

Solo una mente educata – affermava Aristotele – è in grado di comprendere un pensiero diverso dal suo senza la necessità di accettarlo. La Macchina occidentale della Menzogna è ormai un mostro dalle mille teste, costruisce notizie su misura come i sarti di un tempo, impedisce di dar senso agli eventi e sopprime ogni sussulto di quell’educazione critica che Aristotele suggeriva quale intreccio ideale di garbo, ascolto e crescita intellettuale.

Il potere generatore di spazzatura dell’impero malato infesta il nostro vivere come uno sciame di mosche in una latrina, servendosi di uno stuolo di maggiordomi – comodamente reperibili, purtroppo, sul palcoscenico politico/burocratico, mediatico e accademico – che in cambio di onori, carriere e denari, ha il compito di divertire le plebi inebetite da consumismo e mercificazione, o dall’angoscia di soccombere in una società spietata, mentre la spazzatura mediatica sfida persino la legge di gravità.

Se interporre una distanza siderale tra noi e tutto ciò non risolve il problema, ça va sans dire, consente però di tener in vita gli eterni ideali che danno senso all’esistenza, di infastidire insieme la coscienza dell’oppressore e la sonnolenza di qualche suddito, oltre che (e non è poco!) di non passare per imbecilli. A proposito di imbecillità, le tipologie sono molteplici, alcune individuali o per così dire spontanee, altre socialmente strutturate da un potere persuaso di nasconderne il profilo in labirinti impenetrabili, che tali però non sono.

Ora, pur esprimendo profonda esecrazione nei riguardi degli scrivani di giornali e dei pronunciatori televisivi di pensieri fabbricati e sconclusionati, nutriamo però nei loro riguardi un’umana comprensione, essendo essi in maggioranza precari, una condizione che invece non vivono le altre categorie di camerieri, pur essendo tutti altamente nocivi e antisociali. Il tallone del potere sarebbe comunque meno pesante se non potesse contare sui servigi di costoro, i quali – fatte salve le immancabili, ininfluenti eccezioni – devono considerarsi appartenenti a una stirpe espunta di ogni umana empatia, priva di morale personale ed etica collettiva.

D’altro canto, poiché lungo e penoso resta il processo di acquisizione della consapevolezza, le presenti riflessioni devono accogliersi con indulgenza da parte di chi dispone di poco tempo per vincere la quotidiana battaglia contro la menzogna, disponendo di strumenti insufficienti o dovendo riservare al lavoro le proprie energie.

2. Per svelare qualche interrogativo di uno scenario intricato, occorre chiarezza, terreno arduo, beninteso. Tuttavia, l’aggregazione delle componenti del prisma che abbiamo di fronte aiuta a riconoscere i nemici principali del nostro vivere civile: essi sono, sul piano economico un insaziabile neoliberismo, globalista e bellicista, su quello dei valori la mercificazione della società, sul piano politico il sistema democratico tutt’altro che democratico, su quello filosofico il nichilismo narcisista, sul piano sociale il dominio di una plutocrazia priva di limiti e su quello geopolitico l’impero più militarizzato che la storia abbia registrato, gli Stati Uniti d’America, un paese che minaccia la sopravvivenza del genere umano. Malauguratamente, i pochi che nella nostra società si battono contro tali patologie sono divisi, talora prede di impulsi solipsistici o dissociazioni insensate. Un errore fatale.

Quando si riflette su disgrazie e turbolenze della scena internazionale è pratica diffusa occultare il nome di chi le ha generate, gli Stati Uniti, e non per disattenzione o scarsa memoria, ma per corruzione, morale o materiale. Va detto e ripetuto che con Stati Uniti non intendiamo il popolo americano, quei 335 milioni di abitanti anch’essi spremuti e sottomessi, ma quello 0,1% che come una piovra proietta ovunque la sua ombra vorace. Le 800 basi militari in 145 paesi al mondo sono notoriamente incaricate di aiutare le anziane signore ad attraversare la strada o, en passant, proteggere la sicurezza americana a 10 mila chilometri di distanza: un abisso di falsità che la metà basta a ubriacare la mente. Solo un’incomprensibile cecità da parte della società e della classe una volta dirigente dell’Europa, da tempo umiliata e devitalizzata dalla propaganda dominante, impedisce di prendere atto di tale metastasi.

La buonanima di H. Kissinger – uno dei maggiori organizzatori di colpi di stato che la storia ricordi – affermava con tono canzonatorio che “essere nemico degli Stati Uniti è pericoloso, ma esserne amici è fatale”. Passato egli a miglior vita, e soprattutto alla luce dei profondi cambiamenti in corso sulla scena planetaria, l’ora sembrerebbe giunta per sfidare tale indecente canzonatura, prendendo distanza dall’impero e verificando l’attendibilità della minaccia occulta del caro estinto. W. Churchill, non K. Marx, affermava che non sono i nemici che dobbiamo temere. Essi sono davanti a noi e li guardiamo in faccia, ma i falsi amici, di solito alle nostre spalle e con un pugnale in mano.

Davanti al pericolo di essere annientati in conflitti pianificati da un impero in decomposizione, un paese suddito ed esposto alla rappresaglia come l’Italia (accantoniamo gli altri europei) godrebbe di una preziosa occasione per recuperare qualche spazio di autonomia, stracciare i patti segreti impostici nel 1943/45 (un secolo fa!), cacciare le truppe imperiali dal nostro territorio, che vestano insegne Nato o statunitensi fa poca differenza (nessuno ci minaccia!), aggiornare la nozione di atlantismo/europeismo, divenuti dogmi religiosi sui quali ogni riflessione è giudicata un crimine e interrompere il declino del Paese, che così tornerebbe gradualmente ad essere la Regina di quel Mare che un tempo chiamavamo Nostrum. A questo punto, il lettore è cortesemente invitato a trattenere il riso o lo scherno. Sognare, tuttavia, resta uno dei privilegi della scrittura.

3. Tornando al punto, deve ritenersi colpa grave assistere senza far nulla alla demolizione delle nostre culture da parte di un impero onnivoro, per di più eticamente e politicamente analfabeta. I pochi amerindi sopravvissuti ai massacri conoscono bene l’esito salvifico delle pratiche assimilatorie di quella grande democrazia – che per indolenza chiamiamo America (ci perdonino i nobili abitanti di quel grande Continente!). A fronte di un processo demolitorio valoriale, sociologico, antropologico e finanche linguistico che minaccia tutti i paesi del globo, in primis i vassalli europei, facili prede ormai di una spirale autodistruttiva, sarebbe un dovere storico erigere idonee barricate, se ve ne fosse la coscienza, aggiungerebbe qualcuno, ed avrebbe ragione.

La propensione americanista alla fagocitazione politico-militare ed economico-culturale (di cui l’uso e l’abuso della lingua inglese è una goffa evidenza) costituisce una patologia che potrà essere curata solo con una palingenesi della società statunitense di cui però non si scorge l’ombra, oppure con l’emergere sulla scena internazionale di un bilanciamento politico-economico e militare che tenga a freno le feroci oligarchie americaniste, sperando che nel frattempo non si scateni l’inferno.

Costituisce, in proposito, una scandalosa empietà che gli stermini vendicativi – quelli lontani nel tempo, di Hiroshima e Nagasaki, e poi Tokyo, Dresda, Amburgo, Monaco e via bombardando, e quelli recenti in Vietnam, Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Serbia etc. – che nell’insieme hanno causato 25/30 milioni di vittime – tramite conflitti, rivolte guidate, omicidi mirati, massacri etici, devastazioni, colpi di stato tentati e/o riusciti[1] etc. – non siano percepiti nella loro compiutezza.

Dare il giusto nome agli eventi, come suggeriva Confucio già 25 secoli orsono, è una necessità che consente agli uomini di evitare l’equivoco e poter comunicare con miglior precisione, semplificando talora, ma con il vantaggio di un chiaro posizionamento. La finta dialettica quadriennale che seleziona l’inquilino a tempo della Casa Bianca mira invero a divertire una plebe televisivamente frastornata, come se l’esito di tale frastuono elettorale potesse fare differenza, mentre il reale obiettivo è la tutela/ampliamento dei privilegi di chi siede in cima alla piramide.

Una potente propaganda negazionista impedisce di rievocare le efferatezze commesse nel tempo dai vari governi americani, affinché – non sia mai! – dopo aver chiesto perdono alla storia, ne facciano tesoro per l’avvenire, perpetuando la difesa della potestà auto-attribuitasi di rilasciare certificati universali di rispetto o meno dei diritti umani, nella versione americanista beninteso, vale a dire forma (libertà civili), ma non sostanza (libertà dai bisogni).

4. Tali riflessioni puntano a catturare la ragione per la quale le società del Regno del Bene hanno creato una mistica interpretativa di due guerre la cui escalation scatenerebbe l’apocalisse, guerre nutrite dal complesso militare/industriale Usa.

In Palestina, lo scenario è chiaro persino alle pietre dell’antica Giudea, ma il lavaggio cerebrale impedisce ai sudditi delle democrazie occidentali di dare nome a quanto avviene. Dopo aver gettato uno sguardo distratto sulla martoriata terra di Gaza i maggiordomi mediatici si strappano le vesti sul lessico da usare: quel che fa Israele non può essere qualificato genocidio, come se chiamarlo massacri, omicidi di massa, bombardamenti indiscriminati o altro facesse per i palestinesi qualche differenza. Che vergogna! Israele si colloca ormai fuori dalla civiltà contemporanea, giuridica e di valori, e come tale andrebbe trattato. Uno stato terrorista, che giustifica persino lo stupro di prigionieri palestinesi – che il 46% degli israeliani reputa legittimo, mentre il 67 % pensa che il governo stia facendo troppo poco contro i palestinesi, come se non bastassero le bombe su scuole e ospedali (quei pochi rimasti), e su esseri umani, donne e bimbini, inermi e incolpevoli – meriterebbe l’ostracismo da parte della comunità delle nazioni. Fa meraviglia che ciò non sia ancora avvenuto.

E qualche serio interrogativo valoriale dovrebbe porsi in una popolazione addormentata se: a) il ministro della Guerra, Yoan Gallant, afferma che i palestinesi sono animali[2]); b) il Congresso degli Usa riserva 58 standing ovations (appalusi a scena aperta) al capo di un governo terrorista, Benjamin Netanyahu, che ad attenderlo avrebbe dovuto trovare l’FBI e non un invito a parlare al Congresso, a riprova della forza delle lobby pro-Israele; c) se il megafono mediatico chiama uno stato apartheid la sola democrazia del Medio Oriente; d) se i costanti bombardamenti israeliani a Gaza, in Libano e in Siria (due stati sovrani) vengono chiamati operazioni militari preventive; e) se si accetta come normale che le bombe sioniste abbiamo ucciso 40.000 persone, un numero quaranta volte quello delle vittime di Hamas del 7 ottobre scorso, molte delle quali poi uccise dal fuoco amico (cui devono aggiungersi almeno 100.000 feriti, privi di una gamba, un braccio o un occhio): che poi il loro numero sarebbe invero ben maggiore secondo Lancet[3], che parla di 186.000  vittime, sepolte sotto le macerie o ignorate nel conteggio[4]; e) se le informazioni su palestinesi violentati, torturati, denudati, lasciati senza acqua e cibo meritano solo un flash mediatico; f) se s’ignora che tutti questi crimini commessi da Israele finirebbero d’incanto se gli Stati Uniti – la cui strategia è guidata dall’Aipac[5], che controlla la politica statunitense tramite soldi e carriere – cessassero di trasferire armi e risorse allo Stato ebraico. E molti altri “se” si potrebbero aggiungere!

La funzione sterminatrice di esseri umani incolpevoli che l’ideologia sionista si è auto-attribuita è parallela al patologico convincimento di appartenere al popolo eletto, quello scelto da dio, secondo le cosiddette sacre scritture, al quale sarebbe stato affidato un compito misterioso ma di massima importanza, rispetto ai popoli non-eletti. In realtà, nessuna mente normodotata è mai riuscita a comprendere la ragione per la quale quel dio avrebbe scelto proprio e solo il popolo ebraico, il quale del resto, alla luce delle sofferenze patite nei secoli, avrebbe difficoltà a definire quella scelta divina un privilegio di cui andar fieri. In fin dei conti, sia detto en passant, essere stati discriminati è stato per noi gentili un vero colpo di fortuna.

A questo punto, poiché il rischio di accuse gratuite è sempre in agguato, è bene precisare che le riflessioni che precedono nulla hanno a che vedere con l’antisemitismo, un termine che andrebbe sostituito – poiché anche gli arabi sono semiti, secondo le citate sacre scritture – con antigiudaismo o antiebraismo, a seconda che la l’accusa di discriminazione riguardi la religione o la razza. È invero scolpita nei nostri cuori l’indicibile sofferenza patita nei secoli dal popolo ebraico, in particolare nel XX secolo per mano dei nazisti tedeschi. Ciò che avviene in Palestina ha invero a che fare solo con le politiche sioniste dello stato di Israele, vale a dire un’ideologia efferata, che è lecito e doveroso combattere.

 5. Quanto alla guerra in Ucraina, anche i più ignari (ma non la macchina della cosiddetta Verità!) hanno forse compreso che il conflitto non è certo iniziato il 22 febbraio 2024, ma pianificato fin dal lontano 1991-92, al momento dell’implosione del comunismo sovietico, dai circoli imperialistici neoconservatori, noti al mondo con l’acronimo semplificato di neocon. Costoro appartengono a una potente cerchia di sociopatici – trasversale ai due partiti che si differenziano solo nel nome – che esercita un ferreo dominio tramite la finanza (Wall Street e City di Londra, tra loro intrecciate), il controllo sull’informazione (tranne la rete, per ora sfuggita di mano), lo stato permanente/profondo, beneficiario di un bilancio annuale di oltre 1000 miliardi di dollari (quello che la neo-lingua­­ orwelliana chiama Difesa, in realtà della Guerra, che genera il 60 % del Pil americano). Solo l’avvento di un evento imprevedibile, il cosiddetto cigno nero, potrebbe cambiare la scena.

In Ucraina, la Nato punta all’estensione della guerra, con il sangue, la distruzione di infrastrutture altrui e sul residuo benessere degli europei, che definire sprovveduti è un complimento, tutto ciò con il folle proposito di destrutturare una nazione che dispone di 6.000 testate nucleari, una follia! I benefici imperiali, invero – anche qui, repetita iuvant -, sono i seguenti: rifioritura della Nato (una pericolosa organizzazione incaricata di risolvere problemi che non sarebbero tali se essa non esistesse!), schiavizzazione economica e militare dell’Europa, vendita di armamenti made in Usa a beneficio di insaziabili superricchi, difesa del potere del dollaro (che auspichiamo in agonia) tramite sanzioni, minacce e conflitti perenni. Tutto ciò accompagnato dal racconto infantile di difendere la libertà: a questo punto, le nostre viscere cominciano a avvitarsi tra loro.

Secondo alcune analisi di politologi americani (J. Sachs, C. Hedges, H. Schlanger e altri) gli Stati Uniti potrebbero esser giunti al capolinea della loro storia imperiale, alle prese con drammatici problemi interni (infrastrutture in disfacimento, 100.000 vittime per droga ogni anno, il 25% dei detenuti del mondo, un sistema sanitario da terzo mondo, insicurezza diffusa e crescente, flussi immigratori incontrollabili, comunità ed etnie divise e discriminate, etc.) ed esterni (il gruppo Brics+ e la Sco stanno costruendo una concreta alternativa, finanziaria ed economica all’Occidente,

6. In attesa della formale apertura del prossimo teatro di crisi, in Estremo Oriente contro la Cina (che ha il torto di crescere senza il permesso dai padroni del mondo) – una crisi che coinciderà con il reingresso alla Casa Bianca del suo ex-inquilino, lo stesso che aveva nominato direttore della Cia M. Pompeo (“we lied, we cheated, we stole[6]), che aveva spostato l’Ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme (che per la Comunità Internazionale non è la capitale dello stato ebraico), riconosciuto la sovranità israeliana sulle Alture del Golan (che invece appartengono alla Siria) e la legittimità degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che aveva promosso la stessa economia di guerre senza fine (endless wars[7]) dei suoi predecessori (Rep o Dem poco importa) – l’Occidente è costretto a immergersi nell’ipocrita competizione elettorale americana, dove gli oppositori non sono i Dem contro i Rep, o viceversa, ma i cittadini che credono ancora nel vivere civile e nella moderazione da una parte e quei due partiti insieme dall’altra.

Per concludere, alla luce di quanto illustrato, occorrerebbe riformulare gli scenari del containment ai quali per settant’anni o giù di lì la propaganda occidentale aveva dato una risposta univoca, accogliendo il dotto suggerimento del suo primo e massimo teorico, George Kennan, che indicava i modi per tenere sotto vigilanza il cosiddetto impero del male, l’Unione Sovietica. Oggi, le nazioni del mondo sono chiamate a definire una difficile, accorta e certo pericolosa strategia di containment non contro la Russia (erede dell’Unione Sovietica), la Cina o i paesi Brics, Sco e altri raggruppamenti, ma contro gli Stati Unti d’America. Si tratterebbe di un programma che vedrebbe aggregate le nazioni genuinamente interessate alla pace, alla sovranità, alla libertà e al futuro dei loro figli, attraverso la promozione dei valori umani essenziali, che implicano innanzitutto la possibilità di convivere nell’armonia della diversità, una nozione di straordinaria valenza, che i leader del mondo emergente comprendono e promuovono, diversamente da quelli del Regno del Bene.


[1] Il loro numero, semi-occultato dalle oligarchie mercenarie politico/mediatiche dell’Occidente vassallizzato dagli Usa, è reperibile con un pigro colpo di mouse, ad es. L. A. O’Rourke, Covert Regime Change: America’s Secret Cold War, Cornell University Press, 2018

[2] https://www.politico.eu/article/ron-prosor-israel-evoy-hamas-animals-must-be-destroyed/

[3] https://www.aljazeera.com/news/2024/7/8/gaza-toll-could-exceed-186000-lancet-study-says

[4] https://www.oxfam.org/en/press-releases/daily-death-rate-gaza-higher-any-other-major-21st-century-conflict-oxfam

[5] American Israeli pubblic affairs committee

[6] “Abbiamo mentito, abbiamo truffato, abbiamo rubato” https://www.dailymotion.com/video/x7e2tr9

[7] come rilevato persino dall’ex presidente J. Carter, in 250 anni di esistenza gli Usa sono vissuti in uno stato di pace per soli 16 anni: https://ifpnews.com/us-enjoyed-16-years-of-peace-in-its-242-year-history-carter/