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Il virus mortale dell'austerity

di Luigi Tedeschi - 09/03/2020

Il virus mortale dell'austerity

Fonte: Italicum

E’ arrivato il COVID 19, altrimenti detto coronavirus che ha determinato nella società uno stato di emergenza che non è solo sanitaria, ma anche emotiva, economica e politica.

Sembra risvegliarsi nelle masse l’eco di paure ancestrali provenienti da secoli lontani, quelli, per intenderci, della peste manzoniana, che la modernità pareva ormai aver esorcizzato e consegnato alla polvere del tempo. Questa epidemia è caratterizzata dalla rapidità della diffusione del contagio, anche se le percentuali di mortalità sono assai basse. L’ipotesi che possa trasformarsi in pandemia appare, per fortuna, assai remota.

Ma la diffusione del coronavirus produrrà conseguenze comunque nefaste per l’economia globale. Secondo le stime di Moody’s la crescita mondiale nel 2020 si ridurrà dello 0,4%. Previsioni più allarmanti provengono dal FMI, che prevede un decremento della crescita al 2,5%, che comporterà una recessione per larga parte delle economie del mondo. La crisi inoltre potrebbe coinvolgere anche gli Stati Uniti, la cui crescita potrebbe attestarsi sull’1,3% ed in tal caso, gli effetti recessivi sull’economia mondiale potrebbero amplificarsi. Nel caso in cui l’epidemia degenerasse in pandemia, la recessione dell’economia mondiale potrebbe aggirarsi tra il 20 – 40%.

La crisi strutturale dell’economia globale

Ma l’epidemia del COVID 19 ha solo accentuato gli effetti di una crisi che già incombeva su di una economia globale, in cui era già evidente il rallentamento della crescita, l’incremento inarrestabile del debito, il clima di incertezza permanente che domina un sistema finanziario che sconta ancora gli effetti della crisi del 2008. In realtà, sembra essersi ormai esaurita la ripresa succedutasi alla crisi del 2008 (che ha interessato l’Europa solo marginalmente). Attualmente l’economia mondiale attraversa una fase di limitata crescita, ma quella europea è in sostanziale stagnazione. La limitata crescita è stata comunque sostenuta da misure straordinarie, quali il ribasso dei tassi, che nella UE sono ormai sotto lo zero e ripetute immissioni di liquidità. Il sistema economico globale quindi sussiste e può crescere solo in quanto sostenuto da misure di finanza straordinaria, divenute ormai permanenti.

La politica protezionista trumpiana e la guerra commerciale che ne è scaturita tra USA e Cina, hanno favorito la decrescita di una economia globale basata sull’export, che ha danneggiato in massima parte l’Europa. Occorre però aggiungere che la crisi si è accentuata in Europa anche in virtù della geopolitica filoatlantica perseguita dalla UE negli ultimi decenni. L’Europa, identificatasi con la geopolitica aggressiva della Nato, sconta oggi le conseguenze delle sanzioni imposte alla Russia e all’Iran, oltre che quelle subite a seguito dei dazi sull’import americani. Gli stati europei avrebbero infatti potuto diversificare i mercati di riferimento per le loro esportazioni, onde sopperire al calo dell’export verso gli USA. L’Europa, con la sua subalternità geopolitica agli USA, già prima dell’epidemia del COVID 19 aveva decretato il proprio suicidio.

Vulnerabilità e precarietà del mondo globalizzato

Gli effetti devastanti sull’economia prodotti dall’epidemia COVID 19 hanno reso evidente una crisi strutturale del modello economico e politico neoliberista scaturito dalla globalizzazione.

Infatti, così come il virus epidemico, anche le crisi economico – finanziarie, politiche, sociali, oltre che le guerre e la catastrofe ambientale assumono dimensioni globali.

L’estensione del libero mercato a livello globale ha determinato la libera circolazione degli individui e dei capitali, l’abbattimento dei confini degli stati e delle barriere commerciali, la delocalizzazione della produzione, la concorrenza selvaggia a livello mondiale. Tale nuovo ordine mondiale, che ha imposto la limitazione progressiva della sovranità degli stati a vantaggio degli organismi sovranazionali, ha generato l’estensione delle catene di valore a livello globale nella produzione, con la delocalizzazione industriale, cui ha fatto riscontro un processo di deindustrializzazione progressivo che ha investito l’intero Occidente.

L’economia globalizzata ha determinato dunque l’interdipendenza dell’economia mondiale. Ma l’epidemia del COVID 19 ha rivelato tutta la vulnerabilità e precarietà sistemica della globalizzazione.

Epidemie, guerre, catastrofi naturali, possono determinare in ogni tempo e in ogni luogo improvvise ed imprevedibili crisi economiche, politiche e finanziarie, con ricadute a livello globale.

Occorre inoltre rilevare che gli stati, già economicamente destrutturati nello loro capacità produttiva, mediante privatizzazioni selvagge e delocalizzazioni industriali e depauperati delle loro risorse materiali ed umane, oggi devono far fronte alla crisi di un sistema economico globalizzato di cui hanno sopportato solo i costi politici e sociali. Gli stati devono dunque sostenere la crisi delle imprese leader della filiera produttiva che, data la struttura globale assunta dalla divisione internazionale del lavoro, producono redditi e profitti nei paesi destinatari della delocalizzazione industriale, devolvendo invece ai paesi di origine l’onere di affrontare i problemi derivanti dalla disoccupazione, dalla povertà e dalle insanabili diseguaglianze sociali da esse stesse provocati. Questa epidemia rende oggi manifeste le conseguenze socio economiche devastanti congenite al processo di globalizzazione realizzatosi nel XXI° secolo: la dipendenza economica e la subalternità politica degli stati nei confronti delle oligarchie economico – finanziarie dominanti nel neoliberismo globale.

Una radicale riforma keynesiana del sistema?

Certo è che l’epidemia del COVID 19, che ha come epicentro la Cina, offre una inaspettata occasione agli USA per contrastare il primato economico cinese nella guerra commerciale intrapresa da Trump contro la Cina stessa. Ma comunque occorre osservare che l’ascesa vorticosa dalla Cina a prima potenza industriale, così come lo sviluppo dell’India e dei paesi dell’Asia Orientale sono fenomeni che hanno potuto realizzarsi con l’avvento della globalizzazione, un modello economico neoliberista cioè, che ha le sue radici nell’Occidente anglosassone. La concorrenza globale ha condotto alla delocalizzazione produttiva e alla liberalizzazione del commercio mondiale: è stato dunque l’Occidente stesso a porre in essere le condizioni necessarie per l’ascesa della Cina al rango di potenza mondiale.

La stessa guerra commerciale tra USA e Cina è un fenomeno interno al sistema liberista globalizzato creato dall’Occidente americano.

Indipendentemente dal COVID 19, che ne ha solo accelerato gli effetti, una crisi sistemica già incombeva sull’Occidente. Agli albori del XXI° secolo si è esteso a livello mondiale un sistema economico liberista basato sull’esportazione. Pertanto, per favorire la competitività delle imprese esportatrici, è stata messa in atto una politica economica incentrata sulla stabilità dei prezzi, il contenimento dei salari e la riduzione della spesa pubblica. Tali politiche hanno comportato necessariamente la depressione dei consumi interni. La attuale crisi di crescita del sistema neoliberista ha infatti la sua causa prima nella carenza di domanda interna, cui fa riscontro il calo degli investimenti ed un tasso di inflazione eccessivamente basso, nonostante le politiche espansive delle banche centrali.

Ma la novità introdotta dal dilagare dell’epidemia del COVID 19 risiede nel fatto che i rischi di recessione globale sono oggi legati ad una crisi, che, oltre alla domanda, coinvolge ora anche l’offerta. Con la produzione cinese e coreana ferme da gennaio, le catene di fornitura dell’industria si sono bloccate. All’emergenza sanitaria si aggiunge anche la paralisi produttiva.

Occorre pertanto implementare una politica di espansione della spesa pubblica per rivitalizzare l’economia e incentivare un rilevante incremento della domanda interna, onde sopperire al calo dell’export evidenziatosi in modo particolare nei confronti della Cina. Per quanto concerne la crisi della UE, afferma Marcello Minenna su “Il Sole 24Ore del 01/03/2020”: “All’Europa fiaccata dalla Brexit, tensioni commerciali e ora anche dal coronavirus, serve invece un budget centrale di almeno 3 – 4 per cento del Pil e, in prospettiva molto di più. Negli Stati Uniti la spesa pubblica dell’amministrazione federale gira da anni intorno al 20% del Pil, 4mila miliardi di dollari in termini monetari”.

Tuttavia la UE nell’affrontare la crisi si presenta divisa e dilaniata dal suo perenne immobilismo. Basti pensare alla conflittualità tra gli stati manifestatasi in occasione del recente Consiglio d’Europa per il varo del bilancio comune europeo 2021/2027, conclusosi senza alcun accordo. Questa crisi potrebbe rappresentare l’occasione propizia per una radicale revisione di una politica europea rivelatasi fallimentare. Occorrerebbe infatti abbandonare la politica di rigore finanziario in favore di politiche keynesiane che, attraverso il volano della spesa pubblica possano riattivare quel circuito virtuoso che, mediante gli investimenti pubblici, rivitalizzi la domanda interna. Sarebbero necessarie radicali riforme a sostegno dell’occupazione e della solidarietà sociale. Nulla però sembra scalfire il muro della rigidità finanziaria eretto dal fronte dei paesi del Nord Europa con epicentro nella Germania.

Il fallimento delle politiche monetarie delle banche centrali

In questo contesto di crisi sistemica, le strategie di espansione della liquidità già messe in atto dalle banche centrali rivelano tutta la loro impotenza. La Fed ha ridotto i tassi all’1,25%, la BCE con il QE ha già i tassi al di sotto dello zero. I margini di manovra in questa situazione sono nulli. Quindi, non saranno certo le misure di espansione della liquidità a sopperire al calo della produzione.

Occorre inoltre osservare che il ribasso dei tassi fino allo zero, ha determinato un vorticoso incremento del debito delle imprese e delle famiglie. Con l’incombere della crisi e un verticale crollo dei fatturati, potrebbe verificarsi una crisi del debito a livello mondiale. Secondo le previsioni del FMI, la massa di debiti che le imprese non sarebbero in grado di coprire ammonterebbe a 19.000 miliardi. Sempre secondo il FMI, il 40% del debito delle prime 8 economie del mondo potrebbe essere classificato “in sofferenza”!

Ma già prima della attuale crisi del COVID 19, il QE di Draghi aveva esaurito in Europa i suoi effetti. I tassi a zero avevano infatti alla lunga indotto i grandi investitori a contrarre prestiti in euro per poi effettuare investimenti in altre aree valutarie ritenute più remunerative. Vari economisti affermavano tempo fa che questo protrarsi a tempo indefinito delle misure di finanza straordinaria avrebbe condotto l’economia in territori sconosciuti. Le conseguenze negative di tale politica monetaria sono però oggi ormai note. Secondo quanto afferma Giulio Tremonti in una intervista su “Libero del 29/02/2020”: “Il problema sono i tassi a zero. Nel 2012 l’azzeramento del costo del denaro è stato un pronto intervento utile per frenare la crisi, ma oggi sono diventati una lunga degenza e la cura, fatta in questo modo, è diventata peggiore del male che doveva curare. L’asse del potere europeo negli ultimi anni si è spostato dai governi nazionali e dalla commissione Ue verso la Banca Centrale Europea e questa a sua volta ha firmato una cambiale suicida a favore del mercato finanziario internazionale, dominato a sua volta in automatico da robot e algoritmi. In questo modo l’ Unione va verso un rischio fatale. Con i tassi zero i fondi pensione le assicurazioni tedesche e delle altre nazioni non potranno più finanziare lo Stato sociale. E per contro, ahimè, non è stato trovato ancora l’ algoritmo che permette di riportare i tassi a norma senza generare una devastante crisi finanziaria”.

L’Italia, il COVID 19 e il virus dell’austerity

L’Italia risulta particolarmente colpita da questa crisi di produzione e consumo, dato che l’epidemia si è propagata soprattutto nelle regioni del nord che da sole rappresentano il 50% del Pil. E’ prevista per il 2020 una crescita negativa intorno a – 0,5%. Il turismo registra un calo del 40%. Secondo il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia l’Italia dovrebbe chiedere a Bruxelles un piano da 3.000 miliardi “per un grande piano infrastrutturale transeuropeo”. Questa emergenza economica e sociale richiede un rilancio degli investimenti pubblici, misure per incentivare la domanda interna, favorire l’accesso al credito per le imprese e le famiglie. E’ altresì nota l’inefficienza della burocrazia italiana: occorrerebbe infatti sbloccare i cantieri per investimenti in opere pubbliche per l’ammontare di 83 miliardi di euro.

Ma la carenza di domanda ed il deficit di investimenti pubblici, sono i fattori determinanti della crisi endemica in cui versa un’economia italiana che da decenni ha smesso di crescere. Con l’epidemia del COVID 19 sono tornate alla luce le cause strutturali di una crisi che investe l’Italia da Maastricht in poi. L’imposizione da parte della UE del rispetto dei parametri finanziari riguardo al rapporto Pil / deficit e Pil / debito, oltre che delle normative relative al fiscal compact e al pareggio di bilancio, hanno ridotto progressivamente, se non annullato, i margini di spesa per investimenti. Dato l’alto debito pubblico (134% del Pil), le normative europee hanno imposto all’Italia di realizzare in sede di bilancio avanzi primari che hanno comportato radicali tagli allo stato sociale e quindi un prelievo forzoso di risorse da destinare al contenimento del debito. Pertanto, la sottrazione ripetuta di risorse ai fabbisogni primari della collettività ha generato l’impoverimento generalizzato della società italiana. Oltre che dal COVID 19, l’Italia è affetta dal virus letale dell’austerity. Per affrontare questa situazione di emergenza il governo fa affidamento sulla UE, al fine di ottenere la flessibilità necessaria per effettuare spese in deficit. La UE ha autorizzato una spesa una tantum, “esclusa per definizione dal calcolo strutturale” pari a 6,35 miliardi per fronteggiare l’epidemia. Tale spesa è del tutto insufficiente e l’Italia dovrà fare ricorso ad ulteriori fondi extra per far fronte alla crisi. Ma i margini fiscali italiani sono assai limitati, soprattutto in considerazione del calo del Pil previsto per il 2020. Il muro delle regole europee si rivela ancora una volta invalicabile.
L’Italia appare condannata alla decadenza in virtù dei vincoli europei e dal dominio dell’asse franco – tedesco. L’emergenza sanitaria rende oggi evidenti le conseguenze dei sanguinosi tagli effettuati sulla sanità pubblica imposti dall’austerity. Così si esprime al riguardo Giulio Sapelli in una intervista su “formiche.net del 23/02/2020″: “Sì. Io dico che dobbiamo dare retta ai tecnici ma senza creare il terrore, affermando che l’economia si blocca. Panico e terrore loro sì che possono bloccare tutto. Io credo che la gente che lavora continuerà a lavorare e gli imprenditori a fare gli imprenditori. E le dirò di più, la Tv dovrebbe parlarne di meno di questa emergenza e semmai parlare di più dei tagli alla sanità…”…”Tra poco ci accorgeremo che non ci sono più medici. E allora chiediamoci se l’emergenza e il panico che stanno scatenando è anche colpa di tagli scellerati alla ricerca e al personale. Facile andare nel pallone se poi si taglia a destra e sinistra. Parliamo di questo, non dell’Italia che va a picco per un virus. Questo è un Paese che non medita, un Paese rancoroso. Un Paese isterico”!.

Chi staccherà la spina?

Diversi sono gli scenari futuribili che si prospettano riguardo agli sviluppi che potranno emergere da questa crisi epidemica. Sopravvivrà la UE alla crisi? Il fallimento del dogmatismo finanziario europeo emerge ormai in tutta la sua drammaticità.

L’insorgere di questa epidemia ha comunque messo in luce le cause profonde della crisi sistemica in cui si dibatte da decenni il sistema neoliberista globale. Stiamo infatti assistendo al progressivo esaurimento di una fase storica dominata dal capitalismo assoluto.

L’economia neoliberista sussiste solo in virtù di strumenti di finanza straordinaria ormai divenuti permanenti e la potenza americana è in una fase di irreversibile declino. Il neoliberismo può essere assimilato ad un uomo afflitto da un male irreversibile e tenuto in vita solo artificialmente. Ma chi staccherà la spina e decreterà la fine di un neocapitalismo ormai da tempo moribondo?