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Trump ha perso ma il populismo che incarna è più vivo che mai

di Marco Tarchi - 08/11/2020

Trump ha perso ma il populismo che incarna è più vivo che mai

Fonte: Domani

La vittoria di Joe Biden restituirà il sonno ai molti suoi appassiona­ti sostenitori di questa sponda dell'Atlantico, che da martedì not­te temevano di essere ripiombati in un incubo. E se anche difficil­mente li convincerà, in cuor loro, che il voto postale all'americana sia mi appetibile prodotto di im­portazione (non si fa fatica a pen­sare quante raccolte di schede da imbucare nelle cassette delle let­tere potrebbero essere organizza­te da certi "volenterosi" in un buon numero di comuni italia­ni), perlomeno concederà loro un momento di entusiasmo e di spe­ranza.
Passata l'ebbrezza dello scampa­to pericolo, converrebbe però an­che ai più acerrimi spregiatori di Donald Trump e dei suoi seguaci porsi qualche domanda, scomo­da ma utile per comprendere gli scenari futuri della politica, euro­pea e non solo. Chiedendosi, per esempio, non solo come mai i 19 punti di distacco fra i contenden­ti previsti dai sondaggi fino a po­chi giorni addietro si siano ridot­to di tre quarti, ma anche che esi­ti avrebbe avuto l'elezione se fra i piedi del presidente-tycoon non fosse capitato il covid-l9, trasfor­matosi in alleato decisivo dello sfidante. Oppure perché alcuni degli stati in cui i democratici avrebbero dovuto godere del so­stegno delle minoranze latinos abbiano smentito le attese. E, so­prattutto, quale sia il motivo per cui, dopo quattro molto discussi anni di mandato vissuto tra ten­tativi di impeachment accuse di ogni genere, gaffe, contraddizio­ni, sbalzi di umore, esternazioni biliose censurate da Facebook e Twitter e dichiarazioni di voto ostili di vari big del suo stesso par­tito, Trump sia riuscito a convin­cere a preferirlo all'avversario al­meno sette milioni di elettori in più di quelli attratti nel 2016. Se a ciascuno di questi quesiti si è capaci di rispondere seguendo criterio della ragione e non quel­lo della fazione — insomma, evi­tando di dar retta alla 'panda" e non al cervello, come si dice che facciano sempre "quelli dell'altra parte" —, è difficile non rendersi conto che, al di là della sconfitta sul piano dei numeri di The Donald, l'elezione presidenziale 2020 ha dato un secondo impor­tante responso: il populismo è più vivo che mai Lo è nonostante che, come certifica una recente ri­cerca politologica internaziona­le approdata anche sulle pagine dei quotidiani italiani, la pande­miaabbia nuociuto fortemente a Trump, che con il suo spericolato flirt con il negazionismo e le sciocchezze su inesistenti rimedi miracolosi all'infezione si è bru­ciato il capitale di consensi accu­mulato sul terreno delle politi-die economiche E lo è perché, negli usa come altrove, le classi diri­genti mainstream, sia progressi­ste che conservatrici, hanno di­mostrato di non aver imparato la lezione dei successi che sovrani­sti, illiberali" e populisti di varie sfumature hanno accumulato nello scorso decennio.

Il distacco delle élite
Puntando tutto sulle tematiche del politically correct — amplia­mento della sfera dei diritti civili, promozione delle cause delle più varie minoranze, elogio del multiculturalismo e dell'accoglienza, minimizzazione delle preoccupa­zioni legate all'insicurezza e alla
criminalità — e contando sulle casse di risonanza del ceto intel­lettuale e degli operatori dei mass media, hanno continuato a tessere le lodi della globalizzazione e a lasciar crescere l'ondata di delocalizzazioni produttive.
Hanno celebrato retoricamente l'intangibilità di istituzioni e co­stituzioni, sbarrando la strada a ogni correttivo che sapesse di de­mocrazia diretta. Hanno derubri­cato a passeggeri accessi febbrili le manifestazioni di sfiducia ver­so il loro operato che si esprime­vano, a ogni tornata elettorale, con gli exploit di candidati arti establishment o con massicce percentuali di astensione.
Questa sordità ha convinto un numero crescente di cittadini che il distacco tra "quelli che stan­no in alto" e la gente comune non è solo un'invenzione retorica, che i politici di professione sono sempre autoreferenziali e inaffi­dabili
la figura dell’outsider ne ha trat­to ulteriore forza. Interpretando­la con foga nell'ultima settimana di campagna, Trump ha colmato gran parte del divario accumula­to.
I suoi emuli europei potrebbero imitarlo, sfuggendo alla trappola dell'istituzionalizzazione e sfrut­tando la rabbia sociale attivata dalla crisi pandemica. Il tramonto del populismo, a quanto pare, è ancora lontano.