Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il vuoto della ragione genera spettri

Il vuoto della ragione genera spettri

di Franco Cardini - 04/07/2022

Il vuoto della ragione genera spettri

Fonte: Franco Cardini

“No: non mi degno di pugnar teco” (Mozart, Don Giovanni, Atto primo)
Dal tempo dei philosophes in poi la massima “Il sonno della Ragione genera mostri” è diventato il motto di tutti i razionalisti: lo amava molto anche Goya, ossessionato dalla tarda inquisizione spagnola. Ma oggi, in tempo di Dilettanti Inquisitori allo Sbaraglio che imperversano impuniti sui media e a quanto pare perfino in parlamento, bravissimi nel condannare e nell’additare al pubblico ludibrio senza però curarsi di argomentare la ragione dei loro autos de fe e che quindi – a dirla ancora secondo il linguaggio inquisitoriale – sono abituati a promuovere la combustione, ma molto meno a sostenere la confutazione che dovrebbe precederla, bisogna avere il coraggio di obiettare, parafrasando la celebre apocope, che “Il vuoto della Ragione genera spettri”. E se c’è uno spettro che si aggira per l’Europa, a somiglianza di quello che oltre un secolo e mezzo fa veniva denunziato da Marx e da Engels, esso è il “putinismo”: parola terribile ma contenuto labile, evanescente. Come un sudario svolazzante in sogno, appunto. D’altronde, appunto per queste caratteristiche, buono per tutte le stagioni.
Bene. Sono uno stregone putinista, un eretico russofilo, un necromante antidemocratico ed eurasiatista. Mi hanno perfino denunziato in parlamento. E sai la novità. Era già successo nell’81, quando insieme con una banda di ragazzacci che stampavano pagando di tasca loro “La Voce della Fogna”, giornaletto ciclostilato, fui additato da un gruppo di sussiegosi seguaci di Norberto Bobbio come un pericolo per la democrazia; e poi nel 2001-2003, allorché con un gruppo di scellerati guidati da Giulietto Chiesa affermai anch’io che sull’11 settembre non ce la contavano giusta e che l’aggressione all’Iraq (già: l’aggressione a uno stato sovrano, la coda della quale oggi tutti si riempiono la bocca) era una gran porcata e un maledetto imbroglio. E i parlamenti di quaranta o di venti anni fa, con tutto che non erano un granché, erano certo più decorosi dell’attuale.
Sarei quindi un “putinista”, quindi un “filorusso”, cioè in prospettiva un “traditore della patria” dal momento che lorsignori hanno deciso che siamo in guerra per quanto non osino ammetterlo, da quei pacifisti-guerrafondai che sono. Hanno scomodato i parlamentari per presentare un dossier nel quale non c’è un filo di prova, non c’è una briciola di ragionamento. Solo un collage di delazioni, d’illazioni, d’insinuazioni. Dovrei dire roba da inquisitori, roba da nazisti. Ma non lo dico. Ho troppa stima degli inquisitori e perfino dei nazisti per affermare una cosa del genere. Quest’ultimo atto di disinformazione, di teppismo politico e mediatico, di violazione del sacrosanto principio del rispetto tra membri di una stessa società civile, è un atto di vigliaccheria e infamia che non merita nemmeno commenti. Come dice fra Cristoforo a don Rodrigo: “Hai passato la misura; e non ti temo più”.
Putinista, io? Andatevi a rileggere quel che scrivevo del boia Putin al tempo della Cecenia e del massacro di Grozny. Non è colpa mia se quel gelido sanguinario poliziotto con gli anni è riuscito a diventare un prudente ed equilibrato statista, un gigante se paragonato ai nani e alla ballerine che oggi popolano poltrone, poltroncine e sgabelli a Washington, all’ONU, alla NATO, a Strasburgo, a Bruxelles oltre che naturalmente anche a Roma. Lo hanno spinto nella “trappola di Tucidide”, lo hanno fatto scivolare: ma da trent’anni provocavano il suo paese dopo averlo illuso e ingannato, e già nel febbraio 2014 avevano compiuto in Ucraina il passo decisivo con il colpo di mano travestito da rivoluzione democratica che aveva rovesciato il legittimo presidente ucraino Viktor Janukovyč sostituendogli Petro Oleksijovyč Porošenko incaricato di spostare il suo paese dal rapporto amichevole con la Russia – che per quest’ultima era una questione di stabilità e di sicurezza – all’ingresso nell’Unione Europea e quindi ai prodromi dell’alleanza con la NATO. La guerra era cominciata da allora ed era stata seguita da atti atroci, come il massacro di Odessa nel palazzo dei sindacati attribuito ad agenti russi e poi risultato frutto di una combine fra i nazionalisti ucraini e un pugno di terroristi georgiani specializzati in provocazioni e massacri. Se Putin ha davvero commesso uno sbaglio, è quello di aver aspettato otto anni prima di rispondere. Dal momento che l’azione in Crimea, evidentemente necessaria per tutelare russi e filorussi dalle violenze nazionaliste, si era resa necessaria e inevitabile ma con ogni evidenza non sufficiente. Così è, se Vi pare, Domini Inquisitores. Perché non ne avete fatto parola nel vostro tanto rigoroso quanto laconico Atto d’Accusa? Pessima Taciturnitas, avrebbero commentato i vostri predecessori di qualche secolo fa, ben più attenti ed accorti.
Da alcune settimane dico e scrivo, diciamo e scriviamo queste cose: e le diremmo anche in TV, se solo ci lasciassero il tempo di parlare le rare volte in cui hanno la longanimità di “invitarci”. Diciamo e scriviamo non già che Putin ha ragione, ma che lui e il suo paese hanno delle ragioni e che bisogna ascoltarli, tenerne conto; che se ha sbagliato il fatto è che ce lo hanno tirato per i capelli; e che chi lo ha spinto a tanto è ben riconoscibile e denunziabile, e noi nel libro Ucraina 2022 (edizioni La Vela, uscito già un mese fa, inviato gratis a decine di quotidiani ed emittenti televisive: solo “Avvenire” e “il manifesto” hanno risposto accusando ricezione) lo abbiamo denunziato. Ucraina 2022 è misteriosamente introvabile nelle librerie: eppure alcuni dei suoi coautori vengono ufficialmente accusati di “putinismo”, senza tuttavia che si citi quello che scrivono. A giusto titolo, peraltro: quegli scritti potrebbero influenzare qualcuno. Non si sa mai.
Ma torniamo a quanto mi riguarda. Russofilo, io? Certo che sì: mi piacciono la storia russa, la cultura russa, la musica russa, lo spirito profondo del popolo russo del quale hanno parlato Propp e Afanasiev e Florenskij. Sono istituzionalmente un cittadino italiano, ho inappuntabilmente lavorato quasi mezzo secolo (dal 1966 al 2012) nel pubblico impiego, faccio sostegno al volontariato, ho la fedina pulita e pago le tasse fino all’ultimo centesimo (vorrei sapere quanti fanno altrettanto); ma spiritualmente sono cittadino del mondo, amo la Russia come amo la Francia, la Spagna, la Germania, l’Inghilterra, l’Irlanda, la Scozia, la Cina, il mondo arabo, l’Iran, il Giappone e perfino (tanto!) l’America, dove ho lavorato e perfino lasciato un pezzo del mio cuore. Se adesso ho preso le posizioni che hanno spinto il parlamento a occuparsi del mio nome da mettere in lista (ma non di me, né di quello che penso), tanto meglio: o tanto peggio.
Perché insomma, diciamolo, questa è una “prova d’orchestra” annunziatrice di un conato d’instaurazione di regime. I mezzi, se li usano tecnicamente bene, ce li hanno; l’opinione pubblica è in parte già appecorata, quindi il momento è propizio. Ci provino. On line è già comparso un imbecille che ha invocato contro i “putinisti” revoca di stipendio e confino di polizia: sono tutti così i paladini della Libertà che starnazzano contro il despota Putin? Quanto a me, qualche amico parlamentare (ho anch’io la mia “Quinta Colonna”) mi suggerisce denunzie, querele e ricorsi. Non ci penso nemmeno: non ho né tempo né soldi da buttare. Facciano e dicano Lorsignori quello che vogliono: dal canto mio, respingo le provocazioni. Io incrocio la mia spada solo con i miei pari: come avrebbe detto don Juan Tenorio, el Burlador de Sevilla.