Immunità di legge
di Il Pedante - 18/06/2019
Fonte: Il Pedante
Martedì 18 giugno esce in libreria la seconda edizione di Immunità di legge – I vaccini obbligatori tra scienza al governo e governo della scienza. Il libro è ripubblicato da Arianna Editrice (Gruppo Macro) in una versione aggiornata e ampliata per tenere il passo con gli sviluppi dell’obbligo di vaccinazione in Italia, che, «col vero motivo che lo ha determinato (non certo il morbillo), è la madre di tutte le nefandezze etiche e politiche. Più tempo passa peggio è, perché gli animi si esasperano e nella gente comune e pensante cresce la sfiducia.» (Paolo Bellavite).
La prefazione alla nuova edizione porta la firma di Ivan Cavicchi, che in questi mesi ci ha affiancato, consigliato e spronato a perseverare nella denuncia di una norma di salute pubblica non soltanto tragicamente sproporzionata e foriera di una sfiducia sempre crescente verso i prodotti e i professionisti della medicina, ma anche terreno di coltura di un modello intollerante, autocratico e conflittuale di intendere il governo dei cittadini e della conoscenza.
Dedichiamo questo lavoro a chi ci ha sostenuto con la lettura, i consigli e le testimonianze, e ai pochi ma insostituibili interlocutori politici che hanno compreso l’urgenza di arginare questa duplice aggressione alla scienza e alla democrazia.
Segue la premessa alla nuova edizione.
Nel consegnare il manoscritto della prima edizione di questo libro eravamo entrambi timorosi – o per dire meglio, speranzosi – che sarebbe diventato presto obsoleto e che i lettori lo avrebbero conservato sugli scaffali a testimonianza di una brutta avventura politica. Era la fine dell’estate del 2018. Qualche mese prima, il partito di governo che si era intitolato il decreto Lorenzin usciva sconfitto dalle elezioni e lasciava la guida del Paese ai due attuali partiti di maggioranza, gli stessi che avevano osteggiato il decreto. L’allora deputata Giulia Grillo, oggi ministro della Salute, lo aveva definito «inutile oltre che medievale» . I suoi compagni di partito avevano difeso la libertà di scegliere se aderire a un trattamento sanitario con argomenti appassionati e precisi. Il segretario della Lega Matteo Salvini, anche dopo la formazione del governo, anche dal palco di Pontida, si era impegnato a far sì che nessun bambino fosse escluso dai servizi educativi. La sua critica non riguardava «i vaccini» ma i modi e i moventi del decreto.
Fu perciò una doccia freddissima quando, a ridosso dell’inizio del nuovo anno scolastico, l’emendamento Arrigoni-Taverna al decreto «Milleproroghe» che avrebbe sospeso il requisito decavaccinale per la frequenza degli asili, fu ritirato senza dare spiegazioni. E in Parlamento andò in scena una tanto inutile quanto penosa disputa non già sull’obbligo, ma sulla possibilità… di autocertificare il suo assolvimento.
Da lì in poi fu tutta una discesa kafkiana. Mentre qualcuno mandava squadre di carabinieri a setacciare migliaia di asili per verificare la conformità dei certificati, con uno sforzo economico e militare degno dei reati più efferati, in un silenzio stampa quasi sinistro prendeva avvio l’iter di discussione di una nuova legge, il ddl n. 770, nel cui testo base si legge che sarà possibile estendere le sospensioni anche alle scuole dell’obbligo e superiori e che il legislatore – cioè l’assemblea democratica – non avrà più la facoltà di individuare gli obiettivi di vaccinazione, ma dovrà attenersi al dettato di organismi tecnici non eletti. Fu redatto un «Piano nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita 2019-2023», ad oggi in bozza, in cui si propone di subordinare l’accesso ad alcuni concorsi pubblici all’avvenuta somministrazione della trivalente, estendendo così la condizionalità dei diritti dalla scuola al lavoro. Intervenendo sul tema delle vaccinazioni pediatriche, il consulente ministeriale che ha redatto il Piano suggeriva anche una «profonda revisione critica dalla potestà genitoriale alla responsabilità genitoriale» per «rivisitare la pratica dell’obiezione vaccinale (che i genitori esercitano in qualità di legali rappresentanti)».
Nell’ambiguità della politica divampava il conflitto sociale. I contagiati dal morbillo diventavano «untori» sulle prime pagine dei giornali. I rapporti tra famiglie, scuole e pediatri si deterioravano, sfociavano in certi casi in diffide, denunce e ricorsi all’autorità giudiziaria, aprendo ferite profonde nella coesione sociale. Cittadini e funzionari zelanti denunciavano i luoghi in cui i bambini esclusi dagli asili osavano raccogliersi per coltivare un barlume di vita sociale. L’intolleranza e la sicumera dei «giusti» spegnevano le voci critiche, specialmente nel mondo medico, le marchiavano e le gettavano in pasto alla riprovazione del pubblico. Il dibattito sui social network si polarizzava in fazioni con insulti, minacce, auspici di malattia e di morte. Anche una parte dell’establishment scientifico, quella che avrebbe avuto gli strumenti per raffreddare lo scontro, abbassava la discussione politica al rango del tifo da stadio, di «evidenze» contro «fake news».
La novità più interessante di questi mesi, tuttavia, è stato il disvelarsi della dimensione transnazionale del problema e l’identità, in certi casi stupefacente, delle strategie narrative e degli slogan che lo corredano, da una parte all’altra del globo. Introdotta proprio in Italia perché, secondo qualche pensoso commentatore, saremmo i più «irresponsabili» di tutti, la legge che subordina il godimento di alcuni diritti sociali alle vaccinazioni è stata replicata con poche varianti prima nella Francia di Macron e poi nell’Argentina di Macrì. Mentre scriviamo, si discute di introdurre obblighi simili anche in Israele, Inghilterra, Spagna, Svizzera, Irlanda e Germania. Con la politica «No Jab, No Pay [niente puntura, niente soldi]», l’Australia aveva aperto la strada negando i sussidi famigliari alle famiglie indigenti o numerose i cui figli non fossero vaccinati secondo la schedula nazionale, e anticipato il clima di intimidazione dei dissidenti, come ha denunciato il prof. Brian Martin nel libro Vaccination Panic in Australia (Irene Publishing, 2018).
Il tema sta a cuore anche ai soggetti non governativi. A un convegno in Senato tra rappresentanti del governo italiano e vertici dell’azienda GSK partecipava anche il think tank Chatam House nella persona del prof. Salisbury, già presidente del comitato di esperti OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) durante la vicenda della «pandemia» H1N1 ricostruita in questo libro. Più recentemente, l’Alto Commissario aggiunto ONU per i diritti umani, Kate Gilmore, ha dichiarato che «non esiste il diritto di rifiutare le vaccinazioni».
Questa dimensione allargata del problema, in cui le nuove politiche di obbligo vaccinale sembrano collocarsi in pieno in un’agenda di respiro globale, può spiegare i silenzi imbarazzati e imbarazzanti della politica nostrana, il suo poco credibile «benaltrismo» e le inversioni a U di alcuni suoi esponenti. In quanto a noi, rappresenta un ulteriore stimolo all’approfondimento e alla denuncia. Se le strategie di comunicazione e di intervento convergono in tutto il mondo, se la retorica di una scienza che può e deve sostituirsi alla politica, di una medicina protocollare e replicabile in massa e di un autoritarismo in nome di una «emergenza perpetua» valgono per tutti, diventa ancora più urgente comprendere la paternità e i moventi di questa medicalizzazione progressiva, massificata e coatta.