In morte di Mario Tronti: ovvero le virtù del concetto di autonomia e i vizi dell'operaismo (che quel concetto ha generato)
di Riccardo Paccosi - 08/08/2023
Fonte: Riccardo Paccosi
Ho studiato vari testi di Mario Tronti, tra cui il noto "Operai e Capitale" del 1966, ma conosco poco il percorso teorico dei decenni successivi ai '70. Quindi, mi limiterò qui a scrivere di quello che ho letto ed esperito personalmente in rapporto al tema generale dell'operaismo, ben sapendo di non poter essere esaustivo sullo specifico dell'opera trontiana neanche volendo.
I principi basilari e metodologici della teoria operaista - di cui Tronti è stato l'esponente più importante insieme a Raniero Panzieri e Toni Negri - sono e resteranno necessari ai fini della comprensione storica del presente.
L'evoluzione nel tempo di suddetta teoria, invece, è largamente responsabile dello stallo in cui si trova l'insieme del pensiero critico da oltre due decenni, nonché della disastrosa débacle interpretativa di tutto il marxismo dinanzi all'avvento dello stato d'emergenza permanente inaugurato dall'emergenza pandemica.
Il concetto basilare - e assolutamente necessario in questa specifica fase storica - della teoria trontiana, è quello di autonomia, ch'egli poi declinerà e svilupperà più specificamente nel concetto di "autonomia del politico".
Che cos'è l'autonomia?
In buona sostanza, l'autonomia è un'istanza che nasce da una contraddizione: la classe operaia non solo è immersa nel ciclo di riproduzione economica del sistema ma è, anzi, garante del suo stesso sviluppo, tant'è che i processi d'innovazione capitalista sono non di rado generati, nella visione di Tronti, proprio dal conflitto di classe tra padroni e operai.
All'interno di questa contraddizione, sorge la soggettività, che non è semplice presa di coscienza ma anche e soprattutto comprensione della propria dimensione storica da cui discende la capacità di percepire un destino differente - autonomo, appunto - rispetto a quello imposto dalla macchina riproduttiva dell'economia.
Dunque, perché questo concetto di autonomia risulta decisivo anche oggi?
Perché, nell'attuale capitalismo digitale e globale, a essere immersi nel ciclo di riproduzione economica non sono soltanto i corpi, ma anche la dimensione epistemologica e cognitiva dell'essere umano. L'intero spettro percettivo degli uomini, cioè, risulta avviluppato entro una Umwelt digitale da cui si può uscire solo contestandone l'ineluttabilità. In altre parole: al di fuori della preliminare consapevolezza dello stare vivendo all'interno di Matrix e del rivendicare un destino collettivo differente, oggi non può esserci politica. Ma assumere quella consapevolezza e rivendicare quel destino, è un problema non di generica libertà, bensì e innanzitutto di conquista dell'autonomia.
Dicevamo del contestare l'ineluttabilità: purtroppo l'operaismo, nato per superare le rigidità dogmatiche del marxismo-leninismo , col tempo ha finito per entrare con tutte le scarpe in quell'idea deterministica del tempo storico che ha funestato 200 anni di storia della lotta di classe.
In buona sostanza, partendo dalla succitata idea che l'innovazione capitalista sia generata dalle lotte, i teorici post-operaisti odierni hanno finito per accogliere tutte le istanze strategiche di lungo termine espresse dalle èlite economiche - globalizzazione, eurofederalismo, deregulation delle merci e dei flussi migratori, trasformazione transumanista - in quanto fenomeni in qualche modo generati in parte "dal basso".
In realtà, dare per ineluttabile un contesto strategico definito dagli interessi di chi sta in alto, è la più puntuale ed esiziale negazione del principio di saper immaginare un proprio destino, ovvero è la negazione assoluta del concetto di autonomia.
Da questo, sono discesi approssimazioni analitiche ed errori spaventosi di cui, a onor del vero, nella galassia post-operaista risulta maggiormente responsabile Toni Negri: l'affermare che il world wide web - ambito di privatizzazione della nuda vita - sia espressione di "comunismo"; il confondere la lotta di classe con le istanze del consumo di massa; il non capire la differenza ormai integrale tra classi sfruttate e base elettorale della sinistra politica; e via così, una cazzata dietro l'altra.
Tronti, negli anni duemila, non soltanto accoglie l'ineluttabilità del contesto come gli altri post-operaisti, ma fa anche qualcosa di più, ovvero aderisce pedissequamente a determinate istanze strategiche della sinistra neoliberale: compie questo salto nel baratro firmando a favore della riforma costituzionale Renzi-Boschi ed elogiando Mario Draghi come "miglior politico di quest'epoca".
Peccato, perché per altri aspetti le elaborazioni più recenti di Tronti avevano anche espresso uno smarcamento dal determinismo progressista, assumendo la presenza del tragico nella storia. La sua riflessione degli ultimi anni, infatti, partiva dalla totale sconfitta del movimento operaio assumendo quindi un punto di vista difforme da quello del marxismo ottusamente ancorato alle magnifiche sorti e progressive.
Evidentemente, però, a furia di ricercare l'autonomia del politico, Tronti ha ecceduto un po' finendo per autonomizzare l'analisi della politica da quella non meno importante della composizione di classe.