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In questo Paese la sinistra non riesce proprio ad abbracciare quello che dovrebbe essere il suo oggetto sociale: il Popolo

di Franco Nerozzi - 12/02/2018

In questo Paese la sinistra non riesce proprio ad abbracciare quello che dovrebbe essere il suo oggetto sociale: il Popolo

Fonte: Franco Nerozzi

In questo Paese affollato di finte staffette partigiane la sinistra non riesce proprio ad abbracciare con un po’ di sincero affetto quello che dovrebbe essere il suo oggetto sociale: il Popolo.

Il partito delle banche guidato da Renzi si interessa giustamente soltanto alle istanze dei suoi padroni: incoraggia l’ingresso in Italia di quello che un tempo i comunisti seri avrebbero chiamato “l’esercito industriale di riserva”, la forza armata che sodomizza al ritmo dei bonghi la classe lavoratrice italiana. 
Il partito dei centri sociali, guidato da una toga rossa e da una signora con la paranoia del ritorno del Fuhrer, soffia sul fuoco sognando di rivedere giovane sangue scorrere sulle strade d’Italia. (Tanto poi ci penserebbe qualche compiacente collega della toga ad assolvere gli assassini e a punire le vittime).
Il partito degli Zombie (Potere al Popolo), si immola nella epica battaglia per assicurare pesce fresco e partite di Champions League ai ragazzotti africani fuggiti da inesistenti guerre ed evita accuratamente il confronto con chi in mezzo al Popolo ci sta tutti i giorni.
Il Dottor Meraviglia, l’ex studente non proprio pacifista delle università milanesi, divenuto un Santone adorato da Vauro e da Lella Costa, si commuove di fronte alle povere vittime di guerra nel terzo mondo ma sfila con dei mentecatti che sputano sui morti italiani delle foibe. 
Ed è proprio questa ultima personalità a racchiudere in sé la vera essenza di tutto questo fritto misto che cuoce nell’olio rancido della cultura di sinistra.
Caro Gino Strada, siamo stati, per un brevissimo periodo, amici. Oppure no, ma questo poco importa. Anche perché a dire la verità, di quella “forse amicizia” oggi mi vergogno profondamente. 
Penso tutt’ora che tu sia stato un uomo coraggioso (ti ho visto e ammirato sotto i bombardamenti di Kabul e tra le colline zeppe di mine del Kurdistan iracheno). Ma qui finisce il mio riconoscimento: come uno sbirro da regime reazionario ottocentesco invochi la chiusura dei movimenti politici che non piacciono alla simpatica combriccola di nani del pensiero e di ballerine che urinano per strada. Io, fascista, mai mi sognerei di chiedere la censura per le idee dei miei avversari. Soprattutto se fossi circondato da adulatori che strizzano l’occhio a chi pratica quotidianamente la violenza nei confronti di chi non la pensa come loro. Incoraggerei il confronto, parola che fa tremare i polsi a quei quattro borghesi che si fumano i cannoni nelle stanze dei centri sociali. Ragazzotti che imitano le poco eroiche gesta delle decine di milioni di nonnetti che diventarono partigiani a guerra conclusa, infangando il ricordo di quei pochi che magari un po’ di Resistenza l’avevano fatta veramente. Tu, che volevi insegnare la tolleranza agli integralisti di Kabul, sfili a Macerata con i Talebani della falce e martello. Questa cosa potrebbe far ridere, oppure scatenare la rabbia. Invece, vecchio mio, mi fai tenerezza, prigioniero senza gioia dei tuoi spietati amici.
La sinistra si allontana sempre più dalla realtà, come un galeone fantasma si perde in un oceano di nebbie. Allo scempio perpetrato nei confronti di una ragazzina, allo smembramento del giovane corpo di una sfortunata figlia d’ Italia risponde con la magistrale interpretazione sanremese di un monologo che puzza di rogna, un testo degli anni ’70 che parla di Nicaragua e che quindi mette la fregola a Fiorella Mannoia e a tutti quei sinceri democratici che in quegli anni sognavano la vittoria dei “companeros”. La tv commuove: forse qualche sempliciotto avrà confuso tutto, Favino, le sue lasagne più ruvide e più buone, il Nicaragua con i suoi odiosi dittatori foraggiati da Washington, i migranti, il lavoro che manca, il ragù e la violenza dei cattivi contro gli oppressi. Boom! “Il colpo è fatto”, penserà magari il newyorkese Saviano. E le Boldrini forse si sfregheranno le mani e penseranno alle onorificenze da conferire al mattatore dell’Ariston. 
Ma la realtà è lontana dai sogni deliranti di una élite di professionisti della menzogna, così abile da riuscire ad ingannare persino sé stessa. 
Svegliatevi compagni! La società non è fatta di capricciosi cantanti, di arroganti comici e di egocentrici attori. Il mio vicino di casa non è Moni Ovadia, ma un operaio con un figlio disabile a carico. Il mio meccanico non è Emanuele Fiano, ma un uomo stanco che spera di andare un giorno in pensione. Il mio fruttivendolo non è Gene Gnocchi, ma un vecchio che corre al mercato alle quattro del mattino sperando di non essere aggredito da balordi di importazione. E il mio Africano, quello a cui ogni tanto compro un sandwich e una bibita e con cui scambio due chiacchiere all’angolo della strada, ieri mi ha fermato per parlarmi di Pamela Mastropietro. Il poveraccio mi ha chiesto scusa “per quello che quei negri le hanno fatto”. Stranamente, incomprensibilmente, sfacciatamente, il fellone non ha parlato di Nicaragua, ne’ mi ha chiesto la tessera dell’ANPI. Chiedo per il suo bene che sia deportato al più presto in un campo di rieducazione gestito da Liberi e Uguali.