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In Romania la democrazia è morta

di Thomas Fazi - 23/03/2025

In Romania la democrazia è morta

Fonte: Krisis

L'alleanza di estrema destra rumena AUR è favorita nei sondaggi in vista delle presidenziali di maggio. Un exploit che si è verificato dopo le manovre dei palazzi di Bucarest, che hanno estromesso dalla corsa elettorale il candidato filo Trump Călin Georgescu. Il 9 marzo, la Commissione elettorale rumena ha escluso Georgescu, sovranista e critico dell’Unione Europea, dalle imminenti elezioni. Un fatto senza precedenti, che segue un evento altrettanto straordinario: l’annullamento, lo scorso novembre, a opera della Corte costituzionale rumena, del primo turno delle stesse elezioni presidenziali, in cui Georgescu era risultato il vincitore. Krisis ha chiesto all’analista Thomas Fazi, acuto osservatore delle dinamiche all’interno dell’Unione Europea, di commentare la débâcle rumena. Secondo Fazi, il caso rumeno segna un pericoloso precedente che potrebbe ripetersi in altri Paesi. E in altri schieramenti politici.

«Il rigetto della candidatura di Călin Georgescu in Romania è un precedente che sarebbe inquietante anche se non avesse visto la partecipazione attiva della UE e di alcuni dei principali governi europei». Non usa mezzi termini, Thomas Fazi. Il saggista italo-inglese, figlio dell’editore Elido Fazi, 42 anni, acuto osservatore delle dinamiche politiche e della sovranità nazionale all’interno dell’UE, commenta quanto sta accadendo in Romania. Il 9 marzo, la Commissione elettorale di Bucarest ha estromesso dalle nuove elezioni presidenziali del 4 maggio Călin Georgescu, il candidato critico dell’Unione europea favorito nei sondaggi. Questo era avvenuto dopo che, lo scorso novembre, la Corte costituzionale rumena aveva annullato il primo turno delle presidenziali in cui Georgescu era risultato vincitore. Una doppia estromissione che ha fatto infuriare Georgescu: «Oggi i padroni hanno deciso: niente uguaglianza, niente libertà, niente fraternità per i rumeni» ha commentato sul social media X l’11 marzo, quando la Corte costituzionale ha respinto il suo ricorso. In realtà la vicenda è considerata sconcertante non solo da Georgescu. Lo stesso ex direttore del Corriere della sera Paolo Mieli ha oggi espresso forti perplessità («In Romania elezioni annullate solo perché rischiava di vincere il ‘nemico’» aveva dichiarato al Fatto quotidiano già il 12 dicembre). Nell’intervista a Krisis, Thomas Fazi rincara la dose.

Lei ha scritto che in Romania la democrazia è morta. Perché? 

«Perché in Romania è accaduto un fatto estremamente grave, forse la più grave violazione dei principi democratici che si sia vista in Europa da diversi decenni a questa parte. Da tempo le élite dominanti cercano di influenzare i processi democratici, i processi elettorali, con numerosi strumenti: dalla propaganda all’utilizzo di varie forme anche di intimidazione, ricorrendo spesso ad attacchi a mezzo stampa e alla censura di voci ritenute scomode. Quello che è avvenuto in Romania si inserisce quindi in una tendenza di crisi della democrazia che ormai va avanti da un lungo periodo. Però in questo caso c’è stata un’escalation». 

In che senso?

«Ricostruiamo gli eventi. Al primo turno delle elezioni presidenziali rumene dello scorso novembre si è verificata l’inaspettata vittoria di un candidato pressoché sconosciuto, Călin Georgescu. È una persona che non aveva fatto politica in vita sua, che anzi ha un trascorso – come dire – abbastanza mainstream, nel senso che ha lavorato per tanti anni alle Nazioni Unite come agronomo. Georgescu aveva fatto una campagna dal basso, utilizzando soprattutto i social media, TikTok in particolare, che è molto diffuso in Romania. Non aveva quasi per nulla partecipato ai vari dibattiti televisivi nei network mainstream rumeni. Eppure il 24 novembre 2024 è emerso come il primo candidato, ottenendo oltre 2 milioni di voti e staccando con una soglia notevole (22,94 per cento contro 19,18) l’altra candidata, Elena Lasconi, filo europeista e filo NATO». 

Călin Georgescu all’uscita dell’Ufficio elettorale centrale il 7 marzo 2025. Foto AUR Alianța pentru Unirea Românilor. Licenza CC BY-SA 2.0.Călin Georgescu all’uscita dell’Ufficio elettorale centrale il 7 marzo 2025. Foto AUR Alianța pentru Unirea Românilor. Licenza CC BY-SA 2.0.

Invece che posizioni aveva Georgescu?

«Durante la campagna elettorale, si era caratterizzato per posizioni che oggi definiremmo sovraniste, ma semplicemente perché poneva l’accento sulla necessità per la Romania di liberarsi da tutta una serie di condizionamenti esterni, tanto da parte dell’Unione Europea quanto da parte della NATO. In particolare, sottolineava l’importanza di tenersi fuori dal conflitto di fatto in corso tra la NATO e la Russia in Ucraina. Aveva adottato quindi una posizione pacifista, non particolarmente filo russa, come invece è stata descritta. Semplicemente sosteneva che, per la Romania, l’interesse nazionale consistesse nel restare fuori dai grandi giochi geopolitici delle superpotenze».

Accusato di essere di estrema destra.

«Sì, Georgescu è stato accusato di essere non solo di estrema destra, ma anche di essere un fascista e uno xenofobo. Diciamo che è qualcuno che ha sicuramente anche adottato alcune posizioni discutibili magari in passato, che ha espresso supporto, che si è espresso favorevolmente a proposito dei leader filo nazisti che governavano la Romania durante la seconda guerra mondiale».

Disse che il fondatore della Guardia di ferro Corneliu Zelea Codreanu e il dittatore Ion Antonescu avevano anche «fatto cose buone».

«Esatto. Quindi sicuramente Georgescu in passato ha avuto uscite sopra le righe, discutibili dal punto di vista storico. Però il punto è che questi non sono i temi su cui ha impostato la campagna elettorale e non mi pare che questi siano i motivi per cui la gente lo ha votato. Andare a pescare alcune dichiarazioni isolate fatte in passato per dire che Georgescu vuole imporre il fascismo in Romania, mentre le posizioni che ha adottato in campagna elettorale e la sua agenda elettorale più in generale erano piuttosto ragionevoli, mi sembra quantomeno un tentativo di strumentalizzazione molto discutibile. E questo è stato riconosciuto anche da diversi giornalisti critici nei suoi confronti, che però hanno dovuto riconoscere che, se la gente l’ha votato, è perché a differenza degli altri candidati ha incentrato la campagna elettorale su questioni che stanno a cuore ai rumeni».

Ma, di punto in bianco, i rumeni sono diventati fascisti?

«No, Georgescu non ha condotto una campagna elettorale incentrata su una retorica fascista, questo è un dato di fatto. Fatto sta che, dopo la vittoria al primo turno delle elezioni di novembre, si scatena il panico tra l’establishment politico rumeno. Anche perché si è trattato di un evento abbastanza senza precedenti, se consideriamo che negli ultimi 35 anni, la Romania è stata dominata da due partiti principali: il Partito social democratico (PSD), di centrosinistra, e il Partito nazionale liberale (PNL), di centrodestra. Quindi l’apparizione sulla scena politica di un candidato tra virgolette populista, sconosciuto fino a poco prima, ha mandato tutti nel panico». 

Non solo in Romania. 

«Abbiamo assistito anche a reazioni piuttosto sconcertate anche in Europa. Tant’è che nel giro di una settimana il presidente in carica Klaus Iohannis, appartenente al partito di centrodestra PNL, ha declassificato un presunto dossier che accusava Georgescu o, comunque, la sua campagna di aver beneficiato di sostegno esterno da parte della Russia. Però è interessante notare che in questo dossier, che appunto si può leggere perché è stato poi pubblicato, non viene fornita alcuna prova di questa interferenza esterna da parte della Russia. Quello che dice il dossier è che questa campagna online fatta su TikTok ricorderebbe da vicino altre presunte campagne di interferenza esterna condotte dalla Russia in altri Paesi».

Tutto ipotetico?

«Tutto puramente ipotetico: nessuna prova concreta. Ciò nonostante, due giorni dopo la Corte Costituzionale rumena prende una decisione assolutamente senza precedenti: annulla in toto i risultati del primo turno, sostanzialmente cancellando l’elezione appena avvenuta».

E già questo è gravissimo, no? 

«Direi di sì. È chiaro che qua si è creato un precedente gravissimo. Se basta accusare qualcuno di aver beneficiato dell’aiuto di qualche potenza estera senza neanche dover fornire prove per cancellare un’intera elezione, è evidente che siamo entrati in uno scenario che è completamente post-democratico. Sostanzialmente, si lascia all’arbitrio più assoluto degli apparati che controllano i gangli dello Stato (nel caso della Romania, la corte costituzionale), la possibilità di annullare qualunque elezione che dovesse produrre un risultato inviso all’establishment». 

Però…

«Come se non bastasse, un paio di settimane dopo la decisione di cancellare le elezioni, un sito investigativo rumeno, https://snoop.ro/, ha rivelato che questa famosa campagna di TikTok che sarebbe stata finanziata dalla Russia, in realtà era stata finanziata dal Partito nazionale liberale. Vale a dire dallo stesso partito a cui apparteneva il presidente Iohannis, che è stato uno dei principali fautori della decisione di cancellare le elezioni. Ossia il suo nemico giurato, uno dei due partiti dell’establishment che ovviamente vedeva Georgescu come fumo negli occhi». 

Ma perché il partito al potere ha finanziato la campagna del leader populista descritto come il nemico pubblico numero uno?

«Non è chiaro. Ci sono diverse teorie, più o meno complottiste. Chiaramente non sappiamo, non sono state fornite spiegazioni definitive su questa storia. C’è chi dice che in realtà era semplicemente un modo per danneggiare un altro candidato, perché non pensavano che Georgescu avrebbe avuto questo risultato. E c’è chi arriva a ipotizzare che in realtà sia stato fatto proprio deliberatamente per poter accusare Georgescu di aver beneficiato di un sostegno esterno da parte della Russia. Fatto sta che sembrerebbe che la Russia in tutta questa vicenda non c’entri assolutamente nulla». 

Călin Georgescu (secondo da sinistra) e George Simion (terzo da sinistra) durante una protesta alla Piața Universității di Bucarest il primo marzo 2025. Foto AUR Alianța pentru Unirea Românilor. Licenza CC BY-SA 2.0.Călin Georgescu (secondo da sinistra) e George Simion (terzo da sinistra) durante una protesta alla Piața Universității di Bucarest il primo marzo 2025. Foto AUR Alianța pentru Unirea Românilor. Licenza CC BY-SA 2.0.

Dopo la cancellazione della elezione di novembre, ne viene convocata un’altra a maggio.

«A quel punto la domanda che un po’ tutti si ponevano era: “Per quale motivo le elezioni di maggio dovrebbero dare un risultato diverso da quelle di novembre?”. Anche perché in questi mesi, soprattutto alla luce dell’incresciosa vicenda della cancellazione delle elezioni, i sondaggi davano Georgescu addirittura in crescita. Tanti rumeni erano rimasti scandalizzati da quello che era successo. La risposta è arrivata domenica 9 marzo, quando la commissione elettorale rumena ha deciso che Georgescu non può partecipare alle elezioni. E, cosa ancor più incredibile, lo ha deciso sulla base di quelle finte accuse di interferenza esterna che erano state utilizzate dalla Corte costituzionale per cancellare la prima tornata elettorale, nonostante queste accuse siano state ormai completamente smentite». 

L’11 marzo la Corte costituzionale ha confermato. 

«Ovviamente, come ci si poteva aspettare. Georgescu ha fatto ricorso alla Corte costituzionale, che lo ha rigettato, Quindi siamo di fronte a un evento veramente importante, che segna uno spartiacque non solo nella breve storia democratica della Romania, ma nella storia della democrazia occidentale e, più in generale, liberale». 

Perché nessuno ha avuto niente da ridire in questa vicenda, neanche a Bruxelles, vero? «Ovviamente no. Bruxelles, che di solito è sempre molto attenta alle cosiddette questioni relative allo Stato di diritto e alle violazioni dello stesso, in questo caso, di fronte alla più clamorosa violazione dei principi democratici dello Stato di diritto che si sia vista in Unione Europea forse da sempre, è rimasta completamente in silenzio. Questo già potrebbe essere visto come una forma di sostegno indiretto alla decisione di estromettere Georgescu dalle elezioni. Ma non è tutto». 

In che senso? 

«In realtà, possiamo ipotizzare che tanto l’Unione Europea quanto anche altri centri di potere afferenti alla Nato e agli Stati Uniti sotto l’amministrazione precedente abbiano giocato un ruolo piuttosto attivo in tutta questa vicenda. Non è che le autorità rumene abbiano agito in totale autonomia… Basti pensare al fatto che il Dipartimento di Stato americano a novembre aveva preso una posizione piuttosto dura contro Georgescu, alla luce della pubblicazione di quei dossier che in teoria avrebbero dovuto incastrarlo. E lo stesso Thierry Breton, l’ex commissario europeo, il 9 gennaio scorso in un’intervista alla radio francese RMC ha sostanzialmente fatto intendere che Bruxelles avesse giocato un ruolo in tutta questa vicenda, addirittura ipotizzando che quelle misure che lui definiva di protezione della democrazia dalle minacce dei populisti che erano state adottate in Romania si sarebbero anche potute adottare altrove, riferendosi in maniera esplicita alle elezioni tedesche che si sarebbero dovute tenere di lì a poco. Quindi il ruolo dell’apparato dell’Unione Europea e della Nato, cioè del blocco transatlantico, in tutta questa vicenda è probabilmente stato molto più decisivo di quello che poi si è potuto appurare».

Ma perché tutto quest’interesse per la Romania?

«Le ragioni sono presto dette. Apparentemente è un Paese marginale, il secondo più povero dell’Unione Europea. Noi non siamo soliti pensare alla Romania come Paese particolarmente strategico. In realtà negli ultimi anni lo è diventato sempre di più per la sua collocazione geografica. In generale, la Romania ha giocato un ruolo cruciale nel sostegno della Nato all’Ucraina. Essendo al confine, molte armi sono state portate in Ucraina tramite la Romania. Poi ci sono diverse basi aeree piuttosto importanti dove i piloti ucraini hanno ricevuto anche l’addestramento per l’utilizzo di caccia occidentali, soprattutto gli F-16». 

Poi c’è la questione della base NATO. 

«La Romania sta ampliando e ammodernamento la base aerea Mihail Kogălniceanu, sul Mar Nero, con l’obiettivo di farla diventare la più grande base NATO d’Europa. Ci possiamo rendere conto del peso strategico che gioca la Romania in questa partita geopolitica, soprattutto vista l’importanza cruciale che gioca il Mar Nero dal punto di vista militare e geopolitico nel conflitto tra Russia e l’Ucraina. Quindi sembra difficile non concludere che non si poteva permettere di vincere le elezioni a un candidato critico della NATO e del coinvolgimento crescente della Romania nel conflitto per procura in Ucraina. Non lo poteva permettere l’establishment rumeno, fortemente integrato all’interno dei network transatlantici, ma non potevano permetterlo neanche i vertici della Nato e dell’Unione Europea che, come sappiamo, ormai hanno investito tutto nella continuazione, anzi nell’escalation di questa guerra. Questo scenario ci fa capire ormai come le élite transatlantiche non si facciano ormai più alcuno scrupolo a travalicare gli elementi formali della democrazia, a partire dal diritto di qualunque candidato di concorrere alle elezioni».

Il candidato di estrema destra George Simion partecipa a una protesta alla Piața Universității di Bucarest il primo marzo 2025. Foto AUR Alianța pentru Unirea Românilor. Licenza CC BY-SA 2.0.Il candidato di estrema destra George Simion partecipa a una protesta alla Piața Universității di Bucarest il primo marzo 2025. Foto AUR Alianța pentru Unirea Românilor. Licenza CC BY-SA 2.0.

Siamo a questo punto?

«Ci troviamo di fronte a un’élite per tanti versi fuori controllo, che ormai subordina tutto a quello che è il mantenimento dello status quo, soprattutto alla luce delle strategie geopolitiche che sta perseguendo. La lezione è che siamo entrati in uno scenario veramente inquietante, al punto che non si può escludere che le tattiche antidemocratiche che sono state applicate in Romania non vengano in futuro applicate in qualche altro Paese. La domanda sorge spontanea: “Se non si sono fatti scrupolo a cancellare le libertà democratiche in un altro Paese, in questo caso la Romania, perché mai dovrebbero farsi scrupolo a sospendere la democrazia a casa loro?”. Considerando che è il loro stesso futuro ad andarci di mezzo, non possiamo che tornare alle parole di Breton che solo due mesi fa minacciava di mettere in campo le stesse misure in Germania, se si fosse profilato il rischio di una possibilità che Alternative für Deutschland potesse arrivare al governo». 

Anche se fosse stata una decisione totalmente autonoma delle autorità rumene sarebbe stato comunque un precedente inquietante. A maggior ragione, certo, nel momento in cui consideriamo che le autorità di Bruxelles, ma soprattutto diversi governi europei, in particolare il governo francese di Macron, hanno svolto un ruolo piuttosto attivo in tutta questa vicenda».

A proposito. Immagino che lei, socialista, non abbia particolare simpatia per Georgescu. Ma qui il punto non è «mi piace» o «non mi piace» Georgescu, vero? 

«Assolutamente. Sarebbe un errore leggere questi fenomeni attraverso la dicotomia destra-sinistra. Ovviamente questo è quello che il mainstream sta cercando di fare. Descrivendo Georgescu come un cattivone di estrema destra ci si garantisce il sostegno, o quantomeno l’avallo passivo da parte di quell’elettorato che ha una certa visione politica. Il punto qua sono le misure messe in campo contro Georgescu, che non è un fascista ma è sicuramente un conservatore, uno che sta più a destra che a sinistra. Ovviamente quelle stesse, identiche misure potrebbero essere messe in campo contro un leader di sinistra, che per ragioni diverse viene considerato una minaccia per lo status quo. L’importante è capire che non è che l’Europa o le élite europee vogliono difenderci dal pericolo fascista e pertanto arrivano a sospendere la democrazia per salvare la democrazia, come dicono loro. Vederla in quest’ottica sarebbe estremamente sbagliato. Abbiamo visto per esempio nelle recenti elezioni francesi come tattiche per certi versi simili siano state rivolte contro Jean-Luc Mélenchon, il leader de La France insoumise che, pur avendo un’estrazione ideologica completamente diversa da quella di Georgescu, era comunque visto come una minaccia per l’establishment». 

In sintesi, non è una questione di destra o di sinistra?

«No. Il punto è che noi siamo di fronte a un establishment che per difendere lo status quo da qualunque minaccia, che provenga da destra o da sinistra, è sempre più disposto e ha sempre meno scrupoli a demolire i più basilari principi democratici. Questo è, in sostanza, lo scenario in cui ci troviamo». 

Come risultato, in Romania l’estrema destra galoppa. Secondo i sondaggi, il candidato dell’alleanza AUR George Simion, che la Corte costituzionale ha autorizzato a partecipare al voto, è passato dal 18% di novembre all’attuale 27%.

«Mi sembra che questo epilogo riassuma alla perfezione il paradosso che viviamo. E cioè quello di una situazione in cui l’establishment definisce chiunque si opponga allo status quo “di estrema destra”, anche quando l’etichetta non è propriamente corretta. E poi invece non ha alcun problema a collaborare con partiti o politici che sono veramente di estrema destra, come nel caso di Simion, purché questi abbiano sulle questioni che contano (soprattutto politica estera e politica economica) posizioni che siano compatibili con l’establishment. Questa è la conferma che questo spauracchio dell’estrema destra viene sventolato dall’establishment in maniera del tutto strumentale».

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