Indi, per cui
di Andrea Zhok - 13/11/2023
Fonte: Andrea Zhok
Non ho detto una parola sul caso Indi Gregory, sia perché sono situazioni in cui bisogna avere una conoscenza molto precisa delle condizioni specifiche dell'infante e dello stato dell'arte della scienza medica - conoscenze che non ho -, sia perché è impossibile, letteralmente impossibile, mettersi astrattamente nei panni di due genitori chiamati a compiere simili scelte tragiche.
Sul piano teorico generale ho sempre creduto e continuo a credere che nel preservare una vita sia sempre necessario valutare attentamente il grado di sofferenza, presente e futuro, cui eventualmente quella vita è esposta, perché oltre un certo livello la sofferenza non è mera questione di "qualità della vita", ma è deformazione della vita. Diffido dunque in generale di ogni accanimento terapeutico, quando è tale.
Scrivo tuttavia queste due righe, che non pretendono di convincere nessuno di nessuna specifica tesi bioetica, per esprimere due semplici considerazioni di contorno.
La prima è che pretendere di sostituirsi al giudizio dei genitori, cioè delle persone più duramente e durevolmente coinvolte, in un caso del genere è un atto di hybris. L'unico argomento che lo stato e i giudici britannici potrebbero usare su un piano astratto per sospendere le cure è: "Impiegare quelle risorse mediche per mantenere in vita quella bambina toglie risorse necessarie a salvare altre vite." Questo è l'unico argomento formulabile dall'esterno che un tribunale sarebbe legittimato a usare. E per farlo dovrebbe assumersi l'onere di esporlo in questi termini all'opinione pubblica, spiegando quali e quante risorse sono disponibili per queste situazioni, e perché.
La seconda considerazione è che, premesso che non ho alcuna simpatia per questo governo e che non ho alcuna pregiudiziale ideologica o confessionale "pro vita", sono contento che l'Italia si sia profilata sul piano internazionale come un paese disposto a concedere la cittadinanza per un bambino, probabilmente malato terminale, aprendogli le porte di un ospedale specializzato in Italia.
In quest'epoca di disprezzo imperante per la vita in ogni sua forma, e di esibizione senza remore della violenza più prepotente, essere dalla parte di chi fa un gesto in senso simmetricamente opposto, per me è fare la cosa giusta.
Qualcuno dirà che è stato un errore?
Ecco, ci sono situazioni in cui ogni scelta nasconde qualche errore, ma se si devono commettere errori, oggi credo sia meglio eccedere nel senso di onorare la vita piuttosto che di trattarla come l'ennesima variabile dipendente.