Intrappolati
di Luigi Iannone - 16/03/2025
Fonte: Luigi Iannone
Ho pochi principi che, come diceva Prezzolini, considero inconfutabili; per tutto il resto, mi affido al realismo politico. Sono tre o quattro al massimo, gli stessi che avevo da ragazzo e che probabilmente mi accompagneranno fino alla fine. Credo nel sacro, nell’identità comunitaria, nei legami familiari e tradizionali, ma rifuggo il fanatismo e le illusioni ideologiche. Osservo la realtà per ciò che è, senza deformarla con costruzioni artificiali o ideologie, siano esse nazionaliste, europeiste o mondialiste. Per questo, non faccio dei miei principi il fondamento di un’ideologia e troverei ormai difficile accasarmi sotto qualche bandiera.
Sul palco, ieri, c’era solo ideologia e livore: non difendevano principi, ma un sistema rigido e monolitico da cui attingono risposte a seconda della convenienza. Sono manichei, e ripetono sempre la solita solfa: da una parte i buoni, loro; dall’altra i cattivi. La realtà può cambiare, le epoche mutare, ma il mondo deve sempre piegarsi alla loro narrazione, fatta di parole pompose – pace, libertà, democrazia, uguaglianza – che poi, nella pratica, faticano a tradurre in azioni concrete.
È più semplice bollare Musk e Trump come squilibrati (e, a dire il vero, nemmeno a me risultano "simpatici") piuttosto che riconoscere che il problema dell'insidioso rapporto tra multinazionali, capitalismo e democrazia esiste da almeno tre decenni e che tutto questo incide per forza di cose nelle vicende della geopolitica. Se ne accorgono solo ora perché, nella loro visione pusillanime e manichea, Sauron si trova a Washington, e ha il ciuffo cotonato. Se avesse vinto Kamala Harris, improvvisamente il problema sarebbe scomparso: Vecchioni non avrebbe tenuto l’ennesima lezioncina sul valore del melting pot culturale, Scurati avrebbe taciuto sul fascismo americano e il resto della truppa avrebbe recitato, senza variazioni, il solito copione.
Si sono ridotti a questo: ogni questione, grande o piccola, viene ricondotta esclusivamente alla dicotomia tra destra e sinistra.
Un vizio che offusca la mente e preclude ogni possibilità di giudizio lucido e libero, perché, in questo manicheismo d’accatto, chiunque osi discostarsi dalle loro idee viene automaticamente etichettato come trumpiano, meloniano, sodale di Orbán, sostenitore di Putin o addirittura simpatizzante dei naziskin. Con straordinaria disinvoltura, riescono a collocare Cartesio, Marx e Leibniz da una parte e gli assalitori di Capitol Hill dall’altra. Così, se osi criticare i loro dogmi ideologici, vieni assimilato a quel tale con le corna che sfondò le vetrate della Casa Bianca. E se provi a sviluppare un pensiero autonomo, finisci incasellato nelle obsolete categorie di centrodestra o centrosinistra.
Ma, al di là della pomposità retorica delle citazioni e dei filosofi evocati, lo schema è in realtà di una semplicità disarmante. Tutto ciò che non appartiene a quel mondo e a quella piazza viene automaticamente bollato come una minaccia per la democrazia, assimilato ai partiti di governo, alle autocrazie, alle destre nazionaliste, al picchiatore estremista che sfonda il cranio al tunisino per strada, e così via. Eppure, esiste un intero mondo là fuori, un mondo che ieri non era in piazza, che magari non vota, non abbocca alle demagogie degli uni e degli altri, o che magari vota ma tenta - come si diceva un tempo - di separare giustamente su ogni questione il grano dalla pula e quindi, riconosce subito uno sparacazzate di destra (ce ne sono una miriade), nonostante lo voti.
Sono intrappolati in una bolla intellettuale dalla quale non riescono a uscire. Si illudono di elevare il dibattito culturale (forse ci credono davvero), con i loro premi, i loro salotti televisivi, la loro spocchia intonsa da decenni, ma in realtà sono fermi a un livello da tifo calcistico, dove una curva grida contro l’altra, dimentichi però di essere nello stesso stadio.