Invenzioni? Adattamenti
di Pierluigi Fagan - 20/03/2023
Fonte: Pierluigi Fagan
L'INVENZIONE DELL'AGRICOLTURA, DELL'ARTE E DELLA SCRITTURA? Queste non dovrebbero esser categorizzate come invenzioni, ma come adattamenti.
Le pratiche agricole compaiono in almeno undici diversi siti separati in tempi diversi ma con assai improbabile, se non impossibile, trasferimento di conoscenze. I ritrovamenti di Ohalo II (Israele) datati a 23.000 anni fa, non lontano dal massimo glaciale del tempo, nonché l’eccezionale formarsi di cause che hanno permesso di ricevere i resti di questo sito che dicono quanta altri probabilmente siano esistiti ma cancellati dal tempo, sembrano mostrare il fatto che la cura del selvatico o quantomeno il principio di ripiantare semi, fosse conoscenza molto antica. Siamo a 10.000 anni prima del primo accertato sito con forte vocazione agricola, Abu Hureyra (Raqqa, Siria, circa 11-10.000 a.C.). Prima di allora la relativa abbondanza di prodotto alimentare naturale non aveva spinto a queste pratiche. Nel sito si trovano sia macine, selci e falcetti per raccolta e lavorazione, sia resti di uccelli, pesci, animali di piccola o grossa taglia, frutta e cereali, il tutto intorno capanne e focolari vicino al lago, inclusa una sepoltura ed una discarica. Il sito sopravvisse per qualche generazione. Che fossero stanziali o seminomadi, le genti del posto e del tempo, sembra si fossero piantati in una ricca nicchia ecologica e l’idea di ripiantare semi venne probabilmente dall’opportunità di avere accanto all’abitato prodotto altrimenti da cercare a medio-lungo raggio. Questa produzione con cura della natura nasce quindi con finalità di varietà ed integrazione alimentare per genti già stanziali, una comodità più che una necessità stretta. Siamo a 16-17.000 anni prima dell’inizio canonico della civiltà ad Uruk.
Quanto alla scrittura, abbiamo almeno quattro natali che non possono esser pensati come diffusione mono-genetica. In Egitto compare anche se di poco prima dei Sumeri, in Cina compare dopo ma con modalità che rendono assai improbabile il trasferimento della pratica, in Mesoamerica compare più tardi ma dove la diffusione è impossibile da ipotizzare. Ma bisognerebbe intendersi sul significato di scrittura perché il repertorio grafico Vinca nell’Antica Europa è forse il più antico di tutti, sempre che non si voglia approfondire il significato di utilizzo di segni grafici nelle pitture rupestri del Paleolitico superiore. Altri casi successivi non possono escludere in via logica la diffusione, ma entrando nel merito dei vari tipi di scrittura rendono l'idea assai implausibile. L’idea della diffusione premette implicitamente che debba esser esistita una monogenesi, è una tesi circolare.
Così per quella che chiamiamo arte che, a livello rupestre, mostra almeno due casi troppo lontani nello spazio e vicini nel tempo per pensare ad una diffusione, Europa ed Indonesia. Cubetti di ocra trovati nei siti sapiens del Sud Africa ben prima della migrazione in Europa e graffiti europei ma di origine neandertaliana quindi precedenti l’arrivo dei sapiens, invitano a pensare che l’attività fosse molto più antica e diffusa del ritenuto. Resti molto più recenti in Medio Oriente ed Amazzonia di ampie pitture su pareti esterne che ovviamente non si sono altrove conservate, dicono che la riproduzione di segni doveva esser molto più ampia del fondo di grotte inaccessibili quali poi abbiamo trovato. In fondo, arte e scrittura, sembrano originati da volontà di comunicare laddove si mostra una prima densità umana, per questo compaiono in epoche relativamente tarde non perché prima la mentalità non fosse in grado ma perché tali densità si mostrarono tardi per ragioni demo-geo-ambientali.
Il motivo per cui gran parte del discorso pubblico tanto esperto che di senso comune, pensa a queste tre modalità come “invenzioni”, quattro se inseriamo la progressione della lavorazione della pietra paleolitica almeno a certi livelli, nasce da due impostazioni mentali ottocentesche correlate.
La società moderna econocratica ha prodotto schemi mentali che ci dimentichiamo di considerare come geo-storicamente determinati. La rivoluzione industriale britannica è diventata il presupposto unico che incrociando la pretesa universale della mentalità occidentale, ha prodotto un contesto mentale in cui quell’insieme di cause ed effetti ci sembrano legge. La legge è per l’appunto la nostra idea di aver trovato sequenze di cause-effetti universali. Fuori di quelle trovate dalla fisica e di quelle emanate dai gruppi umani in vita associata che si chiama giurisprudenza, non esistono leggi, ma regole ovvero come ho letto cogliendo l’involontario umorismo di un economista “leggi tendenziali” ovvero leggi con eccezioni, quindi non-leggi. Fa parte sempre di quella mentalità positivista pensare che nelle cose umane esistano leggi, fa molto “scienza” come se il modo di conoscere atomi e pianeti sia estendibile agli esseri umani. Tra l'altro più pianeti che atomi visto che la MQ è solo statistica. Una assurdità che continuiamo a replicare con cecità epistemica ancora oggi.
Così come fa parte di quella mentalità pensare che cose che prima non esistono e poi esistono nel ciò che si mostra della vita umana, siano sempre invenzioni. Invenzioni che danno luogo a rivoluzioni. Infatti, quella industriale fu detta appunto “rivoluzione”, termine preso dalla cosmologia del XVI secolo dove aveva significato di semplice movimento circolare che torna al punto di partenza (idea molto rinascimentale) al tempo del colpo di stato di certa parte delle élite inglesi di fine XVII secolo. Per nobilitare l’evento, in sé abbastanza scabroso, la successiva storiografia whig (in pratica la prima forma di partito liberale all’origine stessa del liberalismo teorico-pratico, Locke per intenderci) chiamò il fatto “Gloriosa rivoluzione” dandole sia il giudizio di cosa ben fatta e motivata (magari parte dell’aristocrazia monarchica non era così d’accordo su questa “gloriosità”), sia il senso di cambiamento progressivo istantaneo. La culla del termine con significato così appuntito in termini di filosofia politica del cambiamento, la “rivoluzione”, nasce nella mentalità liberale anglosassone e viene acquisita dall’illuminismo francese ovvero la nuova mentalità della borghesia e nobiltà liberale.
La seconda impostazione mentale è correlata. Siamo sempre nel Regno Unito e nella seconda metà sempre del XIX secolo, siamo perfettamente dentro la Rivoluzione industriale. Qui, una teoria (Darwin) sul fatto che le specie non fossero state inventate da Dio, ma si erano auto-prodotte e si erano poi auto-modificate per andar d’accordo al contesto in cui vivevano, si erano “adattate”, venne chiamata da un sociologo britannico a cui dobbiamo anche il concetto moderno di progresso, Herbert Spencer, “evoluzione”. Anche qui il termine ha origini ben diverse, nel latino ciceroniano il verbo significava l’atto di svolgere i due rotoli di una pergamena, scorrimento quindi, senza valori qualitativi, solo funzionali.
Invenzioni producono rivoluzioni che producono evoluzioni. Ma “invenzione” sta per nascita di cosa che prima non c’era, che sia una idea, una teoria o un manufatto articolato come la spoletta volante di John Kay (1733), un liberale atto di creatività che dall’individuo si propaga al mondo, cambiandolo. Un secolo e passa di spesa pubblica deliberata dal nuovo "parlamento" figlio del colpo di stato per conformare l'Inghilterra alla desiderata forma econocratica non conta, conta solo l'invenzione di un individuo, antenato di Steve Job suppongo. Così allora si pensava l’uomo (e si continua a pensarlo vedi il digitale e la quarta rivoluzione industriale), così si è pensato e si continua a pensare tutto ciò che ad un certo punto compare nel registro paleo ed archeologico, ma anche storico e sociale.
Arte, industria litica paleo, agricoltura e scrittura, data la loro natura molto più antica del ritenuto e le diverse origini policentriche, sembrano più adattamenti che invenzioni. Gli umani, sottoposti a certe condizioni, riproducono modalità che scaturiscano da capacità intrinseche, estraggono potenzialità già esistenti. Le quattro modalità non hanno mai dato luogo a rivoluzioni ma a processi di cambiamento di media-lunga portata, rivoluzione è solo un concetto anacronistico (semmai valido nel XIX secolo ma retro applicato a tempi di molto precedenti) e di dubbia pertinenza col quale abbiamo semplificato e sintetizzato processi complessi di medio-lunga durata. Con tale mentalità siamo andati ad appiccicarne l'etichetta a guerre civili e guerre di liberazione, quando non la violenta sostituzione di una élite con un'altra, con o senza "popolo" trascinato e poi risottomesso a nuovo potere.
In termini di teoria politica del cambiamento, fintanto che penseremo che i sistemi sociali complessi si cambino a botte di rivoluzioni, non li cambieremo davvero mai. È solo romanticismo confortante.
Il filosofo greco-francese Cornelius Castoriadis parlava di “colonizzazione dell’immaginario”. La nostra mentalità occidentale è ancora pesantemente colonizzata dal dominio dell’immagine di mondo ottocentesca, anglosassone, econocratica, liberale anche quando pensa di non esserlo.