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Ipotesi sulla politica estera di Donald Trump

di Pierluigi Fagan - 06/11/2024

Ipotesi sulla politica estera di Donald Trump

Fonte: Pierluigi Fagan

Parliamo di ipotesi perché il nuovo presidente USA non ha rilasciato la consueta intervista preelettorale in cui di solito i candidati accennano le linee della loro politica estera e perché il tipo è, notoriamente, poco prevedibile. Tuttavia, alcune cose si possono dire ed altre ipotizzare.

1) Ucraina. Qui almeno si sa che molto probabilmente Trump chiuderà (ma forse solo in parte) rubinetti dei finanziamenti diretti e degli armamenti e più in generale dell’impegno logistico. Anche per lasciare la patata bollente nelle già tremanti mani europee, Europa sotto altre mire strategiche di cui parleremo dopo. Tenterà un accordo di pace come promesso, che ci riesca assai improbabile a meno non voglia davvero rimettersi a discutere con Putin i principi generali di sicurezza (dislocazione missili, ruolo paesi NATO di confine) dell’area. Cosa assai improbabile dal momento che la scorsa volta fu proprio Trump a stracciare il Trattato INF, architrave del sistema di sicurezza in Europa firmato a suo tempo da Gorbaciov e Reagan (alla faccia dell’”amico di Putin”!). Secondo Mearsheimer, Putin ormai non crede più all’Occidente sotto nessuna forma e veste, ritiene del tutto improbabile il russo venga incontro all’americano più di tanto, nel mio piccolo concordo. Le prime dichiarazioni russe all’elezione hanno tenuto a ribadire che la Russia perseguirà -tutti- i suoi obiettivi dell’operazione militare speciale.

2) Russia. Ma non è detto che i rapporti con la Russia siano per forza di cose legate alla questione ucraina. Dietro Trump c’è anche l’industria petrolifera, cosa nota e rivelatasi appieno la volta scorsa in cui Trump elesse come Segretario di Stato Rex Tillerson, ex CEO di Exxon -Mobil. La compagnia aveva molte joint venture con la russa Rosneft per prospezioni soprattutto in area artica. Ricordando l’endorsment ricevuto da R. F. Kennedy junior che ha inclinazioni ambientaliste, ha riferito di avergli detto: “"E' un tipo straordinario, e veramente vuole fare delle cose e noi gliele faremo fare, ho solo detto 'Bobby, lascia il petrolio a me'". Quindi la questione petrolifera rimane sul tavolo, ai tempi sapevo che Exxon-Mobile riteneva assolutamente strategica e vitale la prospezione artica e Trump forse pensa di poter contrattare un ritorno a buone relazioni (a prescindere l’Ucraina), magari chiedendo a Putin di rallentare gli sviluppi della Northern Sea Route (rotta artica utile ai cinesi per aggirare gli stretti). Imprevedibile se i due troveranno una qualche forma di accordo, certo anche qui assai improbabile Putin rinunci al progetto con la Cina.

3) Chi sicuramente non è tra coloro che gioiscono per queste elezioni, sono Venezuela e Nicaragua. Dopo l’esito delle ultime elezioni venezuelane Trump espresse parole di fuoco e Musk prima ha twittato: Il popolo venezuelano ne ha abbastanza di questo pagliaccio", poi dopo risposta di Maduro ha rincarato: “un asino capisce più di Maduro” per poi aggiungere: "Mi dispiace aver paragonato il povero asino a Maduro. È un insulto al mondo animale". Maduro ha sospeso X nel suo Paese. Sotto ci sono questioni di business per Starlink ed alleanza con Milei per una nuova egemonia in Sud America. Ma il Venezuela è anche il quinto paese al mondo per riserve provate di idrocarburi ed il primo nel quadrante occidentale. Chissà che il recente capitombolo casalingo di Lula che gli avrebbe impedito di andare a Kazan al forum BRICS stante che poi abbiamo saputo di un veto messo dal brasiliano alla possibile cooptazione proprio del Venezuela e del Nicaragua nei BRICS, non fosse in relazione alla assai probabile elezione di Trump con conseguente modifica dei pesi di relazione nel sud continentale. Tra i non contenti sicuramente anche il messicano Obrador che si vedrà rimbalzare al confine le masse migranti dal centro America, un problema in più da gestire.

4) Di contro e come ben tutti sanno, tra gli entusiasti Netanyahu. Segnalo che ieri l’israeliano a licenziato il ministro della Difesa Gallant. Gallant è il competitor naturale di Netanyahu nel Likud quindi al governo di Israele. Per prepararsi la successione Gallant aveva dichiarato di voler richiedere una commissione d’inchiesta sul 7 ottobre. Chi scrive, qui scrisse il giorno dopo il 7 ottobre di un anno fa che la dichiarazione pubblica di Netanyahu sul fatto che gli israeliani nulla sapevano di ciò che si stava preparando a Gaza era semplicemente ridicola. Bande di facinorosi imbevuti di sdegno condito da profonda ignoranza sui fatti della regione, insorsero. Bisogna essere ben ignoranti dell’ovvio e pompati da emotività sobillata per credere che Israele nulla sapesse del vasto movimento logistico di preparazione dell’attentato, non vale la pena neanche entrare in particolari. Tuttavia, è assai probabile che Gallant avesse prove sul fatto che Netanyahu adottò una voluta e colpevole noncuranza ai report informativi (tra cui quelli del servizio segreto egiziano rivelati il giorno dopo l’attentato). Ma la questione tornerà sul tavolo e già la polizia ha messo sotto inchiesta il premier israeliano per manomissione dei verbali di riunione dei vari gabinetti di guerra mentre Netanyahu pare abbia minacciato di azzerare i vertici di Shin Bet che nel frattempo hanno arrestato il suo portavoce stampa che ora rischia 15 anni per fuga di notizie (manipolazione delle opinioni pubbliche tramite veline rilanciate da due giornali europei, il Jewish Chronicle di Londra e la tedesca Bild). Pare ci sia maretta anche con IDF.

Tuttavia, il sostegno di Trump potenzierà Netanyahu, l’americano ha dichiarato di conoscere bene Gaza (improbabile) e ritenerlo un luogo perfetto per far crescere alberghi di lusso e casinò (!). Di fatto, l’obiettivo stranoto è quello di far sloggiare quanti più palestinesi è possibile da Gaza oltre disarticolare Hamas ed Hezbollah per permettere lo sviluppo dei Patti d’Abramo e/o via del cotone. Il che ci porta in Iran dove certo non saranno contenti dell’arrivo dell’ex palazzinaro, già più volte assai duro con il paese sciita (vedi ritiro dal trattato Jcpoa ovvero accordo sul nucleare iraniano) in passato anche perché l’Iran è 2° per riserve petrolifere e 3° per riserve gas naturale il che con l’ipotetico appeasement coi russi e al ripresa di amorosi sensi con l’Arabia Saudita, e la repressione probabile del Venezuela, chiude il  cerchio di ciò che citava nel suo discorso di vittoria di stamane “Abbiamo più oro liquido, petrolio e gas. Abbiamo più oro liquido di qualsiasi altro Paese al mondo, più dell’Arabia Saudita. Ne abbiamo più della Russia.”. Inoltre, l’Iran è in asse BRICS quindi Cina, asse che saboterà ulteriormente corteggiando l’indiano Modi già molto eccitato dalla vittoria del tycoon oltre ad aver già “normalizzato” Lula.

5) Noti i dolori europei. Trump cercherà in tutti i modi di disarticolare l’UE per trattare one-to-one. Nuovi dazi e sgarbi vari, ritiro ed anzi decisa avversione politiche green, dubbi sullo sviluppo NATO, ricatti per incrementare di molto la spesa militare (ovvero comprare armi degli USA). Sarà un capitolo complicato su cui varrà la pensa tornare più avanti.

6) Altrettanto riguardo la Cina.

Il fenomeno Trump muove la storia il che per noi che ce ne occupiamo è tutto sommato un bene. Quando venne eletto la prima volta uscì il mio primo libro a gennaio 2017. Questa volta uscirà il mio secondo libro ma a Natale anche se non sarà spiccatamente di geopolitica.