Israele, nonostante le dimostrazioni di forza, rimane una potenza estremamente fragile
di Daniele Perra - 12/03/2025
Fonte: Daniele Perra
Il Ministero della Difesa israeliano ha rilasciato alcuni dati relativi alle perdite subite nel corso delle "operazioni militari" a Gaza, in Libano e Cisgiordania. In particolare, si parla di 78.000 soldati feriti gravemente e/o resi disabili. Ad essi (probabilmente - il Ministero non lo indica) si aggiungono alcune migliaia di caduti (considerato anche l'insieme delle vittime prodotte dall'operazione "Tempesta di al-Aqsa e dall'applicazione della cosiddetta "dottrina Annibale" - in pratica l'eliminazione di rapitore e ostaggio per evitare che il secondo diventi arma negoziale).
Sarebbe interessante avere dati precisi sulla localizzazione dei caduti/feriti: ovvero, quanti a Gaza; quanti in Libano e così via. Tendenzialmente, la maggiore preparazione (e migliore qualità in armamenti) di Hezbollah lascia pensare che la maggior parte dei caduti israeliani sia un effetto del conflitto nel sud del Paese di cedri. Allo stesso tempo, appare evidente che Hamas sia stato capace di infliggere notevoli perdite all'IDF (molte nell'ultima fase dei combattimenti nella Striscia) anche grazie a quella "guerra sotterranea" che molti analisti odierni considerano come "nuova dimensione" dei conflitti futuri (si veda le recenti operazioni russe nell'oblast di Kursk - si pensi ad un eventuale conflitto Cina-Taiwan).
Ad ogni modo, queste cifre ci dicono qualcosa di molto diverso rispetto alla presunta vittoria di Israele, o all'altrettanto presunto annichilimento del cosiddetto "Asse della Resistenza" (che pure ha subito perdite pesantissime anche sul piano strategico - il caso siriano è emblematico). E ci dicono che Israele, nonostante le dimostrazioni di forza, rimane una potenza estremamente fragile, totalmente dipendente dal sostegno "occidentale" e priva di reale profondità strategica. Cosa alla quale sta cercando di porre rimedio con la costruzione di una regione autonoma drusa nel sud della Siria sotto sia diretta influenza e sostenendo il progetto infrastrutturale della "via del cotone", utile anche a contenere il potenziale interconnettivo della "via della seta" cinese ed a sganciare i porti del Mediterraneo orientale (da Atene ad Haifa, dove gruppi indiani e nordamericani stanno cercando di soppiantare il ruolo cinese) dalla stessa. In questo senso, una Gaza sotto diretto controllo nordamericano sarebbe fondamentale per il contrasto della proiezione di influenza geoeconomica cinese sia verso l'Europa, sia verso la Penisola Arabica (prossimità al fondamentale snodo di Suez ed alla megalopoli saudita Neom, la cui inaugurazione, nel nord-ovest del Regno, è prevista a breve). Va da sé che un reale controllo su Gaza comporterebbe una nuova ed ulteriormente elevata fase conflittuale. Il discorso sui porti, inoltre, è del tutto particolare, visto che l'esistenza di Israele dipende da questi (Haifa, Ashkelon, Ashdod, Eilat). Le operazioni degli Houthi yemeniti hanno portato, di fatto, alla bancarotta del porto di Eilat sul Mar Rosso. Con tutta probabilità, invece, Russia e Cina (visti i notevoli interessi) hanno fatto pressioni su Iran e gruppi della Resistenza affinché non venissero colpiti i porti sul Mediterraneo.
Interessante anche il discorso relativo all'ipotetico trasferimento dei Palestinesi nel Sinai. Il rifiuto egiziano a tale possibilità è dato dal fatto che questo è considerato come un sistema per estendere il raggio di azione israeliano sullo stesso Sinai. La presenza palestinese, infatti, "giustificherebbe" automaticamente azioni israeliane sulla penisola egiziana; anch'essa, alla pari di Damasco, nel mirino dei fondamentalisti religiosi al potere a Gerusalemme.