Kerry e Lavrov. L’uno sul viale del tramonto, l’altro al centro della diplomazia mondiale
di Paolo Marcenaro - 03/12/2016
Fonte: l'Opinione Pubblica
Se si vuole avere un’immagine viva dell’enorme ipocrisia con cui viene condotta la politica estera italiana dall’ex-agitatore antinucleare Paolo Gentiloni basta osservare la manifestazione MED 2016, organizzata dalla Farnesina e dall’ISPI su precisa volontà e impulso del titolare del Ministero: un fiume di slogan roboanti, “Oltre il Caos, un’agenda positiva” (motto della prima edizione, quella 2015), “Dialoghi mediterranei” e via dicendo.
Nei fatti, nemmeno una favilla, una scintilla che possa ricordare il polso e la fermezza con cui venivano difesi gli interessi geostrategici dell’Italia, penisola protesa al centro del Mediterraneo e aggettante verso il Nordafrica e il Medio Oriente, neppure un baluginio, un barbaglio della grandezza con cui statisti anche molto diversi tra loro (per citarne alcuni Fanfani, Andreotti, Moro, Craxi…) affermavano il diritto del nostro paese ad avere rapporti privilegiati col Mondo Arabo e con l’Africa.
Uno dei pochi punti di interesse di questa manifestazione, la presenza dei capi delle diplomazie Usa e russa, John Kerry e Sergei Lavrov, simboli viventi dei diversi momenti che si stanno vivendo alla Casa Bianca e al Cremlino.
Kerry, che ha di fronte un pensionamento e un tramonto della vita probabilmente da spendere meditando sulle occasioni perdute (specie la sua sconfitta alle presidenziali 2004 contro un battibilissimo Bush Jr.), nasconde l’amarezza e la voglia di essere altrove sotto sorrisi di circostanza, senza peraltro poter evitare che essa emerga di tanto in tanto in gesti ed espressioni; Lavrov, normalmente un algido giocatore di poker, ha proprio il problema opposto; celare sotto la consueta maschera imperscrutabile la palese soddisfazione che si sente quando si è certi di avere in mano tutte le carte migliori per vincere una partita.
Con Aleppo nella fase definitiva della sua liberazione e con una presidenza Trump entrante che negli ultimi giorni ha dichiarato pubblicamente: “Gli Usa hanno finito di voler rovesciare regimi all’estero” (almeno per quattro anni) è chiaro che il dossier Siria non si chiuderà affatto come Kerry ha insistito per gli ultimi cinque anni “con la caduta di Assad” e che a questo punto sarà interesse precipuo di Lavrov (e per estensione di Vladimir Putin) sistemare le cose in maniera da dare l’idea che più che stravincere offendendo e umiliando il loro grande rivale internazionale i Russi abbiano invece aiutato gli Usa a evitarsi l’ennesimo costoso, sanguinoso e fallimentare intervento militare all’estero.
Questo atteggiamento, automaticamente, farebbe crescere le credenziali interne di Donald Trump, confermando nei fatti che la politica non-interventista sul palco internazionale garantisce agli Usa amicizia e rispetto e libertà per dedicarsi alla soluzione dei problemi domestici, cosa che sarebbe stata impossibile proseguendo sul sentiero del “Destino Manifesto” e dell’ “Esportazione di Democrazia” come aveva intenzione di fare Hillary Clinton.