“Kiev non può vincere”: ora lo dice anche il regno unito
di Fabio Mini* - 27/10/2024
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Frank Ledwidge - L’ufficiale e consigliere della missione inglese in Afghanistan dopo due anni di “lealtà” a Zelensky ammette: “Non resta che pianificare il dopo”
Non sorprende che in Italia non giungano notizie sulla reale situazione della guerra in Ucraina. E nemmeno che quelle che arrivano siano drammaticamente false. Tanto false che nemmeno gli ucraini ci credono più. È invece una sorpresa leggere le riflessioni di Frank Ledwidge, lo stimato analista britannico da sempre schierato con l’Ucraina e le forze armate britanniche che di essa hanno fatto il proprio campo di battaglia istigando e organizzando tutte le operazioni più spregiudicate e aggressive di Kiev.
Ledwidge, dopo aver esercitato per otto anni come avvocato penalista a Liverpool, ha prestato servizio per 15 anni come ufficiale della riserva navale acquisendo una vasta esperienza operativa. Ha lavorato per un decennio nei Balcani e nell’Est europeo per la tutela dei diritti umani a livello internazionale e la riforma del diritto penale. È stato primo “consigliere giuridico” della missione britannica nella provincia di Helmand (Afghanistan) nel 2007-2008 e ha svolto un ruolo analogo presso l’ambasciata britannica in Libia durante e dopo la guerra (2011-12). Ha lavorato anche in Ucraina durante il conflitto in corso. È autore di diversi libri, tra cui il best-seller Perdere le piccole guerre. Attualmente insegna presso la base RAF Halton come parte del team dell’Università di Portsmouth.
Questo operativo e accademico ha sempre commentato la guerra in Ucraina seguendo o tracciando il percorso della propaganda di Kiev. A novembre 2022 commentava: “Le operazioni da entrambe le parti rallenteranno con l’arrivo del freddo, ma l’artiglieria fornita dall’Occidente renderà le truppe russe un bersaglio fisso”. Il 10 gennaio 2023: “Gli Stati Uniti devono decidere cosa significa ‘vittoria’ in Ucraina, o sprecare ancora più vite lì”. Il 17 aprile 2023: “Le fughe di notizie del Pentagono rivelano il marcio nel cuore dell’intelligence statunitense, ma non hanno danneggiato l’Ucraina”. Il 19 maggio 2023: “L’Occidente vuole davvero che l’Ucraina vinca la guerra? Se sì, deve aumentare il sostegno militare”. Il 1° settembre 2023: “Il tempo sta per scadere per la controffensiva dell’Ucraina. I suoi alleati saranno cruciali in ciò che accadrà in seguito”.
Un anno dopo, il 24 settembre scorso, ha pubblicato su The conversation un commento dal titolo: “L’Ucraina non può sconfiggere la Russia – Il meglio che l’Occidente può fare è aiutare Kiev a pianificare un futuro sicuro nel dopoguerra”. La riflessione è anche una confessione: “Un mio amico, un analista filo-ucraino solitamente molto ottimista, è tornato dall’Ucraina la scorsa settimana e mi ha detto: ‘È come l’esercito tedesco nel gennaio del 1945. Gli ucraini vengono respinti su tutti i fronti, compresa la provincia russa di Kursk, che avevano aperto con grande speranza e clamore ad agosto. Ancora più importante, stanno esaurendo i soldati’”.
Ciò che era chiaro già due anni fa a tutti coloro che su queste pagine commentavano la guerra, viene ammesso tranquillamente da Ledwidge, che spiega: “In definitiva, questa non è una guerra di territorio, ma di logoramento. L’unica risorsa che conta sono i soldati, e qui il calcolo per l’Ucraina non è positivo. L’Ucraina afferma di aver ‘liquidato’ quasi 700.000 soldati russi, con oltre 120.000 morti e oltre 500.000 feriti. Il suo presidente, Volodymyr Zelensky, ha ammesso a febbraio di quest’anno 31.000 vittime ucraine, senza fornire alcuna cifra per i feriti. Il problema è che questi totali ucraini sono apparentemente creduti dai funzionari occidentali, quando la realtà è probabilmente molto diversa. Il basso morale e la diserzione, così come la renitenza alla leva, sono ora problemi significativi per l’Ucraina”. “La storia non conosce esempi con cui affrontare la Russia in un conflitto di logoramento si sia rivelato un successo. Diciamolo chiaramente: questo significa che c’è una reale possibilità di sconfitta, non c’è modo di indorare la pillola… Gli obiettivi di guerra massimalisti di Zelensky di ripristinare i confini dell’Ucraina pre-2014, insieme ad altre condizioni improbabili, che non sono state contestate e anzi incoraggiate da un Occidente confuso ma autocelebrativo, non saranno raggiunti e la colpa è in parte dei leader occidentali. Le guerre mal consigliate in Afghanistan e in Medio Oriente hanno lasciato le forze armate occidentali vuote, scarsamente armate e del tutto impreparate per un conflitto serio e prolungato, con scorte di munizioni che probabilmente dureranno al massimo per settimane. Solo gli Stati Uniti hanno scorte significative di armamenti sotto forma di migliaia di veicoli blindati, carri armati e pezzi di artiglieria in riserva, ed è improbabile che cambino la loro politica di fornitura di armi a goccia all’Ucraina ora. Anche se una tale decisione venisse presa, i tempi di consegna sarebbero di anni, non di mesi. n un briefing riservato a cui ho partecipato di recente, tenuto da funzionari della difesa occidentali, l’atmosfera era cupa.
La situazione è “pericolosa” e “pessima come non mai” per l’Ucraina. Le potenze occidentali non possono permettersi un altro disastro strategico come l’Afghanistan… Non ci sarà nessuna svolta decisiva da parte dell’esercito russo quando prenderà questa o quella città (diciamo Pokrovsk). Non hanno la capacità di farlo. Quindi, non ci sarà un crollo, nessun momento “Kiev come Kabul”. Tuttavia, ci sono dei limiti alle perdite che l’Ucraina può subire. Non sappiamo dove si trovi quel limite, ma lo sapremo quando accadrà. Fondamentalmente, non ci sarà alcuna vittoria per l’Ucraina. Imperdonabilmente, non c’è, e non c’è mai stata, una strategia occidentale se non quella di dissanguare la Russia il più a lungo possibile. Ancora più fondamentalmente, vi sono due antiche questioni etiche che determinano se una guerra sia giusta e se sia necessaria una risposta: che vi siano ragionevoli prospettive di successo e che il potenziale guadagno sia proporzionato al costo. Il problema, come spesso è accaduto in passato, è che l’Occidente non ha definito cosa considera un successo. Il costo, nel frattempo, sta diventando fin troppo chiaro. I leader della Nato ora devono andare rapidamente oltre la retorica senza senso o qualsiasi cosa che sappia di “finché serve” (e whatever it takes). Abbiamo visto dove ciò ha portato in Iraq, Afghanistan e Libia. Ora abbiamo bisogno di una risposta realistica a cosa si possa considerare una “vittoria”, o almeno un accordo accettabile, ammesso che sia realizzabile e che l’Occidente lo persegua davvero. Un punto di partenza potrebbe essere accettare che Crimea, Donetsk e Lugansk siano perdute, cosa che un numero sempre maggiore di ucraini sta iniziando a dire apertamente. Poi dobbiamo iniziare a pianificare seriamente un’Ucraina postbellica che avrà più che mai bisogno del supporto dell’Occidente”. “La Russia non può assolutamente prendere tutto, o la maggior parte del territorio ucraino. Anche se potesse, non riuscirebbe a mantenerlo. È ampiamente chiaro che ci sarà un compromesso”.
Per aver espresso considerazioni analoghe sin dall’inizio della guerra, ovvero un milione di vittime fa, esponenti della politica, della cultura, dell’informazione, intellettuali, militari e milioni di cittadini sono stati minacciati e diffamati. Avevano il torto di pensare alle conseguenze e ai rischi per l’intera Europa, di pensare la pace come presupposto della ricostruzione morale e materiale. Ledwidge e i suoi amici ucraini, che adesso vorrebbero trattare una fine concordata del conflitto, non corrono questo rischio perché non pensano affatto alla pace: “È tempo che la Nato, e in particolare gli Stati Uniti, esprimano una fine fattibile a questa ordalia da incubo e sviluppino una strategia pragmatica per affrontare la Russia nel prossimo decennio”. Rinuncerebbero volentieri ai territori annessi dalla Russia non per magnanimità, ma perché non sarebbero in grado di controllarli senza procedere al genocidio di tutti i russofoni o russofili. Vorrebbero cedere qualcosa adesso non per la sicurezza di tutti ma per guadagnare dieci anni di tempo per armarsi, riarmare l’Europa e “affrontare” la Russia con le armi. Ucraini e inglesi sanno benissimo che dieci anni di tale preparazione alla guerra non costituiscono deterrenza e sono insostenibili: significano decretare la morte dell’Europa. Sarebbero dieci anni di cambiamenti globali mentre il nostro continente impoverisce e si dissangua in guerre a singhiozzo, sabotaggi, strangolamenti economici e disordini interni all’inseguimento del grande business della ricostruzione da perpetuare con la successiva distruzione. La Russia ha già dichiarato di non essere disposta a sottoscrivere un compromesso che non consideri la sicurezza dell’Europa e la Cina, che l’appoggia, ha aggiunto anche la sicurezza dell’Asia continentale. Ledwidge conclude il suo illuminante intervento con un pistolotto retorico: “Ancora più importante, l’Occidente deve pianificare come supportare un’Ucraina eroica, distrutta, ma ancora indipendente!”. Senza nulla togliere alla capacità di resistenza del popolo ucraino nei confronti degli avversari e di sopportazione nei confronti dei propri governanti, si può essere certi che non gradisca l’eroismo “alla memoria”. La distruzione materiale è rimediabile, quella morale no, e l’indipendenza di un paese defunto è inutile mentre quella di un paese ferito nel corpo e nello spirito, la cui sopravvivenza dipende dall’elemosina altrui, è di fatto una schiavitù. La Russia vuole un assetto della sicurezza europea che non la veda sotto minaccia costante della Nato o di chiunque altro. Se la Nato vuole la stessa cosa, per uscire dall’incubo di una guerra a oltranza per usura o di annichilimento per disgrazia, deve rinunciare a ulteriori allargamenti. E magari verificare se quelli finora concessi rispettino il principio di contribuire alla sicurezza comune o non siano invece portatori d’insicurezza e conflitti.
*(Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano, ex Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo)