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Konrad Lorenz e il declino dell’uomo (senza ecologia)

di Sandro Marano - 25/05/2020

Konrad Lorenz e il declino dell’uomo (senza ecologia)

Fonte: Barbadillo

Si possono mangiare gnocchi d’oro? Evidentemente no. Ma è ciò che credono, stoltamente, i tecnocrati, gli industriali, i responsabili del nostro ordine sociale e politico che sottovalutano o ignorano i pericoli che minacciano l’umanità. 

«Costoro considerano reali solo due cose, sulle quali agiscono e che a loro volta li influenzano. Due cose alle quali sono costretti a pensare in continuazione: il denaro e il potere. Il denaro è assai facilmente quantificabile. Con il denaro si fanno calcoli a meraviglia, e le valute si possono manipolare. Come stupirsi che gli ecologi siano considerati dei “sognatori nostalgici” quando ammoniscono che l’oro e il denaro sono soltanto dei simboli e che le materie prime necessarie alla vita, come l’aria pura e l’acqua non inquinata, presto non si potranno più acquistare neppure per tutto l’oro del mondo?». 

 Così scriveva Konrad Lorenz (1903-1989),  scienziato naturalista e filosofo ecologista, ne “Il declino dell’uomo” (Piano B, 2017, pp. 229, € 16). Pubblicato nel 1983, pochi anni prima della sua scomparsa e dopo dieci anni dal celebre “Gli otto peccati della nostra società”, il testo, che è un po’ la summa della sua attività di studioso e di ricercatore, è di una stringente attualità. Nessuno dei pericoli denunciati da Lorenz, dall’inquinamento alla distruzione degli spazi vitali, dalla sovrappopolazione alla perdita delle qualità umane proprie dell’uomo, dall’eccesso di competizione all’abnorme crescita economica è stato debitamente affrontato o minimamente risolto. 

“Il declino dell’uomo” di Konrad Lorenz

Vicolo cieco

L’umanità sembra aver imboccato, anzi, un vicolo cieco e la crescita quantitativa sembra porre termine alla evoluzione creatrice che ha da sempre contrassegnato la storia della natura e dell’uomo. Lo scientismo, vale a dire l’opinione che sia reale solo quello che si può misurare o quantificare, negando quindi valore all’esperienza soggettiva ed interiore, alle emozioni, ai sentimenti, è la concezione del mondo oggi dominante che ha portato ad uno svuotamento di senso e a una progressiva disumanizzazione.  Ma, contrariamente a quanto farebbe pensare il titolo, “Il declino dell’uomo” non è il libro di un pessimista. Ci sono, malgrado tutto, ragioni per essere ottimisti:

«Non dobbiamo dimenticare quanto sia recente la nostra capacità di avvertire i pericoli di disumanizzazione che ci minacciano. L’esempio della mia stessa evoluzione scientifica dimostra che fino a poco tempo fa neppure uno studioso abituato a pensare in termini biologici aveva chiari in mente i pericoli che ci minacciano. Gli ammonimenti di William Vogt contro l’incauta distruzione delle condizioni di equilibrio ecologico non mi avevano affatto convinto (…) È stato in fondo soltanto il libro di Rachel Carson, The silent spring (Primavera silenziosa), a destare la mia attenzione, spingendomi a scendere in campo contro la tecnocrazia. (…) Tutto a un tratto vidi con chiarezza che la fede ingenua nel progresso, l’eccesso di organizzazione, l’agglomerarsi di grandi masse umane in spazi ristretti, si combinano fra loro, formando un circolo vizioso e rafforzandosi reciprocamente. Finalmente vidi come siano stretti i rapporti fra la scomparsa dei lati umani dell’uomo e l’autoannientamento del genere umano.»

D’altronde, dove deve prendere un giovane i suoi ideali? 

«Quando un giovane cresce in città, in un ambiente esclusivamente dedito a interessi materiali, industriali o finanziari, non c’è da stupirsi se egli non vede nel proprio padre, per quanto successo abbia avuto e per quanta carriera abbia fatto, un modello da imitare; tanto più se il giovane si rende conto che questi uomini di successo, costantemente sulla soglia dell’infarto, subiscono forti stress e non sono per nulla felici. (…) Un giovane che cresca nelle zone più popolate di una moderna metropoli ha poche occasioni per conoscere la bellezza e l’armonia della creazione organica. (…) C’è da stupirsi se diventa cinico e afferma che “la vita è senza senso”?».

Sennonché la sensibilità per la bellezza e l’armonia della natura ha bisogno d’essere educata. E rivolgendosi alle giovani generazioni, su cui riposa la sua (e nostra) speranza di un mutamento dei valori oggi dominanti (che si riassumono nella corsa al guadagno e al successo), ma forse anche agli educatori illuminati, Lorenz dà un consiglio da scolpire a caratteri cubitali: «la miglior scuola nella quale un giovane possa apprendere che l’universo è dotato di senso è la pratica diretta con la natura.» 

L’esempio dell’aquario

Come? Prendendosi cura di un animale, coltivando delle piante, passeggiando nei boschi. Lorenz fa l’esempio, a lui caro, dell’acquario. 

«Chi vuol mantenere vivo un acquario, infatti, non può non imparare a cogliere esattamente nelle sue armonie e disarmonie un complesso di interazioni reciproche costituito da un gran numero di sistemi, che in parte collaborano fra loro, in parte sono antagonistici: piante, animali, batteri e tutta una serie di dati inorganici. Egli imparerà quanto è sensibile l’equilibrio di un simile ecosistema artificiale. L’acquario presenta un modello in vitro di un ambiente vivo naturale».

È solo da questa pratica diretta con la natura vivente che può svilupparsi la nostra capacità di percepire la bellezza e l’armonia della natura, di riconoscere le disarmonie dei sistemi malati, di coltivare il nostro amore per tutto ciò che vive e, dunque, il senso di solidarietà che ci lega agli altri esseri viventi e agli altri uomini.  

«L’amore per ciò che vive è un sentimento importante, indispensabile. È questo amore che fa gravare sull’uomo, diventato il padrone assoluto di ogni cosa, la responsabilità di tutto ciò che vive sulla superficie del nostro pianeta.»

La scienza che integri il metodo scientifico con la ragione poetica (le emozioni naturali) non può essere indifferente ai valori superiori della vita, come vuole lo scientismo:

«ogni persona che si rallegra alla vista della creazione vivente e della sua bellezza è vaccinata contro il dubbio che tutto ciò possa essere privo di senso. La domanda sul significato della creazione organica le sembrerebbe incomprensibile, come la domanda sul significato della Nona sinfonia di Beethoven rivolta ad una persona che ama la musica.» 

Se la nostra classe politica leggesse e facesse tesoro di queste notazioni di Lorenz, se facesse meno proclami e non si limitasse ad adottare misure contingenti di emergenza o di convenienza, forse potrebbe predisporre un grande piano educativo che preveda, ad esempio, delle settimane nelle fattorie per allevare animali, nei campi da coltivare o per raccogliere la frutta, nei boschi da difendere dagli incendi dolosi, per tutti gli studenti medi, buttando finalmente al macero l’ingombrante nozionismo pseudoscientifico che si misura a peso, in chili di libri di carta patinata.