L'Aia e Kabul
di Massimo Fini - 01/02/2025
Fonte: Massimo Fini
Il Tribunale internazionale dell’Aia ha incriminato l’Afghanistan, attraverso il suo leader politico e religioso Hibatullah Akhundzada per “persecuzione delle donne, un crimine contro l’umanità”.
Un’incriminazione curiosa, bizzarra, paradossale dal punto di vista giuridico. Infatti all’Afghanistan non è riconosciuto un seggio all’Onu. Ma se l’Afghanistan non è rappresentato all’Onu, non ha un seggio all’Onu, in nome di che cosa dovrebbe subire delle sanzioni da un’Organizzazione che non lo riconosce come Stato?
Il crimine per cui è accusato lo Stato afghano, che peraltro per l’Onu non esiste, è “persecuzione delle donne, un crimine contro l’umanità”. E’ quindi una condanna non per questo o quel misfatto ma a una condizione esistenziale, a un costume. Ora la Cpi si è dimenticata che gli Accordi di Helsinki del 1975, firmati da tutti i più importanti Stati del mondo, stabiliscono il principio dell’”autodeterminazione dei popoli”, cioè un popolo può evoluire, o non evoluire, a seconda di quella che è la sua storia, le sue tradizioni, i suoi usi.
Il totalitarismo occidentale dovrebbe capire una buona volta che non tutti i Paesi del mondo devono essere costretti ad adottare il suo modello. Questa presunzione ha causato nell’ultimo quarto di secolo una serie di guerre: alla Serbia (1999), all’Afghanistan (2001), all’Iraq (2003-2007), alla Somalia per interposta Etiopia (2007), alla Libia (2011), tutte guerre a guida americana che sono venute regolarmente in culo all’Europa.
Esemplare è la guerra all’Afghanistan talebano. All’inizio si poteva anche pensare che i Talebani fossero alle spalle degli attentati dell’11 Settembre perché Bin Laden, che era ritenuto il mandante, stava in Afghanistan. Peraltro i Talebani il Califfo saudita se l’erano trovato in casa, non l’avevano chiamato loro. Dal Sudan lo aveva chiamato il tagiko Massud perché lo aiutasse a combattere un altro “signore della guerra”, Gulbuddin Hekmatyar. Il Mullah Omar definiva Bin Laden “un piccolo uomo”. Gli americani invece lo avevano tenuto in gran conto perché all’epoca dell’invasione russa li aveva aiutati in funzione anti-Urss. Ma poi si è accertato senza ombra di dubbio che la dirigenza talebana era completamente all’oscuro di quell’attentato e che nessun guerriero talebano vi aveva partecipato, c’erano arabi-sauditi, yemeniti, marocchini, tunisini ma non afghani, tantomeno talebani, così come non c’erano afghani, tantomeno talebani, nelle cellule, vere o presunte, di al-Qaeda scoperte dopo l’attentato.
La guerra all’Afghanistan, il cui sottosuolo è poverissimo di quelle materie prime che tanto fan gola all’Occidente (adesso la situazione è un po’ cambiata con la scoperta in quel sottosuolo di ricchi giacimenti di litio che è essenziale per le batterie) è stata quindi una guerra puramente ideologica. Non ci piacevano i costumi di quella gente e poiché non ci piacevano i costumi di quella gente abbiamo occupato quel Paese per vent’anni portando sul terreno uno schieramento di armati quale non si era mai visto in epoca moderna e tecnologie avanzatissime, droni compresi. Dall’altra parte c’era solo gente armata di kalashnikov e di Ied, cioè ordigni improvvisati di cui fan parte oltre alle mine anticarro quelle antiuomo di cui il Mullah Omar aveva proibito l’uso perché colpiscono in genere civili inermi, mine antiuomo, sia detto di passata, di fabbricazione italiana. Quella guerra abbiamo finito per perderla nel più umiliante dei modi. Insomma il più potente esercito del mondo era stato sconfitto da degli straccioni.
Sui Talebani sono state scritte tante e tali menzogne, o peggio, mezze verità, che posso qui enuclearne solo alcune.
Si è detto da parte di Gianni Riotta, non mi ricordo più su quale autorevole rete tv, che i Talebani avevano avuto l’appoggio determinante del Pakistan, Paese atomico, alleato degli Usa. Insomma la guerra non l’avrebbero vinta i Talebani ma il Pakistan. Ebbene la più grande offensiva anti-talebana, ma sarebbe meglio dire anti-afghana, perché ci andarono di mezzo soprattutto i civili, è stata quella compiuta dall’esercito pachistano nella valle di Swat nel 2008. Quanti siano stati i morti non si sa ma i profughi furono due milioni. Il Corriere titolerà: “Milioni di profughi in fuga”, dando a intendere che erano in fuga dai Talebani Invece fuggivano dall’esercito del Pakistan.
Si è detto fino alla nausea che nell’Afghanistan di Omar alle donne era proibito studiare. Ebbene è scritto in un editto promulgato all’epoca in cui governava Omar: “Nel caso che sia necessario che le donne escano di casa per scopi di istruzione, esigenze sociali o servizi sociali devono coprirsi concordemente alle norme della sharia islamica”. Quindi non è affatto vero che in linea di principio le donne non potessero studiare. Difficoltà vennero perché i Talebani, nella loro indubbia sessuofobia, pretendevano che gli edifici dove studiavano i maschi e quelli delle femmine fossero separati, ma impegnati nella guerra contro gli occidentali e l'Isis non ebbero il tempo di costruirli, sia detto di passata: i Talebani sono stati gli unici a combattere seriamente l'Isis, in questo aiutati da un Putin più lucido che li riconobbe come "gruppo armato, non terrorista" perché si rendeva conto che se Isis avessa sfondato in Afghanistan si sarebbe introdotto nei territori della Confederazione.
Si è detto che anche oggi le donne non hanno accesso al lavoro. Ebbene, di recente dopo un attentato dell’Isis che aveva ucciso due poliziotte afghane, si è scoperto che solo nell’apparato giudiziario lavorano duecento donne spesso in posizioni apicali.
Ma c’è da aggiungere la cosa più importante. Il Mullah Omar stroncò il traffico dell’oppio che dopo la sua decisione di proibire la coltivazione del papavero, da cui lo stupefacente si ricava, crollò quasi a zero. Una decisione difficilissima, direi epocale se si pensa alla Colombia, anche perché sugli agricoltori e sui camionisti che erano la sua base, chiamiamola elettorale, la decisione impattava in modo pesante. In ogni caso poté prendere questa decisione perché la sua autorevolezza in quell’Afghanistan era indiscussa. Aveva combattuto da semplice mujaheddin, perdendoci un occhio e subendo altre quattro gravi ferite, gli occupanti sovietici, aveva combattuto i cosiddetti “signori della guerra” (Massud, Hekmatyar, Ismail Khan, Dostum) che impegnati a combattersi per prendere il potere dopo la sconfitta dei russi, avevano fatto dell’Afghanistan terra di abusi, di soprusi, di ogni sorta di violenze, soprattutto sulle donne, cacciando dalle case i legittimi proprietari. Dirà il giovane Omar all’inizio della sua ascesa: “Come potevamo stare fermi mentre si compivano ogni sorta di abusi ai danni della povera gente e si violentavano le ragazze?”. Ebbene di questa decisione del Mullah Omar, che ha avuto ovviamente un impatto internazionale, sui giornali italiani non ho mai letto una riga tranne un pudico accenno dell’ambasciatore Sergio Romano sul Corriere.
La replica talebana è stata estremamente diplomatica, dopo aver affermato che le pretese della Cpi erano del tutto fuori dal mondo del diritto, hanno parlato di “doppio standard” intendendo dire: perché puntate solo su di noi per la questione femminile e non, poniamo, sull’Arabia Saudita, dove la condizione della donna è ben peggiore?
E adesso cosa vuole fare il Tribunale internazionale dell’Aia? Un’altra guerra di vent’anni ai Talebani? Lo si vuol capire, una volta per tutte, che una resistenza che è durata vent’anni non può esserci stata senza l’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione, anche femminile?