L’altruismo creativo in Pitirim Sorokin come risposta alla crisi
di Fabrizio Pezzani - 07/05/2024
Fonte: Fabrizio Pezzani
La lettura dei lavori di Pitirim Sorokin genera sempre uno stupore ed un’ammirazione per la sua creatività intuitiva nel sapere leggere la storia nel decorrere dei secoli e trovarvi dei legami e delle relazioni che legano cause ed effetti nel decorrere del tempo; la sua interpretazione richiama il pensiero di G.B. Vico e della sua visione della storia espressa ne “La storia nuova “. Vico richiamava la ripetitività della storia, historia se repetit, e dei suoi corsi e ricorsi storici nel senso che non vi è una meccanica ripetizione ma un susseguirsi ed alternarsi di epoche in cui tendono a prevalere modelli socioculturali opposti incardinati alla volubilità dell’animo umano sempre oscillante tra l’Eros e la Thanatos, l’amore e la morte.
Il presente lavoro si propone di dare una lettura di Sorokin legata alla sua storia personale, al legame ideale con G.B. Vico ed ancora alla sua illuminante ricostruzione dei vari periodi storici e delle loro correlazioni in un continuo di cause ed effetti. La lezione di Sorokin basata sulla relazionalità che deve legare gli uomini come fondamento della loro continuità come società trova rispondenza nell’Economia Aziendale Italiana che come lui mette al centro del proprio interesse e dei suoi fondamenti scientifici il bene comune a cui dobbiamo sempre tornare.
1) I precedenti: G.B. Vico
La lettura dei lavori di Pitirim Sorokin genera sempre uno stupore ed un’ammirazione per la sua creatività intuitiva nel sapere leggere la storia nel decorrere dei secoli e trovarvi dei legami e delle relazioni che legano cause ed effetti nel decorrere del tempo; la sua interpretazione richiama il pensiero di G.B. Vico e della sua visione della storia espressa ne “La storia nuova “. Vico richiamava la ripetitività della storia, historia se repetit, e dei suoi corsi e ricorsi storici nel senso che non vi è una meccanica ripetizione ma un susseguirsi ed alternarsi di epoche in cui tendono a prevalere modelli socioculturali opposti incardinati alla volubilità dell’animo umano sempre oscillante tra l’Eros e la Thanatos, l’amore e la morte. Il pensiero di Vico che apparve nel 1717 rimase oscurato fino alla sua riscoperta da parte di Benedetto Croce quasi duecento anni dopo e così sembra anche il destino di Sorokin le cui conclusioni sulla dinamica sociale sembrano scritte oggi con una puntualità che lascia sbalorditi. La lettura di Sorokin giustifica l’attenzione alle intuizioni di G.B. Vico che sono fondamentali per capire l’analisi dell’evoluzione storica intrapresa da Sorokin. Le intuizioni di Vico, come accennato, sono rimaste a lungo in ombra perché il suo pensiero era controcorrente, prevaleva a quel tempo l’approccio di Cartesio alla metodologia scientifica che imponeva un indirizzo teorico che si autoassolutizza. Ma secondo Vico, questione centrale in Sorokin, il metodo scientifico basato sulla razionalità cartesiana faceva perdere di vista la dimensione integrale dell’uomo ponendo questa al di fuori degli schemi culturali della razionalità cartesiana.
Allo stesso modo oggi si ripete culturalmente quel contesto storico, noi oggi viviamo nel culto della tecnica assunta come valore assoluto ed incontrovertibile ed in questo modo stiamo perdendo il rapporto con l’essenza stessa dell’umanità dell’uomo che mettiamo in secondo piano, la tecnica è il fine e l’uomo è il mezzo.
In questo senso Vico si richiamava allo studio delle discipline umanistiche occupandosi non solo del vero ma anche del verosimile e richiamava l’utilità di occuparsi di quelle che venivano definite scienze umane che richiedono metodi, criteri diversi da quelli usati nelle scienze della natura che, come ricordava Galileo, sembra scritta in formule matematiche per cui l’uomo non inventa ma scopre la matematica.
Un altro passaggio di Vico che lo unisce a Sorokin è il principio del “verum ipsum factum”, cioè si conoscono solo le cose che si fanno. La “Natura “che si definiva come “Madre “può essere conosciuta nella sua essenza solo da Dio che ne è il creatore. Vico ha ben presente di riaffermare e valorizzare il ruolo dell’uomo, come farà Sorokin, sia come soggetto di conoscenza vera sia come oggetto di un sapere diverso da quello delle scienze naturali: l’uomo fa la Storia e la ordina secondo le caratteristiche del suo essere, della sua natura che non cambia mai sempre oscillante fra bene e male, l’Eros e la Thanatos sopra citate. La Storia è fatta dall’uomo che la vive non come spettatore passivo perché può conoscere questo divenire, dentro la natura della mente umana, scrive Vico, nella forza del nostro intendere si possono rintracciare quei principi universali ed eterni “quali devon essere d’ogni scienza che consentono di parlare della storia come di una scienza, anzi di una scienza nuova “.
Per questo motivo Vico, come farà più compiutamente Sorokin, cerca di rispondere alla domanda se sia possibile trovare l’esistenza di costanti a tutte le società che si evolvono nel tempo al fine di offrire a chi ha responsabilità di indirizzo e di governo delle società una rotta da seguire.
Vico si sofferma sull’analisi della natura dell’uomo ed in particolare sulla sua dimensione emozionale, l’uomo è mosso dalla ragione ma anche da forti affetti e queste sue specificità condizionano l’accadere storico-culturale che può essere visto come un gioco di causa ed effetto che dipendono dalla sua dimensione psicologica. Potremmo dire dal sistema dei valori che caratterizzano quella società e quel periodo storico; per Vico, come in Sorokin, la dimensione religiosa è determinante perché la “Provvidenza “interviene nel cammino dell’uomo quando il suo procedere si allontana troppo da un giusto senso dell’esistenza. Egli studierà anche l’importanza del linguaggio e della poesia, “l’ars poetica “, che si associa alla creatività ed alla sensibilità. Il pensiero di Vico è in questo senso in linea con i “Pensieri “di Pascal che come lui vedeva i limiti del razionalismo cartesiano e lo portarono a distinguere “l’esprit de finesse “dall’” esprit de geometrie “. La conoscenza della realtà intermediata dalla tecnica allontana l’uomo dalla possibilità di fare esperienze personali e lo rende asettico incapace di relazioni vere e di capire il senso della storia perché la vede ma non la vive.
Vico descrive l’evolversi delle civiltà come una sequenza, ogni civiltà ha un suo corso fondamentale, il quale giunto all’apice si blocca ed entra in crisi così principi e stili di vita si indeboliscono, si degradano e davanti ad una fase di regressione verso la barbarie caratterizzata da violenza ed egoismo che richiedono un radicale ripensamento.
Di qui il continuo alternarsi di periodi storici che lui definisce: il tempo degli dèi, il tempo degli eroi ed il tempo degli uomini barbari il cui dramma sociale porta la “provvidenza “ad intervenire per ritornare al tempo degli Dei, un tempo in cui i valori spirituali sono dominanti.
La lettura di Pitirim Sorokin
Per capire meglio il suo pensiero la lettura della sua vita è di sicuro viatico nella sua varietà ed imprevedibilità che gli ha concesso di vivere in contesti socioculturali profondamente diversi e capirne le differenze sotto gli aspetti sociali, culturali e materiali. In “Sociology of my mental life “del 1963 a pag.7 scrive: “probabilmente l’aspetto più significativo della mia vita è quello avventuroso. In settantatré anni sono passato attraverso le più diverse atmosfere culturali: la cultura komi di cacciatori e pescatori; quella agricola e urbana russa ed europea ed infine la cultura tecnologica e megapolitana degli Stati Uniti. Ho iniziato la mia vita come figlio di un povero artigiano itinerante e di una contadina. In seguito, sono divenuto bracciante agricolo, artigiano ambulante, operaio di fabbrica, impiegato, insegnante, direttore di coro, rivoluzionario, prigioniero politico, giornalista, studente, direttore di giornale, membro del gabinetto Kerensky, esule, professore in università russe, cecoslovacche, americane e studioso di reputazione internazionale. Ma ho avuto anche modo, sebbene in misura modesta, di essere sfiorato dalla gioiosa grazia del lavoro creativo. Queste esperienze mi hanno insegnato molto più di quanto non abbia appreso dagli innumerevoli libri che ho letto e da tutte le conferenze che ho ascoltato “. Poi prosegue: “Nonostante il basso tenore di vita materiale la mia fanciullezza fu ricca di gioie, dolori, avventure, esperienze…Nella mia visione del mondo idealistica (è una classificazione di periodo storici su cui torneremo, n.d.r.) convivevano armonicamente i valori di Dio e natura, verità, bontà e bellezza, religione, arte ed etica “. (ibidem 12-14).
Qui viene fuori la sua anima di preacher -teacher e la sua vicinanza alla visione di Tolstoi ed il suo rifiuto di ogni forma di violenza e l’opera “Guerra e pace “viene richiamata nella sua visione delle alternanze dei periodi storici in cui la genetica aggressività umana genera un dolore che porta alla saggezza ed a forme di amore segnando in questo le diverse epoche storiche. La visione di Sorokin sul bene e sul male durerà tutta la sua vita portandolo alla sua ultima idea centrata sull’altruismo creativo intorno “alla saggezza del detto biblico di dare qualcosa agli altri senza attendere nulla in cambio. Raramente si conoscono tutte le conseguenze delle proprie azioni. Tuttavia, sembra che le buone azioni producano buone conseguenze mentre quelle cattive, ricadano sul capo di chi le ha commesse producendo risultati disastrosi. Probabilmente anche nel mondo umano è operante una legge di conservazione dell’energia delle azioni umane (in qualche misura simile alla legge fisica di preservazione dell’energia e della materia). Forse nessuna delle nostre azioni svanisce completamente ma continua a produrre conseguenze a breve e medio termine “(A long journey, pag 79).
La convinzione biblica e di Tolstoj che l’amore salva, le esperienze personali, spesso difficili ma gratificanti, la formazione scientifica ed infine i gravi momenti del declinante periodo sensistico spingeranno Sorokin verso lo studio dell’altruismo creativo. Come vedremo questo passaggio culturale segna la via da seguire per non trovarsi ancora davanti al caos e rappresenta la sintesi conclusiva del suo percorso di studi. Nel 1949, infatti, fonderà un centro ad Harward per sviluppare questo percorso socioculturale di sviluppo che ritiene fondamentale per riportare l’uomo all’antica saggezza e lo denominerà: “Harward Research in Creative Altruism “allo scopo di favorire lo studio di azioni sociali e politiche idonee a modificare il sistema delle relazioni sociali in senso altruistico superando il mostro del “bellum omnium contra omnes “che disintegra i sistemi sociali.
La vita lo ha portato a vedere e vivere in prima persona gli eventi epocali del secolo scorso ed anche lui proverà a rispondere all’eterna domanda posta da G.B. Vico: “Historia se reptit? “, per Vico l’interrogativo era superfluo ma non aveva i mezzi per poterlo dimostrare cosa che invece affrontò Sorokin.
Per cercare un percorso in grado di rispondere alla domanda Sorokin con i suoi collaboratori affronta un lavoro colossale studiando la storia dell’uomo a partire dalle prime forme di civiltà ed in particolare tutto ciò che nei differenti periodi storici caratterizza lo spirito dei differenti periodi storici in tutte le manifestazioni dell’uomo da quelle artistiche, letterarie, manifatturiere, scientifiche e belliche. Il volo sulla storia così analizzata porta il confronto a 28 secoli, sarà proprio lui a coniare il termine “socioculturale “per esprimere come lo spirito dei differenti tempi contribuisca a formare e determinare le espressioni vitali dell’uomo in ogni suo ambito di attività.
Questa lungo cammino di studio e di analisi vuole dimostrare che la storia segue un percorso altalenante in linea con l’intuizione di Vico e come i periodi si caratterizzino fortemente per il sistema di valori che influenzano i vari periodi storici determinando un continuum tra di loro in modo tale che ognuno di essi è influenzato, risulta una conseguenza, del precedente periodo storico ed a sua volta determina e condiziona il sistema di valori del periodo successivo. Il modello di valori che caratterizza un determinato periodo storico informa tutte le attività dell’uomo in qualunque campo esse si svolgono, esiste una stretta correlazione tra sistema di valori e comportamenti umani.
Per potere cogliere le relazioni di causa ed effetto nella storia è necessario portare l’attenzione sul più ampio spazio temporale possibile per riscontrare le coincidenze e la ripetitività delle azioni umane.
L’intuizione da cui parte Sorokin è quella di dimostrare che la storia segue un percorso altalenante, in linea con quanto sosteneva Vico, in relazione al fatto che i periodi storici, come visto, si differenziano per il sistema dei valori che li contraddistinguono. Il modello dei valori diffusi che caratterizza un determinato periodo storico informa tutte le attività dell’uomo in qualunque campo esse si svolgano; Sorokin si pone il problema di verificare le leggi della dinamica sociale e culturale ed i principi da cui scaturiscono prendendo in esame l’intero arco storico a cui si può ragionevolmente arrivare.
L’analisi lo porterà a vedere l’alternarsi di due modelli socioculturali definibili come ideali archetipi così come aveva fatto Vico con il tempo degli dèi, degli eroi e degli uomini barbari. Sorokin però specifica che “nessuno dei due sia mai esistito nella loro forma pura (…) ma ogni cultura integrata però è composta da qualche combinazione di queste due formule …Alcune culture si avvicinano di più all’una o all’altra o altre sono una sintesi equilibrata di entrambi i tipi puri “(La dinamica sociale e culturale, pag 129).
Le due culture identificate come archetipi a cui riferire l’evoluzione delle società nel tempo sono le seguenti:
a) ideazionale: “la realtà viene vista come non sensibile ed immateriale, i bisogni hanno caratteristiche prevalentemente spirituali…possono essere soddisfatti ad alto livello.nel minimizzare o eliminare la maggiore parte dei propri bisogni fisici; (questo archetipo è configurabile in Vico come il tempo degli dèi)”;
b) sensistica: “la mentalità sensistica ritiene reale solo ciò che è presente agli organi di senso. Essa non ricerca e non crede in alcuna realtà sovrasensibile…è concepita come divenire, progresso, trasformazione. I suoi bisogni sono fondamentalmente fisici e se ne cerca la massima soddisfazione (il “carpe diem “). Il metodo per la loro soddisfazione non consiste nella modificazione degli individui che fanno parte di una cultura ma nella modificazione o sfruttamento del mondo esterno…In sostanza la cultura sensistica rappresenta l’opposto della cultura ideazionale (op.cit. pag.134). Questo archetipo di Sorokin si assimila al tempo dei barbari indicato da Vico, da una parte una dimensione spirituale rivolta al cielo dall’altra una dimensione materialista rivolta alla terra ed al soddisfacimento immediato dei bisogni.
c)idealistico: vi possono poi essere modelli socioculturali che nel tempo si avvicinano più o meno ai punti estremi dei due modelli indicati. Sorokin individua un modello di equilibrio tra i due che definisce “idealistico “, una forma mista che sintetizza le premesse di valore di entrambi i tipi in una unità intimamente coerente ed armoniosa. La realtà si presenta in ciò che ha di materiale ed in ciò che ha di spirituale sia sotto l’aspetto di essere eterno sia sotto l’aspetto di divenire continuamente cangiante. Fini e bisogni sono spirituali e materiali ma lo spirituale subordina il materiale. I metodi per il loro soddisfacimento implicano sia la modificazione dell’io sia la trasformazione del mondo sensibile esterno; in altre parole, questa mentalità dà il “suum cuique “al tipo ideazionale ed al tipo sensistico (La dinamica, op.cit.).
L’analisi della storia a partire dalla civiltà cretese-micenea del XII-XI sec. a.C. fino ai tempi odierni – i suoi ma di fatto i nostri – lo porta ad identificare i periodi e le culture correlate in una forma di alternanza così che al collassare dell’una in relazione alle sue evidenti limitazioni nel rispondere ai bisogni della società un nuovo modello culturale tende a presentarsi ed a sostituirsi al precedente ponendo valori in grado di rispondere ai bisogni rimasti insoddisfatti dal precedente modello. Quello che emerge nell’analisi di Sorokin sulle varie fasi temporali al momento del cambiamento che può durare a lungo sono l’intensità delle guerre e l’instabilità sempre più evidente della società-civiltà che la porta al collasso.
I modelli socioculturali si caratterizzano per il principio di verità prevalente,
in un modello ideazionale il principio di verità sarà legato ad una dimensione spirituale trascendente religiosa o fideistica; il Medio Evo si caratterizza per questo senso valoriale che accompagna ogni attività dell’uomo, le chiese gotiche sembrano bibbie di pietra, la scultura e la pittura così come la letteratura sono profondamente ascetiche. Il Medio Evo è la risposta al crollo del modello sensistico del tardo Impero Romano e riporta l’uomo alla spiritualità in una sorta di catarsi preparando l’animo umano alla creatività del Rinascimento che non avrebbe potuto esserci senza il Medio Evo. Proprio nel Rinascimento l’uomo torna a guardare la terra e ad una dimensione sensistica dominata dalla spiritualità e l’arte ne subisce le conseguenze, infatti, per la prima volta nella storia il Cristo crocifisso di Cimabue rappresenta una figura umana sofferente vicino alla realtà e non idealizzata.
“Va chiaramente compresa in particolare la profonda differenza tra la verità di fede ideazionale e la verità dei sensi o sensistica. Se ognuna di esse è considerata come “la verità, tutta la verità niente altro che la verità” non sarà possibile conciliarle: quel che appare vero dal punto di vista ideazionale è considerato frutto di ignoranza e di superstizione dal punto di vista sensistico e viceversa. Infatti, molte verità rivelate religiose, sotto l’aspetto esclusivo della verità dei sensi sono assolutamente false e viceversa. Ciò spiega l’aspro scontro tra i due modelli nei periodi di transizione dall’uno all’altro “(La dinamica sociale e culturale, pag.130).
Sorokin costruisce una vastissima documentazione empirica per dare conto delle sue tesi e validare l’alternarsi dei tempi storici e questo lo porterà a descrivere la crisi del nostro tempo come sensistica, il lavoro pubblicato nel 1941 rappresenta la realtà odierna con un realismo che trascende l’immaginazione.
Nello stesso libro nella prefazione viene rappresentata in sintesi la dinamica sociale dal XII sec. a C. al XX secolo ed il susseguirsi dei periodi ideazionale, idealistico e sensistico come segue:
Civiltà Periodi
Civiltà cretese-micenea XII-XI sec. a C. sensistico
Civiltà cretese-micenea X sec.a C. crisi e transizione
Grecia IX sec. a C. misto – ideazionale
Grecia VIII-VI sec. a C. ideazionale
Grecia V e IV sec. a C. idealistico
Grecia IV-II sec. a. C. sensistico
Roma III-II sec. a. C. crisi e transizione
Roma I sec. a .C misto-sensistico
Roma I-II sec. d.C. sensistico
Roma III sec. d. C. crisi e transizione
Roma IV-V sec. d. C. misto – ideazionale
Europa VI-XII sec. d. C. ideazionale
Europa XIII – XIV sec. d. C. idealistico
Europa XIV -XV sec. d. C. crisi e transizione
Europa XVI-XVII sec.d. C. misto-sensistico
Europa XVIII-XIX sec. d. C. sensistico
Europa ed Occidente XX sec.d. C. sensistico, crisi e transizione
Europa ed Occidente XX-XXI sec.d. C. guerra e transizione (?)
La transizione da un modello sensistico ad uno idoneo a recuperare una dimensione spirituale dell’uomo – diremmo riprendere il senso dell’eternità dell’anima che aveva ispirato Platone nello scrivere il Fedone – avviene con una sequenza del tipo crisi – ordalia – catarsi – carisma – resurrezione -. A conferma della fase di transizione in atto si ricorda come il secolo più ricco di guerre nella storia dell’uomo sia stato il XX secolo. In questo nuovo secolo ormai vicino al compiersi del suo quarto definito da tutti al suo inizio come il secolo della pace si è aperto sulla guerra subito le Torri Gemelle poi l’Afganistan, l’Iraq, la Siria, la Libia, il Libano, l’Ucraina e poi? A compimento dell’intuizione smentita dai fatti l’Accademia delle Scienze ha celebrato con il Nobel per la pace Obama ed Al Gore rappresentanti della nazione, gli Usa, più bellicosa nella storia dell’uomo.
L’altruismo creativo
Sorokin nel disegnare i corsi e ricorsi storici conclude la sua visione storica con l’idea che non ci stiamo trovando di fronte ad una crisi ordinaria che capita più o meno ogni decennio ma di fronte ad una crisi straordinaria che capita quando ad un modello socioculturale in fallimento ne subentra uno nuovo in grado di rispondere in modo nuovo ai bisogni che fanno collassare le società.
Per questo istituisce ad Harward il centro sull’altruismo creativo con grandi intuizioni e suggestive proposte ma la passività culturale del tempo subordinata alla tecnica finiranno per farlo passare quasi inosservato.
La sua interpretazione sulla crisi rappresenta un monito, un invito alla reazione ed a promuovere un cambiamento dei sistemi relazionali dall’interno della società e non dall’esterno, cambiare la gerarchia dei valori per cambiare la società; nonostante il suo progressivo isolamento accademico in cui la tecnica fa da padrona trasformerà la sua sociologia della crisi in sociologia della ricostruzione.
La fondazione del centro nel 1949 grazie alla donazione di Eli Lilly un ricco benefattore, spiega come passare dal bellum omnium contra omnes alla relazionalità sociale ed affettiva, l’anno prima aveva pubblicato “The Reconstruction of Humanity” manifesto del suo progetto di ricambio sociale per rendere gli uomini meno egoisti e più creativi in una fase storica che Vico definiva il tempo dei barbari e nel 1727 definiva come segue con una descrizione completamente adatta al nostro tempo:
“Ma se i popoli marciscano in quell’ultimo civil malore…accostumati di non altro pensare ch’alle particolari proprie utilità di ciascuno. allora la provvidenza a questo estremo pone rimedio. al fine che così ritorni la pietà, la fede che sono i naturali fondamenti della giustizia e sono grazie e bellezza dell’ordine eterno di Dio “, (G.B. Vico, La Scienza Nuova, pp.704 e seguenti).
In questo modo la visione di Sorokin richiama nell’analisi quella di Vico a conferma della ripetitività della Storia così dinnanzi al pericolo di una guerra atomica capace di mettere fine al destino ed alla missione dell’uomo su questo pianeta, Sorokin vede la necessità di fare leva sull’uomo per rigenerare il suo animo verso un pathos spirituale scomparso.
Quanto più l’uomo diventerà altruista tanto più il pericolo della scomparsa della razza umana si allontanerà; è necessario quindi sviluppare al massimo quelle energie altruistiche e creative “sovraconsce “donate da Dio all’uomo. Per favorire l’accettazione di questa visione Sorokin lavorerà alla nascita dell’uomo integrale in un clima ostile e di derisione.
Pur di fronte alla chiusura del centro alla fine degli anni cinquanta Sorokin lavora alacremente promuovendo diversi studi e volumi come “ The american sex revolution “ , Power and Morality” ( 1959 ) sull’immoralità della “ ruling élite “ tanto più corrotta quanto più assoluto è il suo potere , “ A long Journey “ ( la sua autobiografia ) ed infine nel 1964 “ The basic trends of our time “ in cui prevede la nascita di un ordine integrale ( idealistico ) che riunirà le differenti culture in un'unica via di salvezza per l’umanità.
Rileggendo Sorokin e le sue interpretazioni della storia non possiamo non vedere la sua nitida preveggenza ma anche il caos che prevedeva come stato intermedio; quale sarà la nostra sorte? Possiamo solo sperare che l’uomo non ponga fine alla sua missione con una terribile ordalia concludendo con l’ultimo paragrafo del suo libro “La crisi del nostro tempo “del 1941:
“Volent fata ducum, nolentem trahunt. Meno ci sforziamo di capire meno liberamente e di buon grado potremo scegliere la sola via di salvezza aperta e più dura sarà la coercizione, più spietata l’ordalia, più terribile il dies irae ovvero il giorno dell’ira e della transizione. Speriamo ci sia accordata la grazia di comprendere e potere scegliere la strada giusta prima che sia troppo tardi; la via che non porta alla morte, ma all’ulteriore compimento, da parte dell’uomo della sua missione creativa ed unica su questo pianeta. Benedictus qui venit in nomine Domini.” (Op. cit., pag 284).
L’Economia Aziendale Italiana sul sentiero di Sorokin
L’Economia Aziendale Italiana è la scienza economica che più si avvicina al pensiero di Sorokin ed alle sue intenzioni pur sviluppandosi in un contesto storico e geografico diverso ma la natura dell’uomo non cambia mai anche se cambiano le sue collocazioni; riflette la nostra storia e la sua tensione profonda alla solidarietà. La nostra storia e le vicissitudini che hanno contribuito a formare un modello socioculturale aggregativo suggeriscono la strada per riorientare il percorso degli studi aziendalistici verso la ricomposizione dei valori sociali e relazionali che sono alla base della sopravvivenza di tutte le società nella storia. Come già segnalato è fondamentale per capire il ruolo di ogni scienza la definizione dei fini e dei mezzi mentre nell’Economia Aziendale Italiana è ben chiaro che il fine è il valore umano a cui indirizzare l’attività economica d’azienda che ne è il mezzo nella cultura oggi prevalente del liberismo monetario è vero il contrario perché il fine è la massimizzazione del risultato economico mentre il bene comune, diventato mezzo, si subordina al bene individuale.
Il problema della definizione dei fini e dei mezzi riguarda tutte le scienze e per l’economia parte da lontano infatti già Aristotele parlava di crematistica che definisce la produzione della ricchezza che non ha come fine la vita felice e buona ma l’incremento di altra ricchezza così la ricchezza da mezzo diventa fine. Lo sviluppo dei due modelli porta a risultati asimmetrici e la storia dimostra sempre che il fine della produzione di ricchezza è il bene comune mentre la esclusiva ricerca del bene personale genera un sistema amorale come vediamo oggi.
Il profondo e distintivo significato degli studi di Economia Aziendale si lega all’interpretazione dell’economia come scienza sociale che, come tale, non può prescindere dalla soggettività dell’uomo la cui mutevole natura non consente di definire leggi universali come avviene, invece, per le scienze positive.
Il perseguimento del bene comune è il tema centrale dell’Economia Aziendale Italiana ed è la finalità posta alle aziende delle varie categorie; la nostra scienza definisce lo studio degli istituti a cui afferiscono le relative aziende, intese queste come l’attività economica degli istituti a cui sono asservite. Gli istituti sinteticamente possono essere divisi in quattro macrocategorie: famiglie, imprese, istituti pubblici ed istituti senza finalità di lucro o non profit; sono gli istituti che definiscono le finalità e le aziende sono il mezzo con cui gli istituti perseguono i loro fini che possono essere non solo economici come succede per le famiglie, gli istituti pubblici e le non profit. Questa distinzione è fondamentale per capire il nesso tra gli studi di Sorokin e l’Economia Aziendale Italiana.
Le aziende sono al servizio degli istituti e degli uomini che vi pertengono, il bene degli istituti è finalistico ma l’azienda è il mezzo esattamente il contrario di quanto succede oggi e del pensiero di Sorokin.
Il tema del bene comune è un’aspirazione, oggi diremmo utopica, che è stato posto con forza da quando l’uomo ha coscienza della vita comunitaria ed in particolare dai filosofi greci. Aristotele parlava di felicità come mutua influenza tra bene personale e bene collettivo, nell’accezione usata nella ‘ Etica Nicomachea tale processo viene definito con il termine di eudaimonia, l’etimologia del termine deriva dal greco antico “eu” che sta a significare buono e “daimon “che significa genio. L’insieme dei due termini porta alla vita felice che si realizza in armonia con gli altri e non nella ricerca del piacere e dell’interesse immediato come risulta essere nel moderno materialismo che Sorokin definirebbe sistema sensistico.
L’eudaimonia comprende dunque non solo il benessere individuale ma anche un percorso di integrazione con il mondo circostante. La vita comunitaria è sempre stata intesa come un difficile percorso verso la composizione di una società giusta da realizzarsi con il contributo e la rinuncia di tutti i membri di una organizzazione umana.
Su questa linea di pensiero l’Economia Aziendale Italiana indica il bene comune come un valore che non potendosi ottenere singolarmente da una persona deve essere perseguita in una data situazione sociale per il bene degli uomini rettamente inteso con riferimento alle loro finalità naturali e soprannaturali ; in questo senso la nostra scienza condivide con Sorokin la trascendenza della dimensione spirituale e si identifica fortemente con una visione cristiana della vita anche quella economica .
In questo senso il bene comune non è una semplice somma di quello dei singoli soggetti ma è e rimane indivisibile perché realizzabile solo con la partecipazione di tutti fino a quando le condizioni di condivisione non possono più essere rispettate. I singoli istituti perseguono il bene comune in un sistema interdipendente con tutti gli altri, l’interdipendenza è elevata ed indispensabile data la divisione del lavoro che presiede agli scambi economici, la coordinazione ordinata di tutti gli istituti significa la partecipazione ad un bene comune sovraordinato a tutti gli istituti come bene comune di un sistema socioeconomico.
Il bene comune travalica i soli principi economici e conferma la centralità della persona nell’economia contribuendo a fare coincidere la responsabilità economica con quella sociale sia nei confronti dei membri dell’istituto sia nei confronti dei terzi sui quali l’istituto esercita una forma diretta o indiretta di influenza.
Questa è la visione della “comunità sociale “che in Economia Aziendale orienta nel tempo la comunanza degli interessi in una logica collaborativa e non conflittuale che unisce il bene comune di ciascun istituto in quello di ordine superiore cui pertiene.
Il concetto di contemperamento e di collaborazione è importante perché presuppone la rinuncia alla soddisfazione di tutti i bisogni personali a favore di un interesse comune e questo presuppone un’alleanza che può essere in vario modo informale, quando le comunità sono semplici, ma formale quando sono complesse.
La definizione del bene comune ha componenti valoriali misurabili e quantitativi ma anche valoriali non misurabili come succede alla sfera emozionale ed affettiva dell’uomo, in questo senso le due dimensioni misurabili e non misurabili, queste sono di gran lunga superiori alle prime, rendono sempre aperto uno spazio di negoziazione e ridefinizione del bene comune specie quando le variabili sterne legate ai mercati diventano non prevedibili come succede al giorno d’oggi. Così il bene comune nel tempo diventa dipendente dall’evoluzione della tecnica, dalla variabilità dei bisogni e dalla loro gerarchia assumendo la dimensione di un pendolo alla perenne ricerca di un suo equilibrio evitando di andare agli estremi che la storia ha dimostrato essere fallimentari.
La differenza fondamentale per la nostra scienza con il liberismo finanziario che oggi sembra non essere scalfibile anche se le sue tesi sono scientificamente infondate trova nella definizione del bene comune l’espressione maggiore di asimmetria. Mentre nell’Economia Aziendale l’ipotesi di scienza sociale su cui nella realtà risulta fondata e come tale non può prescindere dalla soggettività dell’uomo che ne è l’attore principale , nel modello liberista l’ipotesi di partenza è che l’economia , contrariamente al suo DNA , è una scienza esatta e come tale sempre misurabile così dando al requisito della misurabilità la componente fondamentale dei fenomeni economici finisce per fare delle teorie solo su quelli misurabili che sono di gran lunga in numero inferiore agli altri non misurabili . Le due teorie si muovono su percorsi sempre più divergenti ma la realtà mostra ora nei fatti il dramma causato dal pensiero unico neoliberista che ha innalzato una finanza senza fondamento scientifico a pietra sacrale a cui innalzare il nostro sistema sociale che ne viene così collassato.
La competizione collaborativa: il ruolo del capitale sociale
Come sopra evidenziato l’Economia Aziendale italiana segue un percorso sociale privilegiando la collaborazione competitiva alla competizione distruttiva tipica del modello liberista; la diversità delle posizioni sta ancora una volta nella diversa definizione dei fini e dei mezzi, in Economia Aziendale il fine è il miglioramento della società perché il capitale sociale è fondamento di quello economico come dimostra la storia. Il modello liberista ragiona in modo opposto mentre il fine è l’accrescimento della ricchezza tramite l’economia, oggi dobbiamo dire la finanza, perché questo migliora l’equilibrio sociale così si contrappongono due modelli antagonisti assoluti ma la storia dimostra che solo un alto capitale sociale è la condizione preclusiva per avere anche un buon capitale economico e non viceversa.
“Nel gennaio del 2011 veniva pubblicato: “La competizione collaborativa. Ricostruire il capitale sociale ed economico “in cui si cercava di dare evidenza empirica a queste tesi:
1)Lo sviluppo del capitale sociale (cioè la capacità di stare assieme, di condividere e, in senso economico, una bassa disuguaglianza nella distribuzione del reddito) di una società (una società umana, quale essa sia) è condizione necessaria allo sviluppo del suo capitale economico (cioè della sua economia);
2)Un impoverimento del capitale sociale (contrazione della tensione alla dimensione di socialità dei suoi membri e aumento delle disuguaglianze) di una società o di un’istituzione conduce ad un impoverimento del capitale economico complessivo.
3)Mentre un incremento del capitale economico di un singolo – persona , istituzione pubblica o privata , è possibile anche in condizioni di concorrenza competitiva con il sistema di mercato assunto come verità , ma a discapito del capitale economico di altri soggetti , con conseguente aumento delle disuguaglianze , perseguimento del bene individuale, conflittualità permanente ; l’incremento del capitale sociale di un territorio / società / istituto è invece favorito da condizioni di competizione collaborativa , con la conseguente capacità di ridurre i conflitti e le disuguaglianze per la maggiore tensione verso un bene comune.
4)L’erosione del capitale sociale quando prevale una competizione orientata a massimizzare il capitale economico di un singolo nel tempo porta all’erosione del capitale economico collettivo. La ricostruzione durevole di quest’ultimo può essere fatta solo a condizione di ricostruire il capitale sociale come suo elemento portante.
5)La ricerca esclusiva della massimizzazione del risultato del singolo non coincide con la massimizzazione del risultato di sistema sia sociale che economico ma vi si contrappone. Il “liberismo “che, senza un ordine morale, si afferma è sempre e solo quello del più forte come affermava Tucidide ne “La guerra del Pelopponeso “circa 2400 anni a.c.: “Non stabilimmo noi tale legge (del più forte) e neppure ci distinguiamo nel volerla applicare: c’era e ci sarà, in quanto è voluto dalla natura che gli uomini più forti esercitino il potere.
6)Infine dal punto di vista della loro determinazione, tecnicamente, va precisato che il capitale sociale è un valore immateriale, qualitativo e solo in parte misurabile e spesso non lo è nei suoi aspetti importanti mentre quello economico è materiale, quantitativo e misurabile. Il primo si forma negli scambi relazionali fra uomini, il secondo si forma tra scambi monetari ed economici nei mercati: ecco perché le modalità di misurazione sono diverse, limitate nel primo, tendenzialmente esaustive nel secondo. Entrambi si compongono di un dare e di un avere ed il loro saldo può essere negativo o positivo; se negativo in economia abbiamo una perdita economica e/o finanziaria, nella società la perdita si traduce nella disgregazione delle relazioni e nella frammentazione della stessa.
Se un imprenditore in presenza di difficoltà occupazionali riesce a realizzare profitti tramite lo sfruttamento di mano d’opera sottopagata, egli realizza un guadagno personale ma brucia capitale sociale. Se un dipendente pubblico svolge il suo lavoro correttamente nel rispetto dei bisogni sociali genera capitale economico e sociale collettivo; se disattende il suo lavoro brucia capitale sociale per fini personali.” (Fabrizio Pezzani, È tutta un’altra storia. Ritornare all’uomo ed all’economia reale, Università Bocconi Editore, 2013, pag. 1 e seg.)
Le conseguenze delle azioni nei due campi sono correlabili perché esiste una stretta interdipendenza tra le dinamiche dei due valori e dei loro risultati. La ricerca del massimo dell’uno, il capitale economico individuale se realizzata con l’erosione del capitale sociale porta inesorabilmente ad una perdita di sistema e ad un suo fallimento come purtroppo siamo costretti oggi a constatare con una società occidentale in dissoluzione. Il capitale sociale è fondamento di quello economico e ne condiziona lo sviluppo; ogni società umana ha un bilancio composto da un conto economico e da uno stato patrimoniale sociale, l’obiettivo di lungo periodo di una società, cioè il suo fine, è la conservazione del capitale sociale operando tramite la combinazione dei fattori economici cioè il mezzo.
In definitiva, come è già stato scritto, abbiamo scambiato il mezzo con il fine e pensiamo di risolvere i problemi del depauperamento del capitale sociale, ridotto a mezzo, facendo ricorso alla dinamica economica, diventata fine con il ricorso alle regole ma se non si ridefinisce il fine non si risolverà mai il problema perché nel lungo tempo le regole vengono sempre sottomesse al fine.
In conclusione, anche l’Economia Aziendale Italiana ripercorre le tracce di Sorokin condividendo i fini ed anche i mezzi perché la competizione collaborativa può essere assimilata nel terreno economico all’altruismo creativo.