L'anta destra e l'anta sinistra delle porte aperte
di Andrea Zhok - 14/07/2023
Fonte: Andrea Zhok
La politica della porte aperte della Meloni con l'ultimo decreto flussi (452.000 ingressi entro due anni, a quanto pare) ci ricorda un piccolo dato. Si è spesso detto che "ci vogliono governi di sinistra per fare politiche di destra", e l'esempio attuale del "liberi tutti" sul fronte sbarchi da parte di un governo sedicente di destra ci ricorda che vale anche la conversa: "ci vogliono governi di destra per fare cose di sinistra".
Il vero problema è che continuare a parlare di destra e sinistra è qui il vero inganno.
I governi di sinistra non fanno genericamente "politiche di destra", ma fanno quelle politiche di destra che servono ai meccanismi di autoriproduzione del grande capitale, e solo quelle (liberalizzazioni, privatizzazioni, introduzioni di parametrazioni produttiviste nel pubblico impiego, ecc.). Se facessero senz'altro "politiche di destra" uno si potrebbe aspettare, chessoio, un tentativo di auotonomizzazione nazionale, una presa in carico della formazione culturale classica, invece no, su tutte quelle cose impera il silenzio.
I governi di destra peraltro non fanno genericamente "politiche di sinistra", ma di nuovo solo quelle politiche di sinistra che servono i meccanismi di autoriproduzione del grande capitale (ingresso di forza lavoro migrante al massimo ribasso, europeismo tanto al chilo per riuscire a vendere un po' di armi, ecc.).
Nel contesto odierno, finché ci concentriamo su destra e sinistra ci bendiamo testardamente gli occhi autocostringendoci a non vedere la realtà.
E la realtà è ben diversa anche da quella che i politici più sgamati spesso si convincono che sia. Non si tratta, come alcuni ritengono, di accettare il governo de facto dell'economia sulla politica. Per quanto devastante da ammettere in una cornice che ancora si intende come democratica, questa ammissione non sarebbe il peggio.
Il peggio è che non è l'economia in senso astratto a governare, ma l'economia nel senso più pericoloso e controproducente, cioè l'interesse economico di breve periodo.
Non è che l'ingresso indiscriminato di migranti sia, sì, un problema per la compattezza sociale, per la cultura, per il welfare, per il sistema sanitario nazionale, per il sistema scolastico, ecc., MA sia un bene per l'economia. No, è un bene per l'economia SOLO nel breve periodo, in cui riesci a ottenere mano d'opera di base con salari di sussistenza che giustamente nessun cittadino normale accetterebbe. Ma nel medio e lungo periodo, mentre 100.000 italiani con formazione medio-alta se ne vanno ogni anno all'estero, simultaneamente esplodono i "costi di transazione": esplodono le spese pubbliche e private legate alla degenerazione dell'offerta pubblica di servizi, e legate all'incremento delle esigenze di sicurezza.
Per prendere un esempio recente, danni alla Francia prodotti dalle tensioni etnico-economiche ricorrenti non sono i 5 giorni di devastazione una tantum, ma l'enorme apparato di bastoni e carote, che deve crescere indefinitamente per tenere il fenomeno più o meno sotto controllo.
Ecco, oggi ad un politico forse non si può chiedere di muoversi (non troppo nettamente) in senso antieconomico, ma si potrebbe e dovrebbe chiedergli di muoversi avendo d'occhio almeno l'interesse economico di lungo periodo.
Se invece devi fare da portalettere delle veline dei fondi di investimento possiamo serenamente sostituirti con un AI, con la ragionevole certezza che peggio non potrai fare.