L'antipensiero occidentale
di Daniele Perra - 23/09/2022
Fonte: Daniele Perra
Ci sono alcuni dati che molti “analisti”, giornalisti (o presunti tali) dimenticano (sia per evidenti limiti cognitivi, sia per malafede) nell'osservazione della realtà a noi contemporanea: 1) la storia non si riduce agli eventi degli ultimi due mesi; 2) la geografia non si combatte con le sanzioni economiche.
La Guerra di Crimea (1853-1855), ad esempio, fu particolarmente traumatica per l'autocoscienza del popolo russo. Questo, in particolare, non riuscì a sopportare il fatto che l'Europa (spinta dalla potenza talassocratica britannica) fece fronte comune in aiuto dell'ormai declinante Impero Ottomano per motivazioni squisitamente geopolitiche (frenare la proiezione di influenza russa verso il Mar Nero, i Balcani e gli Stretti), dopo che la stessa Russia contribuì in modo determinante alla sconfitta di Napoleone. Dostoevskij, a questo proposito, scrisse versi infuocati: “vergogna a voi apostati della Croce che spegnete la luce divina”.
La direttrice sud-occidentale, è bene ribadirlo, è stata quella per la quale la politica estera dell'Impero zarista ha avuto storicamente maggiore interesse per motivi di affinità storico-culturale legati alla presunzione di un'eredità diretta da Bisanzio e per la comunione etnica con i popoli slavi (il panslavismo, inoltre, non è altro che la diffusione nello spazio russo di sentimenti e idee proprie del romanticismo europeo, particolarmente di quello tedesco). Ancora sul finire dell'Ottocento, Vladimir Solov'ev, per bocca del personaggio del Generale, scriveva nei suoi “Dialoghi” che la Russia avrebbe dovuto spingersi oltre Costantinopoli arrivando fino a Gerusalemme (centro sacro raccontato nei resoconti di viaggio dell'igumeno Danil sin dai tempi della Rus' di Kiev).
Di fatto, la Guerra di Crimea fu solo un episodio del “Grande Gioco” (o “torneo delle ombre”) tra l'Impero zarista e l'imperalismo britannico lungo la “dorsale” che da Costantinopoli arriva all'Asia centrale.
Tuttavia, al suo termine, come oggi (si pensi alla dottrina Trenin incentrata sul riorientamento della politica estera russa verso l'Asia), gli ambienti conservatori russi proposero di volgere gli interessi nazionali dell'Impero verso Oriente “lasciando l'Europa in pace in attesa di circostanze migliori” (affermava l'ideologo di allora Michail Pogodin). Scriveva, a sua volta, il gen. Pavel Grabbe: “Se siamo destinati a diventare un regno dell'Oriente, allora il vero scenario della potenza russa si trova là. Siamo stati a lungo in Europa senza concludervi nulla. L'Europa ci è ostile, e ben poco ha preso lei da noi e noi da lei”.
Va da sé che, allora come oggi, la Russia veniva considerata dal dilagante “progressismo” europeo come un bastione della conservazione, un Impero dispotico “fuori dal tempo” dalla nociva influenza per il resto del continente che si doveva necessariamente spingere verso i consimili orientali.
Nonostante parte dell'intellighenzia russa pensò alla conquista dell'Oriente come ad una missione civilizzatrice in stile “fardello dell'uomo bianco” (sebbene declinata in alcuni casi attraverso l'idea della riscoperta della “patria primordiale” dei popoli indoeuropei, qualcosa di assai simile al mitologema del turanismo contemporaneo), le élite europee (soprattutto quelle britanniche) la interpretavano come un'espansione verso Oriente di un popolo già di suo orientale.
Tra il 1859 ed il 1897 (con l'intermezzo della vendita dell'Alaska agli Stati Uniti e la creazione di Vladivostok, la “signora dell'Oriente”), la Russia giunse fino a Port Arthur ponendo le basi per la contrapposizione con il nascente espansionismo giapponese ed il conseguente disastro bellico del 1905.
Se la conquista della Siberia fu sostanzialmente pacifica, lo stesso non si può dire per quella del Caucaso (iniziata addirittura sotto Pietro il Grande che puntava al controllo dei flussi commerciali verso l'Europa) e dell'Asia centrale. Proprio la figura di Pietro il Grande, in questo senso, fu fondamentale visto che il processo di assorbimento della cultura europeo-occidentale inziata sotto il suo regno si dimostrò determinante anche per l'assimilazione della visione geografico-ideologica fondata sulla contrapposizione tra Oriente e Occidente (caratteristica dell'Età moderna e successivamente ulteriormente estremizzata dal potere talassocratico britannico prima e nordamericano poi). Scrive lo storico Aldo Ferrari: “Alla luce di questa ridefinizione ideologica, anche la duplice natura europeo-asiatica del Paese venne ripensata come simile a quella dei nascenti imperi coloniali europei, con una madrepatria europea ed un territorio coloniale extraeuropeo”. La differenza sostanziale era data dal fatto che i territori imperiali russi non si trovavano oltremare (come il Raj britannico in India) ma erano collegati geograficamente al centro imperiale, rendendo così indefinibile una netta distinzione tra le due realtà.
Ragione per cui ogni paragone tra l'imperialismo tipicamente europeo (e quello nordamericano successivo) e l'Impero russo (ed anche sovietico) risulta decisamente imperfetta. Continua Ferrari: “La Russia non ebbe ma fu un impero. Un impero continentale e non marittimo, che procedeva sulla base di spinte espansionistiche tradizionali più che modernamente coloniali. La storia della penetrazione russa in Asia si distingue da quelle delle altre potenze europee appunto per essere storia, lentamente maturata nel corso dei secoli, di rapporti costanti, pacifici o bellici poco importa, fra Paesi confinanti. Una coscienza coloniale simile a quella che spingeva i popoli europei occidentali oltremare, i portoghesi in India, gli olandesi in Indonesia, i francesi in Louisiana, gli spagnoli in Messico, gli inglesi nel Nordamerica, non si formò presso i russi spontaneamente, ma solo più tardi, frutto anch'esso tardivo dell'occidentalizzazione violenta. Nella steppa non è ben chiaro dove e quando si varchino i confini della patria e l'espansionismo russo sia nelle terre selvagge della Siberia, sia in quelle civili dell'Asia centrale musulmana, sia nel Caucaso, assomiglia piuttosto che alla colonizzazione occidentale, all'espansionismo delle grandi potenze europee dell'epoca prenazionale: guerre di predominio, costituzione di rapporti di vassallaggio di tipo più o meno feudale, non mai creazione di un senso di vera e propria superiorità etnica”.
Qui, in poche righe sono spiegate le ragioni profonde dell'odio “occidentale” nei confronti della Russia. Alla Russia, infatti, non viene perdonato un atteggiamento verso l'Oriente del tutto “premoderno”. L'Oriente per la Russia non è mai stato un “totalmente altro”. Essa, oltre al marchio infamante di essere profondamente influenzata dal mondo turco-mongolo (a questo proposito sarà bene ricordare che vi fu chi nel Medioevo europeo elogiava i Mongoli per aver distrutto il Califfato), è colpevole di non aver trattato i popoli orientali assimilati nel suo Impero con le modalità razziste ed esclusiviste proprie del colonialismo europeo moderno. Essa, al contrario, prendendo ad esempio la Tradizione romana espressa dalla divinità tipicamente italica di Giano bifronte, ha scelto di guardare al contempo ad Oriente ed Occidente, al passato ed al futuro. In questo sì è la “Terza Roma”.
Allo stesso tempo, è bene ricordare che l'espansione verso Oriente non incontrò mai tra l'opinione pubblica russa lo stesso interesse che ebbero le vicende occidentali dell'Impero (una tendenza ancora oggi presente con forza). Anzi, per lungo tempo si nutrirono non pochi timori nei confronti dei popoli orientali (nonostante la stessa Russia accompagnò in modo quasi paternalistico la Cina nella sua declinante parabola imperiale). Così scriveva il già citato Solov’ev nella sua poesia Panmongolismo, profetizzando il crollo dell’autocrazia zarista: “Quando in Bisanzio corrotta / si raggelò l’altare del Signore / e rinnegarono il Messia / principi e sacerdoti, popolo e imperatore, / Egli sollevò dall’Oriente / un ignoto popolo straniero / e sotto il severo strumento del fato / si chinò nella polvere la seconda Roma. / Noi non vogliamo trarre ammaestramento / dalla sorte di Bisanzio caduta / e ripetono sempre gli adulatori della Russia: / Tu sei la terza Roma, tu sei la terza Roma! / Sia pure così! Il castigo divino / ha di riserva ancora altri strumenti”.
Il timore dell'Oriente è una caratteristica essenziale della cultura europea moderna. Un Oriente nel quale, però, veniva inserita anche la Russia nonostante già Caterina II considerasse il suo Impero come una “potenza europea” a tutti gli effetti. Tuttavia, la percezione europea della Russia rimaneva influenzata da secoli in cui la nobilità polacca aveva cercato (con alterne fortune) di presentarsi come “antemurale” cattolico-occidentale contro l'espansionismo russo-ortodosso (altra tendenza ricorrente nell'attualità e nutrita dalle potenze talassocratiche sebbene traslitterata nella forma di opposizione ad una forma piuttosto fumosa di neobolscevismo).
Una potenza europea sì, ma con un enorme propaggine orientale! In occasione di una vittoria sugli ottomani, il poeta Gavrila Derzavin dedicò a Caterina questi versi: “Il suo trono poni / su quarantadue colonne / sui monti di Scandinavia e Kamchatka, sui colli d'oro / dalle terre di Timur al Kuban”.
Una propaggine la cui ulteriore estensione era agevolata dall'inesistenza di reali barriere fisiche. Cosa che dimostra come l'idea di un confine dell'Europa posizionato sui Monti Urali sia piuttosto irrilevante sul piano geografico. L'Europa, di fatto, come affermava Nikolaj Danilevskij, altro non è che una penisola dell'assai più vasto continente orizzontale che dall'Oceano Pacifico arriva all'Atlantico.
In questo spazio la civiltà russa, almeno nell'ultimo millennio, ha svolto il ruolo di ponte tra le due estremità.
Pensare che la Rus' di Kiev fosse un mondo a sé (un Eden indoeuropeo privo di influenze e contatti con le circostanti popolazioni turche) è una fantasia prodotto della perversione storica operata dai pensatori del nazionalismo ucraino che si percepiscono come suoi eredi etnici diretti. Basti pensare che il metropolita di Kiev si riferiva al Gran Principe Vladimir utilizzando il termine turco “kagan”.
Allo stesso tempo, pensare che si possa combattere la geografia costruendo muri di sanzioni è ancora una volta una fantasia che ciclicamente investe il pensiero (o meglio l'antipensiero) occidentale, salvo poi infrangersi contro la realtà dei processi storici.