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L’articolo più brutale e scomodo della storia

di Giampaolo Gentili - 09/05/2020

L’articolo più brutale e scomodo della storia

Fonte: sailyx

Dai tempi dei faraoni, forse prima, il mito della vita eterna affascina gli uomini. In particolare i potenti, i quali già nell’antichità si affidavano agli stregoni, ai sacerdoti; i ‘sapienti del tutto cosmico’ godevano di stima, rispetto e venerazione forse più del sovrano stesso, visti i suoi poteri magici.
Il sacerdote vestiva un abito talare, cerimonioso (a volte pelle di pantera), aveva un bastone o un altro talismano da ostentare, e ogni genere di accortezze per distinguersi, rendersi unico agli occhi della gente, il popolo. Lui sapeva, lui aveva potere, gli altri no e guai a contestarne i dogmi, pena la trasformazione in ‘statua di sale’, o altra punizione letale.
Pur se dal presupposto sbagliato bisogna ammettere che almeno lo stregone custodiva il sapere di una visione globale delle cose: egli non curava e basta, non produceva solo elisir di lunga vita per l’imperatore o il ricco potente, ma si destreggiava con l’alchimia, l’osservazione delle stelle, fors’anche con l’animo umano. In parole povere comprendeva la visione di insieme del cosmo.
Il che non è molto distante da quanto sosteneva Socrate, cioè che l’Aretè (la virtù, la qualità) passasse attraverso la visione totale dell’uomo, fatto di anima e corpo insieme, per dirla con le sue parole quando descrive Ulisse “L’areté implica il rispetto per la totalità e l’unicità della vita e, di conseguenza, il rifiuto della specializzazione. Implica il disprezzo per l’efficienza… O, piuttosto, una concezione molto più elevata dell’efficienza, che esiste non in un solo settore della vita, ma nella vita stessa”.

Purtroppo avvenne che Platone prima e Aristotele poi ebbero il sopravvento, e ingenuamente convinsero la società che il bene fosse il dualismo, anima e corpo separati, divenuti nel tempo “oggettività e soggettività”: da una parte ragione e logica, dall’altra emozione, immaginazione, intuizione; i primi suggeriscono la rispettabilità scientifica, i secondi sono spesso considerati dei termini artistici, totalmente esclusi nella questione scientifica.
Questa separazione portò alla confusione del concetto di ‘anima’ e al conseguente “perfezionamento” delle religioni, i cui epiloghi conosciamo bene, tra torture, guerre e battaglie per il predominio teocratico. La promessa di un’altra vita in paradiso (chi contornato con vergini) era il massimo dell’ambizione, oltre che strumento di persuasione delle masse.
L’estremizzazione dell’oggettività invece condizionò la scienza: la medicina vi si orientò, concentrandosi sempre più sul microscopico e non sul macroscopico, perdendo la visione olistica, dimenticando definitivamente quanto Socrate affermasse «Non esiste una malattia del corpo che prescinda dalla mente».

Anche la romantica figura del medico condotto, che con il carretto di notte correva a portar conforto al moribondo scomparve, per far spazio alla specializzazione.
Ovvero l’essere umano venne diviso in pezzi, chiamate specializzazioni appunto: il fegato a te, il cuore a lui, le ossa a Tizio, la pelle a Caio. In pratica il corpo ridotto a quarti, a beneficio di “macellai” esperti; una macchina senza anima, senza connessioni.
La miopia della medicina (che allo stato attuale eviterò di chiamare scienza) abbandonò completamente la completezza dell’insieme pensando di far meglio, ripudiando ogni altra forma di indagine che non passasse dall’oggettività, basata però in buona parte sulle probabilità e al contempo trasformandosi in un nuovo clero laico, come ben avvisò Francis Galton nel 1800.
No, in verità una cosa rimase: la veste, l’abito sacerdotale stavolta bianco purezza, o più recentemente in altre simpatiche cromie, lo stetoscopio come talismano, i farmaci in veste di elisir di lunga vita, e sempre come allora, per creare una separazione: io stregone di qua, voi popolo ignorante di là.

Man mano che le società si sono evolute, le floride economie hanno portato un finto benessere basato sul consumismo, e si progresso e tecnologia; ciò ha ampliato il numero di chi anelava il mito della vita eterna; non quella dopo la morte, ma proprio quella terrena, o quanto meno procrastinare il più possibile la data di scadenza.
La medicina si è adeguata, il più delle volte per meri fini economici benché mascherati da obiettivi scientifici, e ha accolto la richiesta dei suoi “clienti” (bambini irresponsabili e ingenui), non senza una certa tendenza veicolatoria.
Risultato: i progressi oggi tengono in vita “artificialmente” persone che già solo 40 anni fa probabilmente sarebbero morte. Sulla qualità potremmo parlarne.
Ma non è questo il punto. Dobbiamo sforzarci di inquadrare la cosa da un’altra angolazione.
Biologicamente abbiamo compiuto tecnicamente un abominio.
La natura è affascinante nella sua perfezione, e una delle leggi su cui si basa è quella dell’evoluzione: gli esseri si evolvono perfezionandosi e adattandosi all’ambiente, i meno “pronti” o con “problemi-errori di fabbrica”, semplicemente soccombono. Una delle definizioni che amo di più quando mi trovo a descrivere il mare è “l’ingenua crudeltà della natura”.
Gli esseri umani in particolare nell’ultimo secolo, invece si sono opposti a tale ‘apparente’ crudeltà, innescando un protrarsi generazionale di difetti genetici, saltando a piè pari l’inaccettabile selezione naturale: rendendoci però più deboli, e predisponendoci a mille patologie.
Questo perché detta opposizione, umanamente comprensibile, è avvenuta seguendo il percorso sbagliato. Il progresso che noi vediamo è solo tecnologico, non umanistico, nemmeno filosofico o spirituale. Non poteva essere altrimenti avendo accettato la separazione dell’uomo.
Il nostro smartphone viaggia alla velocità della luce, ma noi no, e i relativi ritmi sono incompatibili con la questione biologica.
Siamo andati troppo oltre lasciando noi stessi indietro, dimentichi del concetto di Aretè, della qualità a favore della quantità che è fine a se stessa, in ogni settore: viviamo più anni ma in un ambiente insalubre, incompatibile con la vita stessa, stressati, spesso poco più che vegetali, soli, abbandonati davanti una tv, ma di certo ottimi clienti per chi fa affari con la nostra ‘sopravvivenza’. Totalmente materializzati, mercificati, dipendenti dal potere medico. Una neanche troppo sottile dittatura da noi scelta con la delega.
La medicina in questo è stata evidentemente complice compiacente.
Se da una parte tantissimi di noi le sono grati per aver salva la pelle (confondendo però il vivere con il sopravvivere), dall’altra paghiamo proprio il prezzo della mancata evoluzione biologica, nel suo insieme di psiche e corpo.
Siamo ridotti a edifici pericolanti tenuti su grazie a puntelli sempre più efficaci, ma tali rimangono, ovvero precari e cedevoli alla prima forte raffica di vento.
Onestamente la colpa è di tutti, lo abbiamo chiesto noi, continuamente, inderogabilmente. Abbiamo sposato il materialismo sotto ogni aspetto. La ‘nuda vita’ ad ogni costo.

Solo oggi si inizia a parlare scientificamente (un vero miracolo) di energie, ad esempio, del fatto che siamo energia e delle enormi implicazioni che questa visione potrebbe comportare in un quadro generale; un po’ come la confutazione della relatività.
C’è un vero e proprio bisogno di riabbracciare l’unione tra corpo e anima, le persone lo stanno capendo sempre più e questo fa ben sperare.
Ma non abbiamo molto tempo e se non riusciremo a invertire la rotta il conto presto arriverà; anche se la medicina ce la sta mettendo tutta per tenere il passo, il giorno in cui per mila motivi ci dovessimo ritrovare a tu per tu con la natura, senza “doping”, la nostra razza, estremamente precaria, probabilmente soccomberà, il che magari non sarà un male assoluto…

Vi sembro brutale? L’ho scritto nel titolo ma è a fin di bene.

Anzi rincaro la dose. Non so se diverrà mai anche questa una specializzazione, ma ritengo l’eutanasia un ramo della medicina degno di essere approfondito e diffuso concettualmente a livelli più elevati e nuovi per la società occidentale: la facoltà di arrendersi con dignità all’evidenza della fragilità umana, sarebbe non solo auspicabile ma strumento necessario all’accettazione della cultura della morte. Primo passo forse per ricongiungerci con quella visione di insieme che era ed è, a mio giudizio, la soluzione per una corretta evoluzione.

Quindi?

La differenza tra noi e gli animali è il libero arbitrio, la facoltà di elaborare pensieri complessi, a tal punto da poter ipnotizzare, suggestionare, mettere a punto piani machiavellici, studiare, inventare, approfondire: e sappiamo ancora molto poco delle nostre capacità mentali, del funzionamento mente-corpo-energia. Nessuno può escludere oggi che un domani potremo davvero spostare oggetti con il pensiero o chissà cos’altro, magari curarci da soli.

Allo stesso modo in effetti non abbiamo una controprova di cosa sarebbe accaduto se a quel bivio avessimo scelto la visione socratica. Probabilmente saremmo giunti ad oggi più forti, meno bisognosi di veleni (leggasi farmaci), artifici vari, grazie anche a una medicina amica, critica, umana, evoluta nel senso più esteso del termine; e perché no anche più pronti all’altra dimensione chiamata morte.
Biologicamente compatibili, sostenibili e in armonia con il mondo circostante.

Negli ultimi anni più di qualche medico è riuscito a comprendere l’esigenza di un’altra prospettiva, e con coraggio si è distanziato dai dogmi provando a solcare strade nuove, non senza rischi; spesso pagando il prezzo della derisione, o peggio l’espulsione da un albo divenuto oramai sempre più organo inquisitore.
Il paradosso della faccenda è che persino Ippocrate comprese come la missione del medico, perché di missione si tratta, non dovesse prescindere dalla scienza e coscienza e a “esercitare la medicina in autonomia di giudizio senza accettare nessuna interferenza o indebito condizionamento“. Vien da ridere se pensiamo ai famigerati protocolli a cui attenersi e ai condizionamenti delle case farmaceutiche, che solo un cieco a questo punto non vedrebbe. Proprio oggi leggevo che l’azienda farmaceutica Sanofi si occuperà della formazione dei futuri medici, con il benestare delle rispettive associazioni: perfetto, facciamo prima così, abbandoniamo almeno l’ipocrisia e gettiamo la classe medica direttamente nelle mani del lupo, senza “sciocche” pareti morali, conferenze e vacanze pagate, mazzette, università e ospedali sponsorizzati. Passiamo direttamente a una loro emanazione esplicita, giù la maschera, finalmente!
Tornando alla coscienza, questa è la chiave di volta già scritta, una dimensione altra, su cui dovrebbe basarsi il medico; qualcosa di inesplorato in realtà, ancora non “sezionato”, ma che dovrebbe accompagnare lo stregone moderno.
Ci si dovrebbe investire seriamente, abbandonando la visione dualistica e materialistica del corpo umano, iniziando ad allontanarsi da una medicina riduzionista, scientista.

I recenti fatti hanno dimostrato tutti i limiti della medicina e la fragilità psichica dell’uomo, ridotto a un bambino piagnucolante e codardo, annichilito e sopraffatto dai media e da se stesso.
Eppure stiamo assistendo a un cambiamento epocale, che di certo non è fatto di stupide mascherine e distanziamenti socialmente pericolosi.
Vi è un’enorme frattura in atto e dobbiamo approfittarne per gettare le basi di un futuro differente. Ci viene data una seconda chance e stavolta non possiamo permetterci il lusso di sbagliare: di nuovo il bivio e una scelta ora ben chiara da fare.

I medici devono strapparsi di dosso la pelle di pantera e lottare, utilizzando il proprio potere per chiedere a gran voce un approccio della medicina profondamente diverso; destrutturare la mente (lo sforzo più arduo), utilizzare gli strumenti sin qui acquisiti per esplorare senza remore anche concetti che fino a ieri si pensavano assurdi, perché non supportati dal sistema. I dogmi pur se apparentemente giusti vanno contestati, provati e in uno scenario probabilistico come quello della medicina attuale, sarebbe altresì disonesto e insensato non farlo.
Ci si deve sforzare di vedere l’uomo nella sua interezza, corpo e anima, altrimenti si perderà di nuovo. C’è una transizione da portare avanti, per recuperare quel fondamentale gap biologico che non si può compensare con l’artificio.
Bisogna abbandonare la pericolosa semantica: non esiste nessun check up o “settimana della prevenzione”, quando il terreno umano è danneggiato, cronicamente immunodepresso.
La VERA prevenzione è mangiare sano e bene, aumentare la qualità della vita, risiedere in siti non inquinati, insomma cambiare davvero le regole del gioco.
I medici possono aiutarci in questo, utilizzando i propri “talismani”, protestando, opponendosi alla corruzione e promuovendo le nuove priorità nelle conferenze, nelle scuole, nei media attraverso i governi: d’altronde sono stati molto abili a farlo finora per un fine sbagliato.
Avete un potere enorme, usatelo, trasformatevi nel sacerdote egizio “Isidoro”, guidate anche voi la rivolta dei poveri miserabili soggiogati dal potere, come all’epoca contro i romani.

A noi altri invece viene chiesta la riappropriazione delle responsabilità, la voglia di approfondire anche argomenti apparentemente complessi, perché solo la conoscenza ci restituirà la libertà ceduta; non dobbiamo diventare medici se non di noi stessi, e laddove non dovessimo riuscirci potremo appellarci alla più grande competenza a nostra disposizione, quella morale. In fondo possiamo percepire cosa è giusto o sbagliato, grazie a l’istinto di sopravvivenza che ci appartiene.
Abbassiamo la comfort zone, ripudiamo l’assurda e folle crescita economica infinita in un mondo finito: dobbiamo consentirci aria, terra e acqua puliti, imprescindibili, non negoziabili.
Apriamo la mente a nuove possibilità: per primi siamo chiamati a lasciare il dualismo e riconsiderare le verità sin qui apprese.

Questa società di bambini capricciosi, viziati, insaziabili e irresponsabili, tenuti in vita artificialmente grazie alle droghe della medicina sua complice, deve essere sostituita da un’altra composta di adulti maturi, LIBERI di scegliere e desiderosi di una vita sostenibile, per tutti.

Kennedy fece incidere sulla campana del suo veliero un bellissimo acronimo, WWG1WGA, ovvero “Where We Go One We Go All”: dove va uno di noi andiamo tutti!

Credo sia giunta l’ora.

 

Giampaolo Gentili

Fonte: https://sailyx.com/