Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’ascensione al Monte Baldo di Francesco Calzolari

L’ascensione al Monte Baldo di Francesco Calzolari

di Francesco Lamendola - 08/02/2018

L’ascensione al Monte Baldo di Francesco Calzolari

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

L’uomo, nel Rinascimento, sviluppa un’attitudine diversa nei confronti delle montagne, da quella che caratterizzava l’uomo medievale; e ciò vale anche per quel particolare tipo d’intellettuale che è il naturalista, specialmente il botanico. Nel Medioevo, l’ambiente montano era frequentato – oltre, naturalmente, che da pastori, boscaioli e raccoglitori di funghi, castagne, eccetera, cioè per ragioni economiche - da un certo numero di persone che cercavano la solitudine per ragioni spirituali, e che volevano condurre una vita mistica, fatta di preghiera e di contemplazione, per un certo periodo di tempo, o anche per tutta la vita. La montagna, nel Medioevo, era simbolo di ascesa spirituale; alcuni eremi e alcuni famosi monasteri sorgevano in montagna, perché salire in alto e isolarsi dallo strepito della vita di ogni giorno equivaleva ad avvicinarsi all’essenziale, cioè a Dio, liberandosi dalle preoccupazioni mondane. Certo, anche erboristi e speziali frequentavano le pendici delle montagne, per procurarsi le piante di cui avevano bisogno per i loro preparati; ma il loro numero crebbe molto nel Rinascimento e la loro professione perseguì una sempre maggiore ricerca di esattezza e di “scientificità”. Sorse perciò il bisogno, o il desiderio, di effettuare una ricognizione sempre più precisa delle montagne ricche di specie officinali, e di fornire al pubblico, ma specialmente agli studiosi, mediante appositi cataloghi, delle indicazioni che permettessero di trovarle, vive e prosperanti nel loro ambiente, anziché acquistarle secche, nelle botteghe degli speziali, ormai impoverite dei principi attivi che le rendono utili e ricercate.
Uno di questi botanici-erboristi, nonché uomo di cultura di vasta apertura, fu il veronese Francesco Calzolari (Verona, 10 luglio 1522-Rivoli Veronese, 5 marzo 1609), che fu anche farmacista,  collezionista e corrispondente di importanti studiosi di botanica del suo tempo, pur conducendo una vita laboriosa, di buon padre di famiglia, ma appartata e tranquilla, quasi tutta trascorsa nel cerchio della sua città natale e dei dintorni. Fu, nondimeno, conosciuto e apprezzato per la sua intelligenza, la sua cultura, la sua onestà, e, non ultimo, per la sua modestia; svolse le funzioni di consigliere del Podestà; fu priore della Corporazione degli speziali, nel 1585; venne  lodato dal duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, che gli fece dono di una collana d’oro: insomma, un piccolo grande uomo che, pur non avendo lasciato il suo nome agli onori della cronaca dei “grandi”, riflette comunque il miglior spirito rinascimentale, con la sua curiosità, il suo buon gusto, la sua sete di conoscenza e di humanitas. Il museo privato da lui allestito, il Theatrum naturae, è uno dei primi nel suo genere e si può considerare come il naturale prolungamento delle sue esplorazioni sul terreno, condotte in un ambiente naturale molto caratteristico, quello del Monte Baldo, a cavallo delle odierne province di Trento e Verona (Berg Wad in tedesco; mons Polninus dei romani); pare che “Baldo” derivi dal tedesco Wald, bosco, lingua in cui è attestato sicuramente in un documento del 1163.
Calzolari, che fu in corrispondenza con scienziati come Girolamo Fracastoro, Ulisse Aldovandi, Luigi Anguillara, Pietro Andrea Mattioli, Luca Ghini ed altri, possedeva un piccolo podere a Rivoli, proprio ai piedi del Baldo, nel quale si tratteneva volentieri quando voleva, e poteva, sottrarsi ai suoi obblighi professionali in città; ed è partendo da quella base che condusse una serie di escursioni lungo le pendici del Baldo, che finì per conoscere perfettamente, dapprima alla ricerca di piante, come l’aconito gallo, poi anche per la gioia di studiare sempre meglio un ambiente così bello e caratteristico, andando oltre la sua specifica passione di erborista e speziale. In un  certo senso, egli passò da un interesse puramente botanico ad uno di tipo geografico, o geobotanico, più vasto, per cui lo si può considerare il precursore del compilatore di guide naturalistiche rivolte ad un pubblico non solo di specialisti, ma di amanti della natura in generale, e specialmente di amanti della montagna. Il suo stile letterario semplice, ma avvincente, e la scelta del volgare per la sua opera più famosa, il Viaggio di Monte Baldo, del 1566, compendio di numerose escursioni condotte nel corso del tempo, sia da solo che in compagnia di amici e familiari, è un piccolo gioiello della letteratura scientifica rinascimentale, che può essere letto con piacere da tutti, appunto perché, in esso, nonostante l’elencazione di numerose specie floristiche, l’autore sa catturare il pubblico e trasportarlo in un mondo di pura bellezza e di grande vivacità narrativa.
Il Monte Baldo non è una montagna particolarmente imponente; pure, con i suoi 2.2218 metri d’altezza, è un monte rispettabile, che appare ancor più maestoso per lo stupendo scenario naturale nel quale s’inserisce. Chi lo contempla, ad esempio, dalla sponda bresciana del Lago di Garda, diciamo all’altezza di Salò, e ne ammira, in una bella giornata d’inverno, la mole regolare, con le pendici e le vette imbiancate di neve, che si staglia al di sopra delle acque, rimane particolarmente colpito e intuisce la sua caratteristica più affascinante dal punto di vista naturalistico: il fatto che, in uno spazio relativamente ristretto, esso s’innalza di circa 2.000 metri sopra la pianura e sopra il più grande lago prealpino, creando una serie di stazioni climatiche successive, ciascuna delle quali possiede una vegetazione specifica. In altre parole, basta salire le sue pendici per osservare, in rapida successione, una incredibile varietà di specie vegetali, da quelle mediterranee dei primi contrafforti bene esposti al sole, a quelle alpine della vetta, passando per tutta una serie di specie intermedie, quasi un compendio del grande regno della natura. E questo è il Baldo, per Francesco Calzolari; una specie di hortus naturale, un grande giardino creato dalla natura e non dalla mano dell’uomo, disposto, nondimeno, con una tale bellezza e sapienza, come se le qualità estetiche del locus amoenus si fondessero con la spontanea, selvaggia esuberanza della vegetazione tipica di una montagna di media altitudine dell’Italia settentrionale.
Così la descrizione botanica del Monte Baldo da parte di Francesco Calzolari, frutto delle sue frequenti ed appassionate esplorazioni, è stata rievocata nel bel volume Il fiore del Baldo, a cura di F. Ottaviani, Ediz. Comitato per Il fiore del Baldo, Brentonico, Trento, 1981, pp.87-90; il brano, probabilmente, è di Eugenio Turri):

Sono sedici paginette, in lingua volgare, assai essenziali e dense. La tradizione vuole che il Calzolari, per dare forma letteraria all'opera, si sia avvalso della penna di G. B. Olivi.
Ci pare di poter escludere questo intervento, in quanto i pensieri vi sgorgano rapidi e spontanei, senza ornamenti, col medesimo stile delle lettere che il Calzolari mandava all'Aldrovandi. L'autore stesso non si vergogna di affermare che ci sarebbe stato bisogno "d'un ingenio nelle lingue, e nel comporre più esercitato del mio; il quale da fanciullo nella cura familiare e nella pratica più presto che nella contemplazione sono stato io di continuo occupatissimo". Il "Viaggio" contiene l'esperienza di tutta una vita, ed è questo che piace, che lo fa riuscire perfetto, come un piccolo capolavoro. la forza dell'ispirazione supplisce alla mancanza di genio letterario. Il Calzolari ci avverte che il suo "Viaggio" altro non è se non "un brevissimo compendio..., un indice, o vogliam dir catalogo di tutte le piante che si ritrovano in Montebaldo". Modesto è anche l'uso che l'autore indica: dopo tanti e dotti commentari sulle virtù medicinali delle piante "questo solo restava (ai medici e agli speziali), di saper il luoco dove agevolmente si ritrovasse copia delle piante che ai loro usi abbisognano", in modo da poterle ritrovare "fresche e ben staggionate", anziché usarne altre "da lontanissimi paesi portate vecchie corrotte e svanite. Altra cosa è trovar l'herbe nelle spetiarie, altro cercarle nella campagna, dove il loro nome non si trova di fuora via dalle scatole dipinto", perciò egli, pratico dei "luoghi e siti dove nascono" per averli "non senza molta fatica e spesa veduti e riveduti", ha pensato di stampare questo itinerario che faciliterà l'impresa. E non solo ai medici ed agli speziali la lettura potrà essere utile, ma anche "alli Scolari e professori di medicina" e "ad alcuna honorata compagnia" che "ò per via di diporto, ò per veder'alcuna bella pianta nel suo solo natio dalla natura ridotta" si spingano a questo monte senza la "scorta di persona prattica".
L'impostazione è assai semplice. Il Calzolari parte da Verona, attraversa Bussolengo e Rivoli, giunge a Caprino e poi alla Corona, attraversa Prabazàr, Maòn e Novezza, visita la valle dell'Artillone e le sue adiacenze, dove si presenta una "selva grandissima d'alberi resiniferi... e non resiniferi", risale in cresta portandosi a Monte Maggiore, descrive dall'alto le sponde del Garda, esplora la Val degli Ossi e la vicina Val Vaccara, dove sgorga copiosissima la Fonte di Brigaldello, si allontana infine verso Ime e Val Basciana. In Val Fredda l'itinerario finisce, e ciascuno è libero di scegliersi la via più opportuna per tornare a Verona.
Nonostante i lunghi elenchi di piante (alcune centinaia in tutto) la lettura non è mai noiosa: ad ogni sosta si fa l'etimologia del toponimo, si fornisce qualche breve notizia, qualche bella descrizione sul paesaggio, sul panorama e su altre emozioni di viaggio. L'operetta, a dispetto delle modeste intenzioni dell'autore (furono veramente tali?), inaugura un nuovo modo di fare botanica. A prescindere dallo stile dell'opera, che di per sé costituisce il primo abbozzo di "Flora" (catalogo delle piante che si rinvengono in una regione) pubblicato in Europa, è interessante considerare che in essa, con precoce intuizione, l'autore avverte l'importanza del rapporto piante-ambiente. Non a caso, a pag. 7, nel volgere di pochissime righe, ci fornisce una raffinata definizione di microclima. Scrive: "Ma che diremo della diversità dell'aria? Veramente che gli è una maraviglia che  chi per questi luoghi camina da una picciola distantia all'altra vi sente tanta differentia, che gli pare non solamente mutar regione ma etiamdio clima".
Il "Viaggio di Monte Baldo venne stampato a sé stante nel 1566, fu subito ristampato in appendice alla "Fabrica degli spetiali" del Borgarucci, poi in appendice alle due edizioni del "Compendium de plantis" del Mattioli (in lingua latina), fu inserito nelle due edizioni del catalogo redatto dall'Olivi per illustrare il museo del Calzolari (in lingua latina) con l'avvertenza che nel frattempo era divenuto desideratissimo. Insieme a questo catalogo viene riprodotto nella sua forma originale, nel rapporto 1/1.

Diceva Darwin che un viaggiatore deve essere un botanico; anche, aggiungiamo noi, se si tratta di un piccolo viaggio, come l’ascensione ad una montagna che s’innalza a pochi chilometri dalla sua casa. Darwin aveva visitato ed esplorato, dal punto di vista naturalistico, isole oceaniche come le Canarie, le Falkland, le Galapagos, Mauritius e le Isole del Capo Verde; ma anche una montagna, e sia pur vicino a casa nostra, è, in un certo senso, un’isola, per cui il lavoro di un  botanico che esplora le pendici di un monte somiglia più di quanto non si pensi a quello relativo allo studio e alla classificazione della flora di un’isola remota. In entrambi i casi si tratta di un piccolo mondo isolato, con un clima specifico condizioni ambientali particolari, e, pertanto, con una vegetazione (e, di solito, con una fauna) diversa da quella diffusa al di fuori: la sola differenza è che in un caso l’isolamento è dovuto all’altitudine, che forma una barriera invisibile, ma reale, estremamente efficace; nel secondo, dalle vaste distese marine che solo insetti ed uccelli possono varcare, tanto più a fatica quanto più si tratta di un’isola distante dalla terraferma, il che spiega le peculiarità e gli endemismi delle specie locali. Un’altra somiglianza è dovuta al fatto che in entrambi i casi ci si trova in presenza di condizioni ambientali lungamente preservate dalle mescolanze delle specie tipiche dei continenti e, in particolare, dei territori aperti e pianeggianti: sia le stazioni montane che le isole oceaniche offrono perciò rifugio a delle specie che, negli ambienti più “facili”, si sono assai ridotte o sono addirittura scomparse, a causa della concorrenza da parte di specie più recenti e più competitive. In altre parole, vi è una certa probabilità d’incontrare, sia nello studio della flora montana, sia in quello delle isole lontane, delle forme di vita vegetale (e, talvolta, anche animale) le quali, altrove sono state surclassate nella lotta per la vita, ma che qui hanno trovato un ambiente idoneo, nel quale hanno potuto sopravvivere relativamente indisturbate.
Nel Viaggio di monte Baldo, Francesco Calzolari si dimostra un ottimo precursore della mentalità “botanica” auspicata da Darwin: tutto ciò che egli vede, lo vede con l’occhio del botanico; ma, invece di farsi prendere la mano dalla sua specializzazione, egli possiede la freschezza e la vivacità del narratore di classe, il quale sa farsi leggere e godere da qualunque lettore intelligente e di buon gusto. Possiede anche il dono d’intuire che il legame fra l’altitudine e la vegetazione è così stretto e immediato, che salire le pendici di una montagna è un po’ come viaggiare attraverso paesi dal clima assai diverso. Uomo del Rinascimento, possiede un vivo senso della natura e la capacità di guardare ad essa in tutto il suo splendore; cosa che non può dirsi del suo illustre predecessore, Francesco Petrarca, il quale, nel salire al Monte Ventoso, in Provenza, non sa vedere realmente le cose che ha di fronte, ma è come se le vedesse solo attraverso il filtro, quasi ossessivo, dei suoi amati classici…