L’emergenza Covid ha oscurato i malati e i loro diritti
di Valentina Bennati - 13/07/2021
Fonte: Valentina Bennati
Le persone muoiono di cancro ogni giorno, ma i media tacciono, non danno bollettini quotidiani. I numeri, da un anno a questa parte, riguardano solo il covid.
Eppure le cifre dei malati oncologici sono impressionanti e, in effetti, quasi tutti abbiamo o abbiamo avuto un amico o un parente che si è ritrovato a combattere con questa patologia che è frutto di tanti cofattori, non ultimo la vita insana che conduciamo e le sostanze tossiche che, più o meno consapevolmente, introduciamo dentro al corpo.
E’ un dramma che, purtroppo, è destinato ad acquistare contorni sempre più marcati perché, da 17 mesi ormai, tutta la parte della diagnosi precoce è molto rallentata, se non addirittura talvolta sospesa, di conseguenza il numero dei nuovi pazienti rischia di crescere ogni giorno sempre di più.
Chi ci è passato, direttamente o come familiare, sa quanto questa battaglia sia dura, sa quanto si possa diventare fragili e spaventati in certi momenti, quanto importante sia trovare medici che lavorino con cuore e intelligenza, connubio indiscutibilmente raro di questi tempi.
Fortuna però che, per quanto pochi, professionisti così esistono. E’ il caso, ad esempio, del Dottor Ivano Hammarberg Ferri che pratica l’oncologia integrata. Uno che ha lavorato per 16 anni come oncologo palliativista in domiciliare ed in hospice, che segue pazienti oncologici da 28 anni, dal quarto anno di medicina, e che conosce bene la dimensione cancro. Uno che non ha timore di esprimersi e di andare controcorrente e che scrive “io seguo quel po’ di verità a cui posso accedere e del plauso degli altri non mi preoccupo”.
Posso pensare che, effettivamente, sia così scorrendo i post della sua pagina Facebook : colpisce la sua schiettezza ed è stimato dai suoi numerosi pazienti anche per questo. Sono tanti i messaggi di gratitudine che ho potuto leggere. Le persone che segue lo sentono dalla loro parte e lo considerano “un medico vero, autentico, ironico”, “un grande che lavora con la coscienza e la conoscenza”, “uno che infonde serenità e coraggio di lottare”, “una grande anima”.
Non è stato facile riuscire a intervistarlo, l’ho dovuto inseguire per un bel po’ di tempo, perché per lui (giustamente) la priorità ce l’hanno i suoi malati. Finalmente eccoci arrivati a questa intervista.
Dottor Hammarberg Ferri da oltre un anno la parola covid è al centro di ogni discussione sanitaria, economica, politica e sociale. Le altre malattie sembrano scomparse e milioni di persone rischiano di pagare un prezzo altissimo anche se non contraggono l’infezione da SARS-CoV-2. Da oncologo può dirci che situazione stanno vivendo le persone colpite da tumore?
“Il mio lavoro di oncologo integrato mi porta quotidianamente a contatto con persone che provengono da tutto il territorio nazionale ed un numero minore di pazienti esteri.
La testimonianza che raccolgo ascoltando i loro racconti è quella di sentirsi pazienti di secondo piano, come se la loro vita fosse meno in pericolo che in passato, causa la comparsa della pandemia Covid.”
I ritardi accumulati dagli ospedali negli screening, nelle visite e nei trattamenti sono dovuti a un “intasamento” del sistema dovuto alla gestione di questo nuovo virus o alla paura dei malati di recarsi in ospedale e contrarre la Covid-19? In ogni caso quali potranno essere le conseguenze sulle possibilità di guarigione dei pazienti?
“La realtà sul territorio è molto variegata e se da un lato è certo l’instancabile impegno dei colleghi oncologi, radioterapisti e chirurghi, la situazione è di difficile gestione.
I ritardi ci sono, non si tratta di giorni, ma di mesi e non solo nei test di screening di prevenzione, ma purtroppo anche negli interventi dove le diagnosi sono già fatte.
Le conseguenze sono tutte a discapito dei pazienti perché i ritardi attuali significano progressione di malattia e la conseguenza diretta è la perdita di vite che, forse, potevano essere salvate.”
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha messo in luce delle carenze organizzative e strutturali già preesistenti sia in generale che, in particolare, per quanto riguarda la cura dei malati oncologici?
“Nessuno poteva immaginare lo scenario attuale, o forse sì, visto che su youtube ci sono i video di conferenze di qualche anno fa in cui si immaginavano scenari simili a quello attuale, ma nessuno ci ha creduto, nessuno ha investito tempo e risorse per prevenire ciò che ci è accaduto.
Io non capisco nulla di economia, ma so che la civiltà di un paese si misura anche attraverso il modo in cui gestisce i suoi malati, i suoi anziani, i suoi disabili e direi che a livello globale abbiamo dimostrato di dover crescere molto e di dover cambiare filosofia di pensiero.
E’ necessario investire molto più tempo e denaro nella prevenzione, nell’educazione, nel curare la salute per prevenire la malattia e per gestire meglio chi, purtroppo, si è già ammalato.”
I pazienti oncologici sono a maggior rischio di contrarre la COVID-19 o statisticamente sono da sempre una categoria più soggetta alle infezioni virali e batteriche e alle loro eventuali complicanze? In sostanza è la malattia oncologica in sé che, eventualmente, rende i pazienti più fragili di fronte al virus SARS-CoV-2 o piuttosto l’impatto delle terapie oncologiche, l’eventuale compresenza di patologie o l’età avanzata?
“I pazienti oncologici sono da sempre soggetti ad un maggiore rischio di malattie infettive e loro complicanze che possono a volte risultare fatali. I motivi sono essenzialmente due: il cancro demolisce gradualmente il sistema immunitario del paziente, le terapie anticancro purtroppo anche colpiscono il sistema immunitario.
Ci sono poi altri motivi legati allo stato psichico del paziente, al suo stato nutrizionale, la fascia d’età e la presenza di altre patologie croniche e degenerative.
Gli studi non danno risultati definitivi riguardo il rischio di un paziente oncologico che si ammali di Covid. Molti autori concordano sul fatto che il paziente oncologico sia più esposto al rischio di ammalarsi e morire di Covid rispetto ad un individuo sano, ma sottolineano anche che l’ipertensione, l’obesità, il diabete, la sindrome metabolica e l’età sono anche fattori di rischio importanti. Uno studio, invece, afferma che il 26% dei pazienti oncologici che hanno contratto il Covid ha perso la vita, cosa che in Italia non mi risulta essere accaduta. Un altro studio indica che sono più a rischio i pazienti affetti da cancro del polmone, mentre un altro ancora che i pazienti affetti da tumori solidi sono meno a rischio di chi ha una leucemia o un linfoma, ad esempio, e ancora un altro studio afferma che i pazienti affetti da cancro prostatico trattati con antiandrogeni sembrano molto meno a rischio degli altri pazienti oncologici. Come vede i dati sono variegati.”
Si è avuto notizia della chiusura di alcuni hospice oncologici per aprire centri vaccinali. Può confermare questa informazione? Gli hospice sono luoghi in cui i malati oncologici che hanno combattuto a lungo contro la malattia trascorrono gli ultimi giorni della loro vita. Qual’ è dunque la ricaduta di questa scelta politico-sanitaria per i pazienti e le loro famiglie?
“E’ vero e ho scritto a proposito di questo sulla mia pagina personale di facebook descrivendo il mio totale dissenso e disapprovazione nei confronti di questa scelta, ho anche lanciato un appello nel corso del telegiornale di una emittente televisiva affinché gli hospice venissero immediatamente riaperti. In quei giorni la campagna vaccinale, che doveva inizialmente essere portata avanti solo in ambiente protetto, vedi ospedale o ambulatorio medico, veniva portata anche nelle chiese e si ipotizzava nelle farmacie. A questo punto perché non nei teatri, nei cinema o negli stadi o nei quartieri fieristici come è poi stato a Bologna invece di chiudere gli hospice?
Una persona che ha lottato contro il cancro e che giunge in un hospice per gli ultimi giorni della sua vita, ha bisogno di personale specializzato in medicina palliativa, capace di dare amore, pace, comprensione e accoglienza in ogni forma. Tutto questo può solo avvenire in un ambiente apposito come gli hospice.
So che la morte è un argomento a volte pesante o poco gradito, ma la verità è che essa arriva per tutti e non solo c’è modo e modo di morire, ma anche di vivere, finché quel giorno arriva. Come si fa a privare il malato morente e la sua famiglia dell’aiuto di cui hanno bisogno in quello che potrebbe essere il momento più difficile da affrontare per aprire, invece, nell’hospice un centro vaccinale?
Ma l’umanità dov’è finita? I diritti delle persone dove sono finiti?
Mi perdoni, ma per me queste sono scelte gravi ed insensate.”
Le autorità sanitarie consigliano la vaccinazione anticovid ai pazienti fragili. Chi sta affrontando il cancro sta sostenendo cure faticose e complesse e, indubbiamente, è in una condizione di fragilità. In genere, e per legge, per sviluppare un vaccino sono necessari molti anni di studi in laboratorio e di sperimentazioni prima negli animali e poi negli esseri umani. Al momento esistono dei dati che indichino le interazioni fra i vaccini recentemente messi in commercio e qualsiasi tipo di farmaco che i pazienti oncologici ricevono?
“Non sono a conoscenza della esistenza di tali dati.”
Uno degli elementi importanti su cui mancano le informazioni è anche la durata della copertura vaccinale. Anzi nelle ultime settimane è emerso il fenomeno degli operatori sanitari contagiati e positivi pur essendo stati regolarmente vaccinati con due dosi (un allarme subito lanciato dall’Associazione Nursing Up, sindacato autonomo della categoria infermieristica). Questo non è un rischio per i pazienti più fragili? Se dunque – come conferma anche il Prof Cozzi, immunologo di Padova – i vaccinati possono trasmettere il virus, non dovrebbero queste persone stare in quarantena una volta vaccinate a protezione del resto della popolazione e, a maggior ragione, della parte più vulnerabile delle stessa? E, se sì, per quanto tempo?
“Possiamo e dobbiamo farci queste domande, ma ricordando che tutta la problematica Covid è per noi una esperienza nuova e, essendo tutto ancora in fase sperimentale, esprimere opinioni con eccessiva sicurezza espone al rischio di pessime figure.
Bisogna guardare i dati che emergono, ma anche tenere a mente la nostra lunga esperienza relativa alle risposte che l’essere umano sviluppa nei confronti dei vaccini. Non esiste nella nostra storia un vaccino che immunizzi il 100% delle persone che si vaccinano e le persone vaccinate producono risposte più importanti e durature nel tempo o scarse e della durata di pochi mesi e anche questo non è prevedibile, ma solo verificabile con gli appositi esami. Questo significa che, se una volta vaccinati non si fa un sierologico alla ricerca degli specifici anticorpi, e non si ripete nel tempo questo esame, non è assolutamente possibile sapere quale sia la propria situazione o quella generale della popolazione vaccinata.
Come sanitari ci hanno imposto di vaccinarci per non contagiare i nostri pazienti, purtroppo la reale efficacia di questa scelta si vedrà solo questo inverno. Vedremo se c’è un calo dell’indice dei contagi, dei ricoveri e dei decessi e potremo studiare e dichiarare ciò che emergerà, tutto il resto sono solo ipotesi.
Per quanto riguarda il rischio dei pazienti fragili, con la campagna vaccinale dei sanitari e dei pazienti si è cercato di ridurlo, se ci siamo riusciti si vedrà.
Per ciò che concerne il post vaccinazione, ho suggerito che per un paio di settimane i vaccinati stessero a un po’ a riposo, riguardati. Entrare casualmente, per sfortuna, in contatto con il SARS-CoV-2 appena vaccinati quando l’organismo va in stress, e prima di aver sviluppato gli anticorpi, significa quasi certamente ammalarsi di Covid, ma questo mio consiglio non sembra essere stato condiviso. Avevo proposto un paio di settimane di riposo/quarantena, il tempo necessario per sviluppare anticorpi e linfociti specifici.”
Alcune voci all’interno del mondo scientifico hanno associato i vaccini anti-COVID-19 al possibile sviluppo/peggioramento dei tumori e delle patologie autoimmunitarie. Si tratta di un’informazione priva di senso e completamente infondata o c’è questo rischio?
“Siamo in fase sperimentale, tutti fanno ipotesi, anche giuste, ma nessuno ha certezze. Mi sono anche chiesto se il virus possa avere potere oncogeno e cioè far sviluppare il cancro come può accadere ad esempio con i virus della epatite HBV ed HCV o con i virus del papilloma HPV, ma questo non lo sappiamo ancora. Non sappiamo neanche se il virus sia in grado di scatenare vere e proprie malattie cronico degenerative, anche se ci sono esperienze di pazienti che hanno molti problemi di salute a causa del “long covid “ di tipo vascolare, cardiaco, polmonare e cerebrale.
Quello che, invece, sappiamo è che un paziente affetto da linfoma ammalatosi di Covid è guarito dal linfoma, come anche dall’esperienza dell’Istituto Oncologico Pascale sappiamo che pazienti affetti da cancro del colon ammalatisi di covid hanno risposto meglio di quanto ci si aspettava alle cure antitumorali. C’e’ da dire che le cellule tumorali hanno molti meccanismi e strategie per nascondersi al nostro sistema immunitario, probabilmente la infezione da SARS-CoV-2 risveglia le difese immunitarie, ma magari infettando le cellule tumorali le rende di colpo visibili e quindi attaccabili.”
Che pensa della situazione che stiamo vivendo? Tra tamponi, mascherine, chiusure e divieti è passato più di un anno e non ne siamo ancora a capo. Molti medici, tra cui anche lei, hanno curato nel frattempo con successo le persone affette da covid a casa, eppure la vostra esperienza è stata ancora una volta rinnegata da Aifa e Ministero della Salute e siamo di nuovo a tachipirina e vigile attesa. Di recente in piazza del Popolo a Roma e poi in piazza Duomo a Milano si sono presentati migliaia di medici per chiedere al Governo di accogliere il protocollo delle cure domiciliari precoci. Tra loro anche molti pazienti guariti grazie all’intervento tempestivo secondo scienza e coscienza. Mi piacerebbe conoscere il Suo pensiero in merito.
“La situazione che stiamo vivendo è complessa per la mancanza di certezze e di esperienza e dati scientifici su cui basare scelte ottimali. Sa com’è, ci dovrebbe guidare la Scienza con la S maiuscola, ma qui di certezze ce ne sono molto poche!
Il protocollo “tachipirina e vigile attesa” poteva a mio avviso avere un senso nei primi giorni o forse settimane della pandemia, non avendo assolutamente nessuna conoscenza del virus, né della malattia, né di quanto fosse contagiosa. In realtà ogni scelta deve essere diretta a salvare vite, ogni medico sceglie di fare questo quando sceglie la sua professione e risponde in scienza coscienza, oltre che in sede civile e penale, delle proprie decisioni. Questo implica che stare a guardare una persona ammalata senza fare tutto quello che si può per aiutarla, per curarla, per cercare di salvarle la vita, diventa impossibile.
Mi sono limitato a fare ciò che ogni medico fa ogni giorno, ho prescritto farmaci, integratori, dato consigli e felicemente condiviso le guarigioni. Posso affermare che i pazienti affetti da covid che ho curato sarebbero morti senza le mie cure? No! Come posso sapere se avrebbero sviluppato la forma grave e mortale? Quello che so è che ho cercato di evitare che accadesse e siamo stati fortunati, tanto!
Per quanto concerne il Ministero della Salute e Aifa, non credo che abbiano rinnegato le guarigioni, che anzi credo rendano felici tutti noi, credo, ma ribadisco credo, che più che rinnegare l’efficacia delle cure domiciliari precoci loro abbiano voluto difendere la campagna vaccinale. Credo il problema sia che le cure domiciliari precoci siano state interpretate da molti come una alternativa alla vaccinazione, quando sono invece due cose completamente diverse: le cure si applicano in caso di contagio, il vaccino dovrebbe evitare il contagio o quantomeno garantire in caso di malattia una forma di covid lieve e non mortale.
Concludendo la mia opinione riguardo l’importanza delle cure domiciliari precoci è che esse sono senza dubbio utili, hanno dimostrato efficacia e oltre a salvare vite hanno anche permesso ai nostri colleghi ospedalieri di essere meno sommersi da malati. Quindi la mia gratitudine va a tutti i miei colleghi che hanno fatto questo lavoro. Le istituzioni dovrebbero accogliere i protocolli delle cure domiciliari e condividerli con gli altri paesi per uscire quanto prima da questa dimensione.”
Questa era infatti la mia ultima domanda: come usciremo dalla situazione che stiamo vivendo?
“Ne usciremo, ma segnati. La società ha risentito di tutto quel che è accaduto in maniera profonda: insicurezza, paura, ansia, angoscia, senso di impotenza, frustrazione, prigionia e rabbia sono il rovescio della medaglia su sui è stampata la speranza di farcela.
Ma ne usciremo, come abbiamo sempre fatto. In quanto tempo non so, ma credo che il prossimo inverno e la prossima primavera ci permetteranno di capire cosa funziona e quanto. Sappiamo che le cure domiciliari precoci hanno un ruolo importantissimo, scopriremo se il vaccino riduce davvero mortalità e contagi e capiremo come progredire.
Intanto il lavoro che possiamo fare su noi stessi è quello di scegliere di vivere bene. Questo significa mettere in atto tutte quelle piccole ma importanti strategie quotidiane che si riassumono nel fare attività fisica adeguata, esporsi a sufficienza al sole e all’aria aperta, dormire un numero di ore adeguato, evitare abusi di alcool e fumo ed altri vizi dannosi, mangiare in modo sano, scegliendo cibi freschi, locali, biologici. A tutto questo si possono associare anche integratori per dare un ulteriore aiuto al nostro corpo, ma vanno selezionati da un professionista perché anche l’abuso e l’eccessivo consumo di questi non è salutare e soprattutto non sostituisce uno stile di vita sano né cancella i nostri peccati di gola o di pigrizia.”
Grazie, dottore, per il tempo che ha dedicato a questa intervista.
“Grazie a lei per il suo lavoro.”